Il cinema come atto di resistenza: Jafar Panahi

L'arte che sfida la censura per raccontare la realtà di un popolo in cerca di libertà

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  Jacopo Cantoni
  29 ottobre 2024
  4 minuti, 1 secondo

Jafar Panahi è e rimarrà una delle figure più emblematiche e coraggiose del cinema iraniano contemporaneo. Nato nel 1960, figlio di un imbianchino, il regista di Miyaneh, trascorre la sua infanzia nei teatri di Teheran e, già a dieci anni, dimostra una spiccata creatività e una passione per il racconto che lo hanno portato a realizzare i primi filmati in 8mm.

Dopo gli studi in regia all’Università di Teheran e l’esperienza formativa come assistente di Abbas Kiarostami, uno dei maestri indiscussi del cinema mondiale, che influenzerà profondamente il regista tanto da diventerà il suo mentore. Regista, poeta e fotografo, Kiarostami è stato un pioniere del realismo poetico iraniano e ha saputo trasformare i limiti imposti dalla censura in straordinarie opportunità creative, cosa che diventerà centrale, fondamentale e di viscerale importanza anche per Panahi.

Il suo stile essenziale, la riflessione esistenziale e l’uso della natura come cornice narrativa hanno segnato il percorso di Panahi, che ha appreso da lui l'arte di raccontare con semplicità apparente storie complesse e di grande impatto sociale.

Panahi ha esordito con "Il palloncino bianco" nel 1995, un racconto di ispirazione neorealista che segna l’inizio di una carriera di successo, premiata nei più importanti festival cinematografici internazionali.

Caratterizzato da un profondo realismo sociale, il cinema di P., esplora tematiche scomode come l’oppressione, l’ingiustizia e la difficile condizione della donna in Iran. Con film come "Il cerchio" (2000), vietato in patria ma celebrato al Festival di Venezia, e "Offside" (2006), che racconta la storia di un gruppo di donne che tenta di assistere a una partita di calcio travestendosi da uomini, P. ha raccontato le tensioni, le contraddizioni e la vitalità della società iraniana e con "Offside" offre uno spaccato unico delle speranze delle giovani donne iraniane, riflettendo al contempo sulla cecità di un sistema che reprime la libertà di genere. Nonostante la leggerezza apparente del film, Panahi riesce a mantenere un equilibrio tra denuncia sociale e celebrazione dell'umanità dei suoi protagonisti, raccontando la realtà iraniana con amore e senza reticenze.

La posizione critica del Pluripremiato nei confronti del governo, lo ha portato a scontrarsi con le autorità. Dopo la partecipazione alle proteste del movimento dell’"onda verde" contro la rielezione del presidente Mahmud Ahmadinejad nel 2009, P. è stato arrestato e condannato nel 2010 a sei anni di carcere e a vent’anni di divieto di lavorare nel cinema. Nonostante ciò, il regista ha trovato il modo di aggirare la censura. Ha realizzato film in clandestinità come "This is Not a Film" (2011) e "Taxi Teheran" (2015), dove, con un approccio minimalista, riflette sulla sua condizione di regista esiliato in patria, costretto a lavorare in segreto, e sulle difficoltà di un artista il cui sguardo viene costantemente censurato.

Taxi Teheran, che gli è valso l’Orso d’oro a Berlino, mostra P. nei panni di un tassista, discutendo con i suoi passeggeri delle difficoltà quotidiane di un popolo soggetto a rigide norme di controllo sociale (ho già dedicato un articolo a questo film).

Nel 2022, P. è stato arrestato nuovamente durante una visita alla procura di Teheran per avere informazioni sull’arresto di due colleghi, e ha iniziato un lungo sciopero della fame prima di essere scarcerato dopo sette mesi.

Poco prima dell’arresto, aveva completato "No Bears", un film in cui interpreta una versione romanzata di sé stesso mentre dirige una produzione da remoto, lungo il confine tra Iran e Turchia, in un racconto che intreccia il desiderio di libertà personale e il peso delle tradizioni. Presentato alla Mostra del cinema di Venezia, "No Bears" è stato accolto come un atto di resistenza artistica e ha ottenuto il Premio speciale della giuria.

Nel febbraio 2023, il divieto di lasciare il Paese, in vigore dal 2010, è stato revocato, permettendo finalmente a Panahi di recarsi in Francia e riabbracciare la figlia dopo 14 anni.

Il cinema di P., definito "sordido realismo" dalle autorità iraniane per la sua rappresentazione diretta della società, è un atto di profonda resistenza e resilienza. Nonostante le pressioni e la censura, Panahi non ha mai abbandonato la sua visione artistica. I suoi film sono un ritratto autentico e universale dell’aspirazione alla libertà e della lotta per i diritti civili, che supera i confini geografici per raggiungere un pubblico globale. La sua opera rimane una testimonianza dell’indomabile forza creativa di un artista inarrestabile, e una celebrazione della dignità di un popolo in cerca di una "primavera" politica e ideologica.

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L'Autore

Jacopo Cantoni

Laureato in Cinema presso l'Alma mater Studiorum di Bologna, mi cimento nella scrittura di articoli inerenti a questo bellissimo campo, la Settima Arte. Attualmente frequento il corso Methods and Topics in Arts Management offerto dall'università Cattolica del Sacro Cuore.

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Jafar Panahi Iran Cinema Teheran Abbas Kiarostami Il palloncino bianco Il cerchio Offside Mahmud Ahmadinejad This is not a film Taxi Teheran No bears