Il ruolo della NATO nella sicurezza dell'Indo-Pacifico

Un fragile equilibrio fra deterrenza ed instabilità

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  Francesco Oppia
  23 gennaio 2025
  5 minuti, 23 secondi

Negli ultimi anni, l'avvicinamento tra Cina, Corea del Nord e Russia ha rafforzato la percezione, da parte dei membri della NATO, dell'interconnessione tra la sicurezza europea e quella asiatica. Questo legame è emerso con maggiore evidenza in seguito al sostegno fornito dalla Cina e dalla Corea del Nord alla Russia nelle sue operazioni belliche in Ucraina. In cambio, la Russia potrebbe supportare i programmi nucleari e missilistici della Corea del Nord, appoggiare le posizioni di Pechino e Pyongyang in Asia e, se necessario, intervenire direttamente a favore dei suoi partner.

La NATO, di fronte a questi sviluppi, avrebbe interesse ad estendere la sua presenza nell'Indo-Pacifico, al fine di scoraggiare l'assistenza militare alla Russia. Tuttavia, il contributo della NATO nella regione è inevitabilmente limitato a causa dei vincoli geografici stabiliti dal trattato istitutivo. Le sue iniziative si concentrerebbero principalmente in ambiti quali l'industria per la difesa e il contrasto ad eventuali azioni ostili di carattere ibrido, come le minacce informatiche.

Nonostante il crescente coinvolgimento della NATO nella regione, non vi è al suo interno unanimità di pensiero circa il livello di impegno che l'Alleanza dovrebbe assumere nell'Indo-Pacifico e sulla gravità della minaccia rappresentata dalla Cina per la sicurezza europea. I membri della NATO temono che, qualora gli Stati Uniti intervenissero militarmente per difendere Taiwan da un attacco cinese, Washington potrebbe essere costretta a lasciare agli alleati europei il compito di gestire autonomamente la deterrenza contro la Russia. Inoltre, un fallimento della stessa nello Stretto di Taiwan avrebbe effetti economici devastanti, con stime che indicano una riduzione del PIL globale fino a 10mila miliardi di dollari in caso di conflitto. Uno scenario simile si verificherebbe anche in caso di guerra nella penisola coreana.

Nel 2019, per la prima volta, la NATO ha menzionato ufficialmente la Cina nella Dichiarazione di Londra, evidenziando che "la crescente influenza della Cina e le sue politiche internazionali presentano sia opportunità che sfide" per l'Alleanza. Questo fatto segna un cambiamento significativo rispetto al Concetto strategico del 2010, che non faceva nemmeno riferimento alla Cina. Il cambio di approccio è stato confermato nel vertice di Madrid del 2022, quando è stato adottato un nuovo Concetto strategico, in cui si affermava che "le ambizioni e le politiche coercitive della Cina sfidano i nostri interessi, la nostra sicurezza e i nostri valori", sottolineando anche i tentativi congiunti di Cina e Russia di "minare l'ordine internazionale". Inoltre, la NATO ha invitato al vertice congiuntamente per la prima volta i leader di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud (noti come AP4), segnalando l'importanza che l'Alleanza attribuisce alla cooperazione transregionale.

Il comunicato del vertice di Vilnius del 2023, a cui hanno nuovamente preso parte gli AP4, ha ulteriormente sottolineato le preoccupazioni della NATO nei confronti della Cina. La NATO ha manifestato l'intenzione di condurre esercitazioni congiunte, oltre a rafforzare i rapporti con gli stati asiatici attraverso una serie di accordi di partenariato. Tra questi, il Giappone emerge come il partner non-europeo più longevo dell'Alleanza, nonostante la cooperazione pratica sia iniziata solo dopo gli attacchi dell'11 settembre.

Sebbene la convergenza tra la NATO e i partner asiatici sembri destinata a rafforzarsi, non va interpretata come una piena sovrapposizione di interessi. Per la NATO, la Cina è principalmente osservata attraverso la "lente" della Russia, con particolare attenzione al loro "partenariato strategico". La firma di questo accordo nel 2022 ha suscitato preoccupazioni, soprattutto per l’inclusione di un invito esplicito alla NATO a fermare l’ammissione di nuovi membri, appello visto come un’ingerenza nella sicurezza europea. Nonostante ciò, gli Stati membri della NATO non puntano a una rottura totale con la Cina, riconoscendo il suo ruolo cruciale come partner commerciale.

L’Organizzazione Atlantica deve essere consapevole che il rafforzamento dei suoi legami con i paesi dell'Indo-Pacifico sarà sfruttato dalla Cina per alimentare la narrazione secondo cui l'Alleanza sta fomentando il conflitto nella regione. Secondo esperti cinesi, un maggiore coinvolgimento della NATO aumenterebbe i rischi di divisione e confronto, incrementando la competizione per l’egemonia regionale. In particolare, il Giappone è accusato di esagerare la narrativa della "minaccia cinese" e di sfruttare i valori di "democrazia, libertà e apertura" per rimodellare l'ordine regionale a suo favore.

L'istituzione di un ufficio di collegamento della NATO in Giappone è percepita da Pechino come uno strumento per intensificare gli interventi dell'Alleanza nella regione. Questo fatto, secondo gli accademici cinesi, permetterebbe alla NATO di interferire negli affari regionali, aumentando il rischio di scontri. Inoltre, la partecipazione delle nazioni europee a esercitazioni militari nel Pacifico occidentale è vista come un tentativo di innescare una nuova Guerra Fredda, volta a preservare l'egemonia statunitense.

Per quanto riguarda Taiwan, l'attuale governo del Partito Democratico Progressista (DPP) potrebbe considerare il consolidamento della presenza della NATO e dei suoi stati membri nella regione come un rafforzamento della sua sicurezza. Tuttavia, questo potrebbe indurre Taipei ad adottare una postura più provocatoria nei confronti di Pechino, rischiando di accrescere le tensioni nello Stretto di Taiwan e destabilizzare ulteriormente la regione.

In conclusione, un maggiore coinvolgimento della NATO nella regione potrebbe avere due effetti opposti. Da un lato, l'aumento della cooperazione con le democrazie asiatiche potrebbe rafforzare la loro capacità di dissuasione, contribuendo alla stabilità regionale. Dall'altro lato, se Pechino percepisse che il suo obiettivo di unificazione con Taiwan dovesse diventare irraggiungibile, o se dovesse considerare l'indipendenza taiwanese come imminente, potrebbe sentirsi costretta ad usare la forza per ottenere il controllo dell'isola.

Per evitare il rischio di un'escalation incontrollata, la NATO potrebbe adottare una politica di ambiguità strategica circa Taiwan, simile a quella seguita dagli Stati Uniti. Questo approccio permetterebbe di evitare segnali che potrebbero indurre la Cina ad azioni militari, mantenendo al contempo una posizione di deterrenza nei confronti di Pechino e Pyongyang. Allo stesso tempo, tale strategia contribuirebbe a prevenire che Taiwan intraprenda politiche provocatorie verso la Cina, evitando che il governo di Taipei si senta troppo sicuro nel fare passi concreti verso l'indipendenza formale. In questo modo, la NATO potrebbe favorire un equilibrio nella regione, riducendo il rischio di conflitti diretti senza compromettere la stabilità regionale.

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L'Autore

Francesco Oppia

Autore di Mondo Internazionale Post

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Asia Orientale

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NATO Cina Taiwan ambiguitàstrategica espansione Giappone