L’esponenziale aumento degli utenti internet asiatici rappresenta un’enorme opportunità di business per compagnie e governi locali, felici di potenziare le infrastrutture necessarie a garantire una connessione continua e stabile. È il fenomeno del “digital capitalism” - già largamente diffuso in Occidente - capace di produrre effetti straordinari oppure catastrofici, le cui conseguenze sono già materiale per gli storici della repressione. In particolare, ciò è vero con riferimento all’Asia, dove sempre più spesso vengono sviluppati sistemi in grado di filtrare tutto il traffico web in entrata e in uscita dai collegamenti dei cittadini – ovviamente, nell’interesse superiore del Paese – e dove, quindi, è più opportuno discutere di “intranet” piuttosto che di “internet". In informatica, infatti, una rete “intranet” è una rete completamente isolata da quella esterna - ossia, l'internet - e inaccessibile dagli utenti non autorizzati. Il termine è stato coniato in relazione a software utilizzati da aziende private, strutture pubbliche od organizzazioni di ricerca, ma attualmente viene esteso, in senso atecnico, anche ai sistemi adottati da alcuni governi al fine di esercitare un controllo sui contenuti online.
In Cina, ad esempio, impera il "Great Firewall": si tratta di un filtro di censura governativo che impedisce di accedere a più di diciottomila siti, tra i quali i social media e i contenuti c.d. “antigovernativi”. I cittadini sono costretti a utilizzare i "Virtual Private Network" (VPN) per superare le barriere e connettersi, ma non è sempre facile: da Whatsapp a Facebook, le autorità cinesi controllano e bloccano l'accesso al web.
In Cambogia, è stata recentemente annunciata la creazione di un blocco simile a quello cinese: il "Nig". Questo sistema filtrerà tutto il traffico in entrata e in uscita dai collegamenti dei cittadini ed entrerà in funzione all’inizio del prossimo anno, giusto in tempo per le elezioni amministrative e per il voto politico previsto di lì a poco.
In Corea del Nord è possibile navigare sul web, ma solamente sotto lo stretto controllo del regime di Pyongyang. Esistono, ma non sono diffusi, i collegamenti in fibra ottica e, soprattutto, il mondo online è costituito da una rete intranet chiamata "Kwangmyong", aperta nel 2000. È l'unica disponibile per la gente comune, che ha così la possibilità di accedere soltanto a un numero ristretto di siti controllati dal governo.
In Thailandia, invece, la dittatura militare al potere ha imposto ai provider e alle compagnie telefoniche di collaborare con la giustizia in casi di presunta lesa maestà, la legge che tutela il monarca thai da critiche e insulti da parte dei suoi sudditi e, di fatto, reprime il dissenso. Il metodo usato è l’analisi delle attività pubbliche e private condotte dagli utenti sui social network, in particolare su Facebook, dove è obbligatorio iscriversi con nome e cognome. Negli ultimi tre anni, secondo Open Democracy, in Thailandia ben 285 persone sono state processate per il reato di lesa maestà, che prevede pene dai tre ai quindici anni - cumulabili - di reclusione per capo d’accusa. In diversi processi, come prove a carico dell’accusato, sono stati utilizzati estratti di chat, messaggi privati e post di Facebook.
In Vietnam, racconta il New York Times, qualche settimana dopo l’accordo raggiunto tra il governo e Facebook per la rimozione dei contenuti che violano le leggi nazionali, l’autore di una poesia “contro il governo” è stato arrestato il giorno dopo averla postata sul proprio profilo.
In Arabia Saudita, il traffico internet applica un filtro ai contenuti, bloccandoli sulla base di due criteri e suddividendoli in due elenchi: uno relativo ai contenuti c.d. “immorali” - come i siti LGBTQ+ e quelli pornografici - e uno relativo a siti che promuovono ideologie diverse, considerati “minacce per la sicurezza nazionale”.
In Siria, a seguito della guerra civile, il Ministero delle Comunicazioni ha bloccato l'accesso a internet, arrivando a chiudere completamente internet per diversi periodi di tempo. All'interno del Paese non è consentito accedere a contenuti politici o sociali controversi senza subire molestie o arresti da parte del governo.
In Iran, la connessione al web c’è ma è molto restrittiva. La limitazione della velocità è frequente, come anche quella della larghezza di banda. Qualsiasi contenuto politico discutibile viene monitorato o rimosso e le ricerche degli utenti tracciate e controllate.
In India, secondo le nuove regole del ministero delle comunicazioni, il governo può sospendere l'internet in una determinata area durante emergenze o per ragioni di sicurezza pubblica. Nel solo 2017, indica Hindustan Times, è già successo quaranta volte.
Tutto questo accade nel 2021, quando nel 2016 il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che le restrizioni di accesso a internet sono una violazione dei diritti umani.
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L'Autore
Rebecca Scaglia
Tag
Diritti Digitali