Il declino della Françafrique nel Sahel

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  Francesco Maria Lorenzini
  16 dicembre 2022
  8 minuti, 20 secondi

Con il termine Françafrique si intende quell’insieme di relazioni asimmetriche che legano la Francia alle sue ex colonie in Africa occidentale e centrale. Questo sistema prevede il mantenimento del controllo indiretto della Francia sulle classi dirigenti africane in modo da tutelare i propri interessi geopolitici ed economici. Utilizzato prevalentemente con un’accezione negativa, volta a rimarcare l’atteggiamento neocolonialista dell’ex madrepatria, la Françafrique ha rappresentato un caposaldo della politica estera francese da Charles de Gaulle in poi.

Tuttavia, oggi questa porzione di mondo non è più interamente sotto la sfera di influenza d’oltralpe ma, per la prima volta dalla fine del XIX secolo, si erge sempre più minacciosa l’ombra dell’orso russo. Per ironia della sorte, il seme del declino della potenza francese in Africa è stato piantato dalla Francia stessa. Nel 2011 Nicolas Sarkozy decide di intervenire nella guerra civile libica, forte del sostegno britannico e del beneplacito di Barak Obama. La no-fly zone imposta dall’aviazione francese sotto l’egida del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha giocato un ruolo fondamentale nel provocare la caduta di Muammar Gheddafi. Ma quello che è sembrato essere il trionfo delle Primavere Arabe è diventato ben presto un rompicapo senza soluzione. Se sono ben noti gli effetti catastrofici della caduta della Jamahiriya sul fronte del Mediterraneo, meno conosciute (ma non meno gravi) sono invece le sue conseguenze sul versante meridionale della Libia: il Sahara e, ancora più a sud, il Sahel, quella striscia di terra che divide il deserto dai Paesi rivieraschi del Golfo di Guinea.

La stabilità dei Paesi saheliani, in particolare Chad, Niger, Mali e Burkina Faso, si è basata a lungo sui petrodollari del Colonnello Gheddafi. Questi Stati (tra i più poveri al mondo e tutti ex domini coloniali francesi) sono divisi in due dal punto di vista etnico: la maggioranza nera, alla quale la Francia ha delegato il potere, vive nella parte più fertile ed ospitale a sud, mentre la minoranza bianca (araba e Tuareg) esclusa dalla distribuzione delle risorse e sprovvista di rappresentanza politica a livello centrale, è relegata nelle zone desertiche settentrionali al confine con Algeria e Libia. In questo contesto la stabilità e la ricchezza della Libia hanno costituito a lungo una valvola di sfogo per il malcontento delle tribù nomadi, dato che per anni migliaia di giovani Tuareg si sono arruolati nelle forze armate di Gheddafi per sfuggire a povertà e discriminazione.

Bisogna poi considerare che, a causa della porosità delle sue frontiere e dell’instabilità dei suoi governi, il Sahel è stato da sempre crocevia dei traffici più vari, dal contrabbando di droga a quello dei migranti diretti verso l’Europa. Inoltre, diversi gruppi terroristici di matrice islamica si sono rifugiati nel nord del Mali dopo essere stati sconfitti dalle forze di sicurezza algerine alla fine degli anni ’90. Da qui sono nate diverse sigle terroristiche, tra cui nel 2005 la “filiale” regionale di Al-Qaida nel Maghreb Islamico (AQMI). Anche in questo caso la presenza di una Libia stabile ed economicamente egemone ha rappresentato un elemento di contenimento.

Non sorprende quindi che il collasso dello Stato libico abbia rotto il precario equilibrio che regnava nel Sahel. Caserme ed armerie sono state svuotate ed una marea di armi ha iniziato a girovagare per il Sahara, passando tra le mani di contrabbandieri, terroristi e predoni. In aggiunta, i mercenari Tuareg sono stati costretti a tornare a casa senza poter più contare sul soldo di Gheddafi, armati fino ai denti ed induriti da anni di addestramento militare.

A fare per primo le spese con tale situazione esplosiva è stato il Mali, che nel 2012 ha rischiato di essere travolto dall’insurrezione congiunta dei gruppi islamisti e delle tribù nomadi, riunite nel Movimento di Liberazione dell’Azawad (il nome con cui i Tuareg chiamano le regioni settentrionali del Mali). Gli insorti arrivano alle porte della capitale Bamako ed il governo si ritrova costretto a richiedere l’aiuto francese. François Hollande risponde inviando le forze speciali: ha inizio l’operazione Serval ed in pochi mesi l'esercito francese respinge l’assalto passando alla controffensiva. In questa fase interviene anche l’ONU, predisponendo una missione di peacekeeping, MINUSMA, alla quale prendono parte 57 Paesi per un totale di più di 13.000 uomini.

A metà 2014 le forze francesi hanno raggiunto il loro obiettivo di liberare Tombouctou ed il resto del Mali Settentrionale. L’operazione Barkhane prende il posto di Serval con l’obiettivo di garantire il processo di stabilizzazione del Paese e “stanare” i jihadisti rimasti. In questa fase l’impegno occidentale aumenta considerevolmente. La regione del Sahel è d’altronde strategica per la protezione delle frontiere meridionali dell’Europa: le rotte dei migranti subsahariani che arrivano in Libia passano tutte da qui. L’obiettivo è quello di coinvolgere maggiormente gli Stati dell’area e delegare loro la gestione della crisi. Per questa ragione la Francia promuove la nascita del G5 Sahel, organismo regionale con funzione di coordinamento in materia di sicurezza che riunisce al suo interno Burkina Faso, Chad, Mali, Mauritania e Niger. Parallelamente, l’Unione Europea dà vita ad EUTUM (European Union Training Mission) e EUCAP Mali Sahel (European Union Capacity Building Mission) per addestrare rispettivamente l’esercito e le forze di sicurezza locali.

La situazione però peggiora. Le autorità maliane continuano ad essere corrotte ed inefficienti ed il Jihad, sfruttando anche le divisioni etniche, ne approfitta. Migliaia di giovani provenienti dalle zone rurali dimenticate dallo Stato centrale si uniscono ai gruppi ribelli. Il risultato è che tra il 2015 ed il 2019 gli islamisti ritornano a minacciare Bamako ed espandono il teatro delle loro operazioni nei Paesi confinanti. Se la Mauritania riesce ad impedire l’infiltrazione jihadista, Burkina Faso e Niger non sono altrettanto efficaci e perdono il controllo di intere regioni. Si crea la famigerata zona “dei tre confini”, un’area compresa tra Mali, Burkina Faso e Niger in cui la presenza statale è praticamente inesistente. Di conseguenza, i francesi sono costretti ad ampliare il raggio d’azione di Barkhane (che in questa fase raggiunge la sua estensione massima, circa 5.000 uomini) e ad avviare una seconda operazione, Sabre, in Burkina Faso. Nel 2019 nasce anche un raggruppamento militare europeo, la task force Takuba, alla quale prende parte l’Italia con un contingente tuttora stanziato in Niger.

Nel 2020 è ormai chiaro che gli sforzi francesi ed europei non hanno portato i frutti sperati. Come già accaduto in Iraq ed Afghanistan, un esercito occidentale non si è dimostrato capace di eradicare la guerriglia islamica nonostante anni di presenza sul terreno. Ciò non ha fatto altro che gettare benzina sul fuoco del forte sentimento antifrancese che serpeggia tra la popolazione locale, covato dai tempi della colonizzazione e mai del tutto sopito: diventano sempre più frequenti le manifestazioni popolari contro la Francia. Si intensificano anche le tensioni tra l’esecutivo di Emmanuel Macron ed i governi del gruppo G5 Sahel, fino ad arrivare alla minaccia francese di ritirare le proprie truppe durante il Summit di Pau del gennaio 2020. Inizia così il disimpegno della Francia che dimezzerà gli effettivi entro il 2021.

Nel frattempo, l’instabilità politica e securitaria in Mali cresce, portando a due colpi di Stato nel biennio 2020-2021. Il leader della giunta militare che si installa al potere, il colonnello Assimi Goita, decide di cavalcare l’ondata di malcontento verso gli antichi colonizzatori e consolidare così la sua legittimità a livello interno. Inizia un duro braccio di ferro con la diplomazia francese che si conclude ad inizio 2022, con l’espulsione dell’Ambasciatore di Francia a Bamako.

La Federazione russa, già presente da alcuni anni nella Repubblica Centrafricana, capisce subito di potersi inserire in questa frattura. Il Cremlino vede diversi vantaggi in un’operazione di questo genere. In primo luogo, vi è l’interesse a mettere le mani sulle risorse minerarie del Sahel (soprattutto oro ed uranio) e creare un corridoio che arrivi fino al Mediterraneo. L’obiettivo finale sarebbe congiungere il Sahel alla Cirenaica, regione orientale della Libia governata dal Generale Haftar e ormai da tempo sotto l’influenza del Cremlino. In questo modo la Russia potrebbe esercitare un controllo sui  flussi migratori, acquisendo un’ulteriore arma di pressione sull’avversario europeo. Infine, interessano i voti degli Stati saheliani in sede ONU, nel tentativo di sovvertire i numeri tradizionalmente a favore dell’Occidente nelle dispute con la Federazione russa.

Nel dicembre 2021 il gruppo Wagner, ormai celebre compagnia militare privata legata al Ministero della difesa russo, fa il suo ingresso in Mali. Il colonnello Goita vuole in questo modo sostituire la Francia sul fronte della lotta al terrorismo. Riesce quasi subito nel suo intento: il 17 febbraio 2022 Emmauel Macron dichiara che le truppe francesi faranno ritorno in patria entro sei mesi e Barkhane viene ufficialmente chiusa a novembre. Per lo stesso motivo diverse nazioni europee annunciano il ritiro dei rispettivi contingenti da MINUSMA, tanto da mettere a repentaglio la continuazione della missione di pace.

Ad oggi, il fronte della contesa tra Francia e Russia rischia di allargarsi. Nelle ultime settimane il Burkina Faso (dove si sono verificati due colpi di Stato in pochi mesi), ha visto aumentare le proteste contro la Francia. Anche in Niger iniziano a comparire tra i manifestanti le prime bandiere della Federazione Russa.

Solo il tempo potrà dire se la Russia sarà capace di sfruttare il vento favorevole ed espandersi nel Sahel. Magari in direzione del Niger, ricco di quei giacimenti d’uranio che la Francia considera fondamentali per garantire il funzionamento delle proprie centrali nucleari: l’indipendenza energetica europea dipende anche dalle sorti della Françafrique nel Sahel.

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Fonti consultate per il presente articolo: 

 https://www.lemonde.fr/politique/article/2011/09/16/francafrique-un-mot-valise-entre-mallettes-et-scandales_1571935_823448.html

 https://www.cairn-int.info/article-E_AFCO_245_0071--the-destabilization-of-post-gaddafi-mali.htm

 https://www.reuters.com/article/us-sahara-libya-idUSTRE7AN0QG20111124

 https://www.clingendael.org/sites/default/files/pdfs/The_roots_of_Malis_conflict.pdf

 https://esthinktank.com/2022/05/04/understanding-the-conflict-in-mali-france-the-eu-and-the-consequences-of-intervention/

  https://www.lemonde.fr/afrique/article/2022/02/17/la-france-acte-son-retrait-militaire-du-mali-sur-fond-de-rupture-avec-la-junte-au-pouvoir-a-bamako_6114042_3212.html

 https://www.huffingtonpost.fr/international/video/pourquoi-le-mali-a-t-il-expulse-l-ambassadeur-de-france_192207.html

 https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/what-went-wrong-mali-future-frances-presence-sahel-3415

https://www.crisisgroup.org/africa/central-africa/central-african-republic/russias-influence-central-african-republic

 https://www.africarivista.it/prosegue-la-marcia-di-mosca-sul-continente-africano/207476/

https://www.africarivista.it/perche-loccidente-dovra-ripensare-la-propria-politica-strategica-in-africa/204009/

 https://www.rfi.fr/en/france/20220223-does-nuclear-power-guarantee-france-s-energy-independence-uranium-imported-niger-macron-russia

Immagine : Mappa Del Deserto Del Sahara E Della Zona Del Sahel - Immagini vettoriali stock e altre immagini di Sahel - iStock (istockphoto.com) 

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    L'Autore

    Francesco Maria Lorenzini

    Project manager e consulente nell'ambito della cooperazione internazionale, ha lavorato alla realizzazione di progetti di sviluppo in Burkina Faso, Mali, Senegal e Tunisia. Appassionato di politica internazionale, segue con interesse i rivolgimenti politici ed economici in corso in Africa e nell'area MENA.

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    sahel Francia Africa sicurezza internazionale terrorismo