Il gruppo religioso estremista che influenza la politica estera di Trump

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  Giovanni Ferrazza
  23 marzo 2025
  6 minuti, 49 secondi

Chi sono gli evangelici? Negli Stati Uniti c’è un movimento religioso che non solo aspetta, ma prega per l’arrivo dell’apocalisse. I gruppi di cui è formato il movimento, che si riconoscono come parte della Chiesa Evangelica, esercitano sempre maggiore influenza sui vertici del potere alla Casa Bianca. E’ molto difficile definire con precisione cosa sia un evangelico. Si può dire che il movimento, il quale si trova all’interno del più ampio Cristianesimo Protestante, creda in un’interpretazione molto letterale della Bibbia ed enfatizzi l’evangelizzazione di Gesù, cioè la parola di Cristo usata per la conversione dei non credenti. Non a caso, agli evangelici americani viene spesso associato il termine born again, “rinato”, inteso come nuova vita data dalla redenzione dei propri peccati e dall’accettazione della salvezza di Gesù. Oltre ad essere convintamente anti-abortisti e forti oppositori dei movimenti dei diritti civili in ogni loro forma, gli evangelici americani si contano in circa ottanta milioni di cittadini (quasi un quarto della popolazione), la cui gran maggior parte vive nella cosiddetta “Bible Belt”, l’insieme di stati più conservatore e religioso d’America. E' quindi comprensibile sapere che l’85 percento degli evangelici bianchi, i quali formano la maggior parte del movimento, voti repubblicano.

Il ruolo della religione in America. Da sempre e in tutte le società, il potere religioso è andato a braccetto con quello politico. A maggior ragione negli Stati Uniti, che nonostante abbiano subito un processo di secolarizzazione rimangono uno dei paesi occidentali più religiosi, le due entità si sono accompagnate l’un l’altra. Comprendere il ruolo che la religione ha, ed ha avuto nella vita civile e politica statunitense non è facile. Le primissime origini dell’impatto che la religione ha avuto nel Nuovo Mondo vanno ricercate tra gli inglesi che riuscirono a fondare le prime colonie negli Stati Uniti: i puritani. Essi si consideravano come il popolo eletto da Dio per riformare la Chiesa Anglicana, e cercarono in ogni modo di eliminare ogni traccia di cattolicesimo rimasta nelle istituzioni clericali. Nel loro modo di governare, politica, etica e religione erano direttamente comunicanti: gli uomini preposti al governo erano eletti dal popolo, ma allo stesso tempo scelti da Dio e responsabili della scelta e dell’applicazione di ciò che era considerato moralmente giusto nella società. Quando poi fu il tempo dei padri fondatori, essi capirono immediatamente che la neonata nazione, fondata sul concetto di separazione dei poteri e su base democratica e repubblicana, aveva bisogno di gravitas. La religione iniziò allora ad accompagnarsi alle giovani istituzioni statunitensi, dando loro la sacralità di cui avevano bisogno per essere considerate legittime; basti pensare che oggi i presidenti giurano sulla Bibbia durante la loro inaugurazione e concludono i loro discorsi con la celebre frase “God Bless America”. Nel corso degli anni, poi, la religione negli States ha preso le accezioni più estreme e sfaccettate: passando dalle sette sanguinarie, alle "megachiese", congregazioni di migliaia di fedeli che si riuniscono in un unico edificio creando una vera e propria comunità a parte, dove il pastore assume un ruolo da vera e propria rockstar celebrando la messa davanti a folle ammaliate. Gli anni ‘80 e ‘90, infine, hanno visto l’ascesa degli evangelici, che hanno fatto della lotta politica in nome della religione il loro proposito massimo.

Il sionismo e il rapporto con Trump. I gruppi evangelici più importanti negli Stati Uniti, tra cui rientra il CUFI (Christians United for Israel) con i suoi 10 milioni di associati, si ritengono combattenti crociati impegnati in una lotta contro il male. Attendono impazientemente l’Apocalisse, a cui seguirà l’avvento di Gesù Cristo (il quale giustizierà tutti i non credenti, e porterà con sé in Paradiso i suoi fedeli), e vedono nell'esistenza di Israele, la terra promessa, il suolo fondamentale per la buona riuscita di questo evento. Convintamente sionisti, anche se spesso tacciati di anti-semitismo per via di dichiarazioni controverse, i pastori delle mega-chiese evangeliche tengono lunghi sermoni riguardo alla legittimità di Israele, e appaiono spesso su canali conservatori come Fox News parlando della necessità di prepararsi alla fine del mondo.  L’impegno degli evangelisti in questa battaglia, però, non si ferma alle prediche nelle chiese del Sud o ai teatrali interventi televisivi. Un'inchiesta del giornale israeliano Haaretz del 2018 ha svelato che diverse associazioni che gravitano nell’orbita dell’universo evangelista avevano donato più di 65 milioni di dollari in dieci anni alla causa israeliana. Questi soldi, sempre secondo Haaretz, avevano finanziato le attività degli insediamenti illegali dei coloni israeliani in Cisgiordania. Dopo il 7 ottobre, inoltre, diversi altri milioni provenienti da donazioni evangeliche sono entrati nelle casse di Israele; secondo l'Associated Press, il CUFI avrebbe elargito più di tre milioni. Da sempre, la destra cristiana è stata tra i principali sostenitori del GOP. Soprattutto però, negli ultimi anni, il movimento ha appoggiato Donald Trump e ha contribuito alla creazione del culto della personalità che circonda la figura del magnate newyorchese.  Gruppi come il CUFI, premono da anni sulle alte sfere del potere di Washington affinché il sostegno americano a Israele non venga a mancare. Con Donald Trump hanno trovato terreno fertile. La vicinanza a personalità di spicco evangeliche come Robert Jeffers di Dallas, ospite fisso di Fox News, e pastore che ha anche tenuto una preghiera nello Studio Ovale all’epoca della prima amministrazione Trump, o John Hagee, fondatore del CUFI, negazionista del cambiamento climatico e accusato a più riprese di omofobia e intolleranza, è per Trump il ponte perfetto per ingraziarsi una larghissima fetta di elettori fondamentalisti, ed ergersi come salvatore di un Occidente i cui valori sono ormai in decadenza. La decisione, poi, di creare un Ufficio della Fede alla Casa Bianca e nominare l’ex televangelista Paula White Cain come Consigliera, non solo ha ulteriormente avvicinato Trump a quella fetta di 80 milioni di americani il cui sostegno è stato (ed è) fondamentale, ma ha permesso al gruppo religioso di accedere direttamente al vertice del potere di Washington. Durante la sua prima presidenza, il rapporto tra Donald Trump e la Chiesa Evangelica è sfociato nella decisione del Presidente di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo così ufficialmente la sovranità di Israele nella città santa, e delegittimando ogni sorta di rivendicazione palestinese. Inoltre, la scelta di un evangelico del Midwest come Mike Pence alla vicepresidenza non è stata casuale, ma volta ad assicurarsi il supporto di quello specifico bacino elettorale.  Altro grande punto di contatto tra Trump e la Chiesa evangelica nel suo primo mandato è stata l’apertura di una base militare americana in Israele. Come ricorda il colonnello Larry Wilkerson, ex capo di gabinetto del Segretario di Stato Colin Powell durante l’era Bush nel documentario "Praying for Armaggedon", una base in quell’area sarebbe potuta essere, nello scongiurato caso di volontario o accidentale attacco di Hezbollah (o di qualsiasi altro gruppo armato), il casus belli per un intervento americano molto più diretto e massiccio a Gaza, evento esorcizzato per decenni dai vertici militari americani.

Cosa aspettarsi? Il gioco che Trump e la Chiesa Evangelica americana hanno fatto fino ad ora ha decisamente beneficiato entrambe le parti. Data la tensione presente nella Striscia del post 7 ottobre e il costante avvicinamento di Trump a Israele, è molto probabile che il suo secondo mandato assumerà caratteri ancora più marcatamente vicini al gruppo religioso, che, anche se vittima del trentennale allontanamento degli americani dalla religione, continua a svolgere un forte lavoro di lobbying alla Casa Bianca, e persiste nel far sentire il suo supporto per il Presidente. Solo il mese scorso, John Hagee, fondatore e presidente del CUFI, aveva visitato Netanyahu poco prima della sua visita alla Casa Bianca dichiarando vicinanza e pieno supporto al leader israeliano.

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Giovanni Ferrazza

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America del Nord

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