Gaza e la Jihad globale: quale futuro?

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  Redazione
  09 novembre 2023
  10 minuti, 47 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

A ben guardare, appare del tutto improbabile che la guerra Hamas-Israele possa rilanciare le sorti dell’ISIS e di Al Qaeda, i due maggiori gruppi radicali islamici operanti in Medio Oriente e altrove. A parte i conflittuali precedenti storici, in seguito alla furia assassina di Hamas del 7 ottobre, Israele si è affrettata a paragonare quest’ultimo gruppo allo Stato islamico. Specificando che si tratta delle "stesse tattiche anche se con nomi diversi", come ha dichiarato l'account ufficiale del governo israeliano su Twitter.

Tale acuto sentimento è comprensibile: l’indicibile brutalità di Hamas nel massacrare circa 1.400 israeliani, tra i quali donne, bambini e anziani, gran parte dei quali incredibilmente e sadicamente ripresi nei video trasmessi nei social, ricordava la ferocia e la sete di sangue dell’Isis all’apice della sua attività terroristica. Nei giorni successivi all'attacco, Hamas ha ulteriormente minacciato di mettere in onda l'esecuzione fisica degli ostaggi, in ricordo dei giorni più bui dell'Isis e dei lager nazisti di antica memoria.

Dal 7 ottobre uno dei principali timori è che l'attacco di Hamas e la conseguente risposta dell'esercito israeliano nella Striscia di Gaza possano offrire una finestra di opportunità operativa al sempre vivo movimento jihadista globale, per rinascere pericolosamente dopo gli ultimi anni di evidente declino.

Lo jihadismo attuale

I gruppi jihadisti e i loro sostenitori hanno lanciato numerosi appelli all’ecclesia mussulmana nel mondo per compiere ulteriori attacchi terroristici a danno di obiettivi ebraici e occidentali. E almeno finora la responsabilità di almeno un attentato in Europa è stata rivendicata in nome dell’ISIS.

Tuttavia è importante tenere conto che Hamas e i gruppi jihadisti globali sono profondamente in contrasto ideologicamente tra di loro. Non a caso, nei suoi primi giorni, l’Isis ha dichiarato il “takfir”, o scomunica, contro Hamas per una serie di presunte quanto ritenute quanto gravi trasgressioni della dottrina coranica.

Inoltre, l’Isis si è volutamente astenuto dal lodare l’attacco del 7 ottobre. Al Qaeda, rivale dell'Isis per la supremazia nel jihadismo globale, l'ha invece celebrato e ha chiesto di estendere questa battaglia, sebbene abbia anche una storia di rimproveri ad Hamas per le sue differenze di interpretazione teologica e ideologica.

In un mondo islamico così diviso, la situazione sul campo potrebbe cambiare secondo le modalità che contano maggiormente: quanto più lungo e sanguinoso diventa il conflitto a Gaza, tanto più verrebbe alimentata la rabbia tra i vari popoli musulmani, dando a quel punto credito alla visione del mondo jihadista di un Islam contrapposto alle forze dell’incredulità e ateismo. Tuttavia, le divergenze ideologiche limiteranno non poco la misura con la quale gli jihadisti saranno in grado di cogliere questo momento come strategico per rivitalizzare ideologicamente e militarmente il loro movimento.

La dialettica e differenziazione con gli altri

L’intento centrale dei jihadisti globali è la guerra contro i governanti “apostati” del Medio Oriente e i loro sostenitori. Oggi gli obiettivi principali sono, tra gli altri, i regimi di Mohammed bin Salman in Arabia Saudita, Abdel Fattah el-Sisi in Egitto e Bashar al-Assad in Siria. I gruppi affiliati all’ISIS o ad al Qaeda non sono mai stati particolarmente attivi nei territori palestinesi, sebbene la questione palestinese abbia un posto di rilievo nei discorsi jihadisti.

Uno degli slogan di al Qaeda recita: “Stiamo arrivando, O al Aqsa”, un riferimento alla moschea di Gerusalemme che i musulmani considerano il terzo luogo più sacro dell’Islam e dove spesso scoppiano scontri tra i fedeli musulmani e le forze di sicurezza israeliane.

Hamas è stata fondata nel 1987 come ala palestinese dei “Fratelli Musulmani”, un’organizzazione politica che gli jihadisti hanno condannato per il suo approccio graduale verso l’islamizzazione radicale e per la sua volontà di operare all’interno dei sistemi politici esistenti. Nonostante tali differenze, c’è stato un tempo in cui i leader jihadisti lodavano Hamas per la sua resistenza armata allo Stato ebraico.

Eppure, nel 2006, Hamas ha partecipato e vinto le elezioni del Consiglio legislativo palestinese, formando poi un governo di unità con Al Fatah, la fazione allora dominante dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). In un discorso del 2007 , arrivò al punto di dire che la leadership di Hamas, abbracciando l’Autorità Palestinese e riconoscendo così gli “accordi” che riconoscono il diritto di Israele ad esistere (riferendosi agli accordi di Oslo), aveva “abbandonato la loro religione”.

Negli anni a venire, al Qaeda avrebbe anche criticato Hamas per la sua incapacità di attuare ed applicare la legge islamica (Sharia) a Gaza, per aver stretto stretti legami con il regime iraniano sciita in Iran e per aver perseguitato gruppi jihadisti locali a Gaza, come ad esempio “Jund Ansar Allah” e altri.

La “Jihad islamica” palestinese è un altro gruppo paramilitare minoritario che opera a Gaza e in Cisgiordania. Esso non ha legami con Al Qaeda o l’ISIS ed è ancora più vicino politicamente all’Iran di quanto lo sia Hamas.

Al Qaeda è stata attenta a non escludere completamente Hamas, adottando una politica di distinzione tra il ramo politico di Hamas e il suo braccio armato ancora più radicale, le Brigate Qassam.

L'approccio di Al Qaeda nei confronti di Hamas è stato quello di distinguere tra Hamas come organizzazione politica che ha commesso numerosi errori e i “giusti mujaheddin” che invece combattono sotto la bandiera di Hamas.

Tuttavia, per i pensatori più intransigenti del movimento jihadista, questo approccio di compromesso nei confronti di Hamas non ha funzionato appieno.

Quando sono scoppiate le ostilità tra Israele e Hamas nell'estate del 2021, Al Qaeda ha contestato pubblicamente l'affermazione secondo la quale i morti di guerra di Hamas erano da giudicarsi come “martiri dell’Islam”.

Il sostegno delle cause perse

L’Isis ha una tolleranza ancora più esigua nei confronti di Hamas, che considera un gruppo apostata in tutto il suo complesso.

A suo avviso, Hamas è un gruppo non solo immeritevole di sostegno ma che merita addirittura il “takfir”, un approccio che riflette l’adesione più fanatica dell’Isis ai principi dottrinali esclusivisti del salafismo islamico con la sua esaltata enfasi sulla purificazione della religione da tutto ciò che sa anche lontanamente di “politeismo”.

Nel corso degli anni, l’Isis ha regolarmente condannato Hamas accusandolo spesso di apostasia.

L’Isis ha sempre chiarito con le sue dichiarazioni che la priorità, sia strategica che teologica, dovrebbe essere quella di combattere i regimi dei paesi arabi vicini, ancora prima di quelli occidentali.

Combatterli ha persino la precedenza rispetto a quella di combattere Israele poiché sono i protettori dello Stato ebraico e i suoi sostenitori. Inoltre, questi governanti sono considerati anch’essi come “apostati” dell’Islam e non “miscredenti originari” come invece erano chiamati gli ebrei, la cui religione è per l’Isis meno offensiva del presunto abbandono dell’Islam.

Hamas e i gruppi della jihad globale sono in contrasto tra loro.

Alcuni dei precursori radicalizzati dell’ISIS, tra cui Abu Musab al-Zarqawi, l’ex leader di al Qaeda in Iraq e defunto tragicamente nel 2006, svilupparono l’idea che la distruzione dello stato di Israele fosse un obiettivo lontano da raggiungere. In ogni caso appartenente a una fase futura della jihad.

In una delle sue conferenze, Zarqawi suggeriva che, proprio come il grande guerriero musulmano medievale Saladino distrusse l’impero fatimide in Egitto prima di riconquistare Gerusalemme dai crociati nel 1187, per arrivare oggi a Gerusalemme sarebbe stato necessario combattere primariamente gli “apostati” che collaboravano con i cristiani e gli ebrei.

In effetti, l’apparato mediatico dell’Isis è stato restio a sottolineare la priorità della jihad nei territori palestinesi e ha persino ammesso che non lo farà. Gli editoriali attuali dell’Isis non intendono tuttora adoperarsi più di tanto nel sostegno della causa palestinese.

L'attività dell'ISIS in Israele e nei territori palestinesi, come quella di al Qaeda, è stata minima ma non inesistente: all’inizio del 2022, l’ISIS ha rivendicato la responsabilità di un attacco con accoltellamenti nel sud di Israele effettuato da un arabo israeliano che aveva giurato fedeltà al califfato radicale.

Altri episodi terroristici analoghi sono avvenuti in altri paesi europei.

LODI IN TENSIONE

Quindi non sorprende che al Qaeda abbia applaudito l’attacco del 7 ottobre e lo abbia inserito nel quadro di una jihad globale contro l’alleanza “sionista-crociata”.

Ciascuno dei rami regionali di al Qaeda – in India, Nord Africa, Sahel, Somalia, Siria e Yemen – ha rilasciato dichiarazioni di elogio ai “mujaheddin” palestinesi.

Il 15 ottobre è stata rilasciata una dichiarazione ufficiale da parte degli alti dirigenti di al Qaeda, che hanno celebrato l'operazione del 7 ottobre e hanno chiesto una mobilitazione di massa per aiutare Hamas nella lotta.

La mobilitazione prevista includerebbe l'apertura di nuovi fronti lungo i confini di Israele e l'introduzione clandestina di combattenti a Gaza dalla Giordania e altrove per prendere di mira i “crociati” e gli israeliani ovunque possano “ucciderli”.

In particolare, la dichiarazione invitava i musulmani a “prendere di mira i sionisti nelle strade ”di Abu Dhabi e Dubai negli Emirati Arabi Uniti, Marrakesh e Rabat in Marocco, Jeddah e Riyadh in Arabia Saudita e Manama in Bahrein – ovvero i paesi che hanno normalizzato le proprie relazioni con Israele.

Israele nell’ambito degli accordi di Abramo nel 2020 o, nel caso dell’Arabia Saudita, sperava di farlo.

E’ stato solo il 19 ottobre che l'Isis ha affrontato pubblicamente la propria posizione condannando Hamas e sottolineando la “follia” di combattere “sotto la bandiera dell’asse iraniano”.

Sradicare lo Stato ebraico richiederebbe anche un attacco all'Occidente e agli “eserciti e governi arabi apostati” che sostengono l'esistenza dello stato di Israele.

Per quanto riguarda i combattenti a Gaza e in Cisgiordania, l’Isis invita a “purificare la bandiera” sotto la quale combattono – il che significa, secondo loro, abbracciare la versione dell’Islam sostenuta dall’Isis. Solo allora si potrà intraprendere la via del jihad.

Come al Qaeda, l’Isis vuole estendere la guerra fino a colpire praticamente tutti: gli ebrei a livello globale, l’Occidente e gli stati arabi.

Ma a differenza di al Qaeda, l’Isis non ha espresso alcun sostegno ai militanti palestinesi sul campo, suggerendo invece che hanno bisogno di riformarsi.

RIMANERE LOCALI

A parte le parole di esaltazione, gruppi jihadisti globali come al Qaeda e ISIS hanno dedicato poche risorse concrete alla causa palestinese e hanno poca o nessuna presenza personale sul terreno a Gaza o in Cisgiordania.

Il quasi monopolio di Hamas sulla scena militante islamica palestinese probabilmente impedisce che al Qaeda o l’ISIS svolgano un ruolo significativo in qualsiasi resistenza all’invasione di terra israeliana di Gaza.

Gli attori jihadisti desiderosi di unirsi alla lotta si troveranno probabilmente ad affrontare ostacoli insormontabili per accedere alla striscia isolata. Oppure non intendono imbarcarsi in una questione ritenuta troppo scottante e fallimentare fin dall’inizio.

Tuttavia, anche se i combattenti stranieri non si uniscono alla lotta in Israele o a Gaza, ciò non significa che la violenza jihadista non possa esplodere altrove.

Al Qaeda e l’Isis hanno sostenitori in tutto il mondo islamico, così come in Europa e negli Stati Uniti, e alcuni di loro potrebbero benissimo rispondere agli appelli a commettere atti di terrorismo. Nel caso dell’Isis, che dispone di una rete di sostegno molto più ampia, la minaccia è maggiore.

La guerra a Gaza potrebbe indurre singoli simpatizzanti jihadisti in Occidente a commettere ulteriori atti violenti, magari infiltrando alcuni suoi aderenti tra i migranti clandestini.

È meno probabile che la guerra tra Israele e Hamas dia energia ad un movimento jihadista più ampio. La leadership dell’Isis rimane sotto attacco o “imprigionata” in Siria, e il ritmo degli attacchi dei ribelli lì e in Iraq è notevolmente rallentato.

La distribuzione geografica dell’Isis

La presenza prevalente dell’Isis oggi è nell’Africa sub-sahariana e in Afghanistan, molto meno in Medio Oriente. Allo stesso modo Al Qaeda ha una presenza minima nei suoi precedenti punti d’appoggio nella regione, nonostante una sezione affiliata abbastanza attiva nello Yemen, che secondo Washington ha lottato per trarre vantaggio dal subentrato dominio talebano in Afghanistan.

Al Qaeda potrebbe essere ansiosa di trarre profitto anche da una nuova guerra tra Israele e Hamas, ma negli ultimi dieci anni è stata meno capace di ispirare operativamente il terrorismo internazionale rispetto all’Isis.

Il problema per l’Isis è che non ha mai abbracciato la causa palestinese con lo stesso fervore del suo concorrente al Qaeda e non darà il suo sostegno ad Hamas, la principale fazione palestinese che oggi combatte Israele.

Anche se l’Isis sarebbe felice di vedere il terrorismo scatenarsi contro obiettivi ebraici, sostiene solo ciò che ritiene “pura” jihad nei territori palestinesi, ovvero il jihad portato avanti da coloro che aderiscono alla sua ideologia.

A meno che Al Qaeda o l’Isis non stabiliscano in qualche modo un punto d’appoggio nel teatro palestinese, è difficile vedere la crisi di Gaza risollevare le sorti di entrambi i gruppi.

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