Un posacenere a grandezza naturale. Così è stato definita da molti la città di Los Angeles, vittima di una combo letale di vento e siccità che ha fatto delle fiamme scenario predominante nelle ultime settimane.
Oltre centomila persone hanno visto le proprie case prendere fuoco davanti ai loro occhi, la prova tangibile che il cambiamento climatico non fa distinzione e non risparmia nemmeno i divi di Hollywood. Quella della California è una condizione tristemente nota ormai: oltre 20 incendi di portata considerevole hanno devastato la West Coast negli ultimi 20 anni. In situazioni come queste un contributo fondamentale arriva dal corpo dei vigili del fuoco, composto in parte da ex detenuti colpevoli di reati minori. Sebbene il loro aiuto sia essenziale nella lotta contro le fiamme, il tema delle condizioni di lavoro di questi individui continua a suscitare polemiche in merito alle discutibili politiche di impiego.
Slavery Clause e impiego dei detenuti in California
Nel 1865 il XIII emendamento della Costituzione abolisce formalmente la schiavitù negli Stati Uniti. L’emendamento include però un’importante clausola:
Né la schiavitù né la servitù involontaria, salvo che come punizione per un crimine di cui la parte sia stata debitamente condannata, esisteranno negli Stati Uniti o in qualsiasi luogo soggetto alla loro giurisdizione.
Questa clausola consente la “servitù involontaria” come punizione per i crimini, manifestandosi in particolare in settori vulnerabili e in condizioni di sfruttamento, con violazioni dei diritti umani. Il dibattito su questa questione dura ormai da oltre un secolo e si riaccende in occasioni come quella degli incendi a Los Angeles, alimentando la polemica tra chi ritiene che l’utilizzo di questa pratica costituisca una legalizzazione di uno schiavismo “mascherato”.
In alcuni Stati, come la California, la manodopera avviene su base volontaria, ovvero attraverso un consenso scritto da parte dei detenuti quando decidono di partecipare come vigili del fuoco o in altre situazioni di emergenza. I lavori che svolgono spaziano dalla manutenzione nelle carceri a lavori per aziende private interessate ad ottenere manodopera a prezzi molto bassi. Spesso sono impiegati anche nei lavori agricoli, in condizioni precarie, esposti a fatiche estenuanti sotto il sole, senza adeguate misure di protezione.
Occasione di redenzione: un’arma a doppio taglio
Ad oggi gli Stati Uniti contano 2,2 milioni di detenuti e, secondo quanto riportato dal Dipartimento di Correzione e Riabilitazione della California (CDCR), circa 950 di loro sono attualmente impegnati in prima linea per combattere contro le fiamme a Los Angeles. Molti si ritengono privilegiati a poter aiutare in situazioni di emergenza.
Ci stiamo costruendo una buona reputazione, quando esci con la divisa non importa chi sei e cos’hai fatto, sei un pompiere e questo è quanto.
Tuttavia, questa forma di “volontariato” è spesso un’arma a doppio taglio. Molti detenuti scelgono di partecipare a questi programmi perché li vedono come un'opportunità per ridurre la loro pena e dimostrare la propria volontà di redenzione. Tuttavia, ci sono preoccupazioni legittime sul fatto che queste promesse non sempre si traducano in benefici concreti, trasformando quella che sembra un’opportunità in una forma di pressione implicita per accettare condizioni di lavoro estremamente difficili. Inoltre, esiste una regola che impedisce ai detenuti condannati per determinati reati di ottenere una licenza da EMT (Emergency Medical Technician) fino a dieci anni dopo l’uscita dalla prigione.
Ai detenuti, oltre a un addestramento intensivo, non è fornita una preparazione adeguata ad affrontare i rischi legati al mestiere da svolgere. In California, infatti, il percorso per diventare pompiere dura dai 2 ai 5 anni e prevede il conseguimento di una serie di certificazioni necessarie per garantire che l'individuo sia adeguatamente preparato a gestire situazioni ad alto rischio. Secondo uno studio della Freedom United, un’organizzazione che sensibilizza sulla schiavitù moderna, il rischio di morte per questi civili è quattro volte superiore rispetto ai colleghi non detenuti, mentre quello di subire ferite gravi è otto volte superiore.
Inoltre, lo stipendio medio è di circa 80.000$ all’anno, cifra ben al di sopra dei 5-10$ al giorno, guadagnata dai volontari carcerati. Retribuzione che, secondo il Business Insider, è anche ben al di sotto del salario minimo californiano di $16,50 all'ora. Esistono quindi disparità significative sia nella retribuzione che nei diritti umani per questi individui.
Questi esempi dimostrano come la Slavery Clause alimenti un sistema di lavoro carcerario negli Stati Uniti che consente l’impiego di detenuti in condizioni ben al di sotto degli standard minimi di tutela e salario. Quella che appare come un’opportunità di redenzione si rivela spesso una pressione difficile da rifiutare, con promesse di benefici che non sempre si concretizzano. Il rischio per la vita è altissimo, le condizioni di lavoro precarie, e la retribuzione è ingiustamente bassa rispetto ai pericoli affrontati. Il tema solleva questioni morali e giuridiche, poiché ammette attività di sfruttamento che vanno oltre il semplice volontariato. In un contesto dove il cambiamento climatico impone sfide sempre più grandi, è fondamentale rivedere le politiche di impiego dei detenuti, affinché ciò che viene presentato come una “seconda occasione” non diventi un gioco allo sfruttamento che perpetua disuguaglianze e ingiustizie.
Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2025