Iraq: crisi politica e scisma sciita

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  Sara Oldani
  07 ottobre 2022
  5 minuti, 6 secondi

Iraq: crisi politica e scisma sciita

Lo scorso 3 ottobre l’Iraq ha festeggiato il 90esimo anniversario dell’indipendenza dal Regno Unito e della creazione di uno Stato “sovrano”. Ad oggi, dopo decenni di conflitti e crisi socio-politica, l’Iraq è ancora lontano da una indipendenza piena ed effettiva, non solo a causa delle dinamiche securitarie interne, ma specialmente per la sua posizione geografica. Gli ultimi scontri nel Paese – avvenuti tra fazioni sciite – sono un importante avvenimento che potrebbe avere ripercussioni al di fuori del panorama politico iracheno, con conseguenze rilevanti sull’intero Medio Oriente e sull’influenza iraniana su di esso.


L’assalto ai palazzi del potere: la Green Zone

Per comprendere l’origine degli scontri e la messa a ferro e fuoco della Green Zone di Baghdad – quartiere nel quale sono presenti le sedi delle istituzioni nazionali e delle ambasciate straniere – è necessario fare una breve premessa. Infatti le due fazioni principali attrici degli scontri sono rappresentate dal Movimento Sadrista, il cui leader non ufficiale è il carismatico e controverso Moqtada al-Sadr, e le milizie sciite legate all’Iran. La competizione è cominciata inizialmente nell’arena politica, in particolare a seguito delle elezioni dell’ottobre 2021, le quali hanno visto come vincitore (con la maggioranza relativa) proprio al-Sadr la cui coalizione ha ottenuto 73 su 329 seggi in Parlamento a scapito delle fazioni tradizionalmente vicine all’Iran. Per giungere alla formazione di un governo unitario, il populista al-Sadr - facendo leva sull’importante legittimazione di cui gode e sul suo ampio network ereditato dalla lotta contro Saddam Hussein e l’occupazione della coalizione internazionale nel 2003 – voleva giungere ad un accordo con le altre forze politiche sunnite e curde. Tale strategia, però, era chiaramente in disaccordo con quella delle altre fazioni pro-Iran, per cui, dopo mesi di stallo politico fomentato dall’opposizione, al-Sadr ha invitato i suoi seguaci a dimettersi dal Parlamento per protesta.

Dopo un’ulteriore escalation di tensione, la quale ha acuito ancora di più la frattura esistente tra la società civile e l’élite politica, le dichiarazioni circa il ritiro dalla vita politica di al-Sadr hanno fatto cadere la capitale nel caos verso la fine di agosto: gli scontri tra sadristi e gruppi armati fedeli al Coordination Framework (vicino al premier al-Kadhimi e in generale all’Iran) hanno causato almeno 30 morti e 570 feriti. In seguito la crisi è rientrata grazie all’intervento di al-Sadr e dell’ayatollah al-Sistani. La crisi securitaria per l’appunto si è risolta velocemente, ma quella politica perdura, in quanto ancora non si è riusciti a trovare un accordo per la formazione di un governo unitario. Il sistema politico iracheno infatti – di tipo consociativo – prevede la ripartizione del potere tra le quote settarie presenti all’interno del Paese: il Presidente della Repubblica deve essere curdo, il primo ministro sciita e lo speaker del Parlamento sunnita. Tale sistema, già introdotto in Libano con esiti discutibili, è fortemente contrastato dalla società civile irachena in quanto lo ritiene corrotto e fattore di polarizzazione nel Paese. La United Nations Assistance Mission in Iraq (UNAMI), volta a favorire la riconciliazione tra i vari gruppi del Paese, al momento non ha prodotto risultati degni di nota come si evince dall’emergere del violento scontro intra-sciita.


La frattura sciita e l’influenza iraniana nella regione

Le dinamiche per la lotta per il potere non sono una novità in seno alla comunità sciita in Iraq. Rappresentanti circa il 62% della popolazione irachena e lasciati ai margini della società durante il regime di Saddam, essi hanno via via sostituito l’élite politica nel Paese, grazie in primis al supporto statunitense a seguito del regime change e in secundis al vicino iraniano. L’Iran, dopo la guerra in Iraq del 2003, ha nuovamente ampliato la sua influenza nel Paese e in genere in tutta l’area mesopotamica, creando la cosiddetta Mezzaluna sciita, un’area rappresentata da Iraq, Siria, Libano e Yemen in cui esercitare soft power e hard power (tramite i suoi proxies) per avere una proiezione nel mondo arabo a scapito del suo avversario regionale, l’Arabia Saudita.

In questo progetto geopolitico, l’Iraq è fondamentale per la sua posizione geografica di ponte tra l’antica Persia e i Paesi del Golfo. Inoltre, ricordiamo che l’Iraq è il primo partner commerciale per l’export iraniano, per cui, perderlo, significherebbe ritrovarsi in una situazione securitaria ed economica insostenibile per il regime degli ayatollah, già piegato dalle sanzioni internazionali, le quali potrebbero aumentare in seguito alle repressioni delle rivolte verificatisi in tutto il Paese per l’uccisione di Mahsa Amini.

Per questa serie di ragioni, la mancata composizione della controversia in seno alle fazioni sciite irachene sarebbe un campanello dall’allarme per la potenza iraniana, la cui influenza sembrerebbe più lieve nel breve periodo. Obiettivo dell’Iran dunque è quello che in Iraq si torni allo status quo, preferibilmente con una classe politica più in linea con i suoi interessi e meno a quelli ufficialmente “nazionalistici” di al-Sadr il quale ha intrattenuto anche relazioni con Turchia e Paesi del Golfo per sganciare il Paese dalla dipendenza del vicino iraniano.

In generale, un Iraq stabile rappresenta un Medio Oriente stabile, situazione che conviene a tutti i Paesi della regione e anche oltre oceano, nonostante non sia l’interesse prioritario di Washington. L’Iraq negli ultimi mesi è diventato il mediatore per l’avvio del tiepido dialogo tra Iran e Arabia Saudita, per cui una guerra civile nel Paese sarebbe sconveniente per gli obiettivi di tutti, oltre che per un popolo tediato da anni di occupazione e violenze. L’Iran, dal suo canto, non è rimasto a guardare: nel risiko mediorientale, se si perde da un lato, si deve riequilibrare dall’altro: pochi giorni fa in Yemen gli Houthi, movimento politico e militare sciita, hanno annunciato la fine della tregua. Vedremo i prossimi sviluppi e se l’Iran, alla presa con una crisi socio-politica interna tale mai vista dai tempi della rivoluzione islamica, riuscirà a ricomporre lo scisma sciita e mantenere salda la sua influenza in Iraq.

Fonti consultate:

https://www.france24.com/fr/%C3%A9missions/on-va-plus-loin/20220831-irak-la-discorde-chiite

http://www.meri-k.org/publication/the-intra-shiite-battle-of-wills-peaked-but-by-no-means-over/

https://www.osmed.it/2022/10/04/linfinita-crisi-politica-in-iraq/

https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/iraq-how-political-deadlock-turns-violent-36038


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https://pixabay.com/it/photos/...


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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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Iraq Medio Oriente FramingtheWorld elezioni Iran