Pallywood non esiste

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  Giorgio Giardino
  16 novembre 2023
  4 minuti, 36 secondi

La sera del 30 settembre del 2000 il canale televisivo francese France 2 mandò in onda durante il telegiornale un breve video, di poco meno di un minuto. In quei fotogrammi si vedevano un uomo ed un bambino, intenti a proteggersi da alcuni colpi di proiettile. Si trattava di un padre e di un figlio, Jamal e Mohammed al Dura. Era in corso una sparatoria fra l’esercito israeliano e manifestanti palestinesi. Da pochi giorni infatti era iniziata la Seconda Intifada, scoppiata a seguito della visita dell’allora capo del Likud Ariel Sharon alla Spianata delle Moschee a Gerusalemme, un luogo sacro per i musulmani. 

Dopo alcuni momenti di caos in cui la telecamera non inquadra più i due, l’immagine mostra il corpo del bambino accasciato a terra, e una voce fuori campo afferma che “Mohammed è morto e suo padre è ferito gravemente”.

Queste immagini fecero il giro del mondo rendendo il giovane Mohammed un martire per i palestinesi e per tutto il mondo arabo, e divennero per molti il simbolo della violenza israeliana nei confronti dei palestinesi. 

Inizialmente l’esercito israeliano rivendicò la responsabilità dell’accaduto, ma negli anni successivi ritrattò con diverse versioni. Nel 2000 fu pubblicato uno studio in cui si affermava che era molto probabile che i colpi che avevano ucciso il bambino fossero stati sparati dai palestinesi. Nel 2013 infine, l’esercito cambiò nuovamente versione affermando che non potevano essere stati i soldati israeliani e mettendo in dubbio la veridicità della scena.

È in questo video e nelle dispute che ne sono nate successivamente, che può essere ricondotta la nascita di una teoria del complotto, secondo la quale i palestinesi starebbero fingendo le loro sofferenze nel tentativo di diffondere una narrazione falsa che li vedrebbe vittime. Nel 2005 Richard Landes, all’epoca professore alla Boston University, pubblicò un documentario di 18 minuti dal titolo “Pallywood: According to Palestinian Sources”, in cui appunto sostiene che sia in atto una sistematica manipolazione dei media da parte delle fonti palestinesi, con video e immagini creati con l’unico scopo di condizionare le opinioni pubbliche di tutto il mondo. 

Nel corso degli anni la teoria di Pallywood ha preso piede all’interno degli ambienti della destra israeliana, e in alcuni casi è stata abbracciata anche da esponenti del governo. Non sorprende quindi che in queste settimane la teoria abbia ritrovato nuova linfa, con l’obiettivo di mettere in discussione qualsiasi testimonianza proveniente dalla Striscia di Gaza. 

Di recente anche il portavoce del Primo ministro israeliano per il mondo arabo, Ofir Gendelman, ha rilanciato questa idea pubblicando un tweet allegando un video che mostrerebbe la finzione dietro le sofferenze dei civili palestinesi. “Pallywood gets busted again” ha tenuto a sottolineare il diplomatico israeliano. Poco dopo però, si è scoperto che quello stesso video era in realtà tratto dal backstage di un cortometraggio girato in Libano a sostegno della popolazione di Gaza. 

Una volta fatto notare l’errore, Gendelman, sempre attraverso un tweet, ha affermato che account palestinesi lo stavano diffondendo come se fosse autentico, e per questo motivo lo avrebbe pubblicato sul proprio profilo. 

Questo è solo uno dei tantissimi video che circolano online che denunciano questa presunta Pallywood, basta infatti fare una breve ricerca su X (ex Twitter) o Instagram per imbattersi in questa serie di contenuti. In alcuni vengono mostrate quelle che dovrebbero essere le prove di questa finzione, in altri invece gli utenti si prendono gioco delle vittime mostrandosi nei panni di “finti palestinesi”. 

Secondo Logically Facts, portale che si occupa di contrasto alla disinformazione, il numero di post con l’hashtag Pallywood ha avuto un aumento a seguito del tragico e ingiustificabile attacco compiuto da centinaia di miliziani di Hamas in vari luoghi nel sud di Israele del 7 ottobre. Nei giorni successivi questo numero è rimasto più o meno invariato, con impennate nei periodi immediatamente successivi ad escalation del conflitto, e quindi con l’aumento delle vittime palestinesi a seguito della risposta israeliana. 

È evidente che, come in tutte le guerre moderne, il controllo della narrazione diventa un elemento fondamentale per le parti in causa: da un lato Hamas, autore degli efferati crimini che hanno portato alla morte 1.200 civili israeliani, tenta di amplificare la violenza della risposta israeliana; dall’altra parte Israele ha tutto l’interesse a negare qualsiasi violenza nei confronti dei civili palestinesi. 

Il risultato è l’amplificazione della polarizzazione all’interno dell’opinione pubblica, se già non fosse presente, il tutto rispetto ad un conflitto che, da sempre, per sua natura sembra imporre di scegliere un proprio schieramento, a scapito della verità, che insieme ai civili, rappresenta la seconda vittima di qualsiasi guerra.

Per quanto infatti sia impossibile al momento determinare in maniera indipendente il numero delle vittime palestinesi, è difficile credere che sia molto lontano da quello fornito dal Ministero della Sanità palestinese, controllato da Hamas. Le preziose, e sempre più complesse, testimonianze che giungono dalla Striscia di Gaza, non lasciano infatti molti dubbi. Ad oggi sarebbero più di 10.000 le vittime dei bombardamenti israeliani, ed il bilancio sembra destinato ad aumentare. 

Di Pallywood non c’è nessuna traccia, i corpi delle vittime invece sono ben visibili.

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L'Autore

Giorgio Giardino

Giorgio Giardino, classe 1998, ha di recente conseguito la laurea magistrale in Politiche europee ed internazionali presso l'Università cattolica del Sacro Cuore discutendo un tesi dal titolo "La libertà di espressione nel mondo online: stato dell'arte e prospettive". Da sempre interessato a tematiche riguardanti i diritti fondamentali e le relazioni internazionali, ricopre all'interno di MI la carica di caporedattore per la sezione Diritti Umani.

Giorgio Giardino, class 1998, recently obtained a master's degree in European and international policies at Università Cattolica del Sacro Cuore with a thesis entitled "Freedom of expression in the online world: state of the art and perspectives". Always interested in issues concerning fundamental rights and international relations, he holds the position of Editor-in-Chief of the Human Rights team.

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