Introduzione. Il diffuso malcontento che ormai da mesi serpeggia tra la popolazione, in Kenya, ha da alcuni giorni preso la forma di violente proteste brutalmente represse nel sangue da parte delle forze armate del paese. Obiettivo polemico dei manifestanti è l’approvazione della legge finanziaria che, a loro parere, imporrebbe un insostenibile aumento delle tasse, eccessivamente gravose per una popolazione già duramente provata dall’alto costo della vita.
Le misure intraprese dal governo possono essere attribuite alla volontà, chiaramente manifestata dal presidente William Ruto, eletto nel settembre del 2022, di rendere il Kenya un partner solido e affidabile dal punto di visto commerciale, politico e strategico agli occhi della comunità internazionale tutta e degli Stati Uniti in particolare. Difatti, risale al mese scorso, a quindici anni dalla visita del Presidente ghanese John Kufour, il viaggio di Ruto a Washington. Un incontro, questo, a lungo atteso, e di particolare importanza in virtù dei numerosi interessi in gioco per entrambe le parti. Alla richiesta di garanzie di un forte allineamento politico e strategico avanzate da Washington, Nairobi, insignita del titolo di major non-NATO ally, ha risposto chiedendo di accelerare le trattative per la concretizzazione di maggiori investimenti statunitensi nel paese. Una questione, quest’ultima, ribadita nel Memorandum d’Intesa stipulato dalle due parti, ma impossibile da realizzare senza soddisfare quei criteri dettati dalle istituzioni finanziarie internazionali.
La necessità di aumentare il gettito di oltre due miliardi di dollari USA e far diminuire il debito pubblico, che ammonta al 68% del prodotto interno lordo (PIL) del paese, coerentemente con le richieste avanzate dal Fondo Monetario Internazionale, al quale Nairobi si è rivolta al fine di fronteggiare “gravi crisi di liquidità e la difficoltà ad accedere al capitale tramite i mercati finanziari”, come sottolineato dal giornalista Duncan Miriri, ha indotto già negli scorsi mesi il presidente Ruto ad adottare misure estremamente impopolari.
Come dimostrato dalle indagini condotte e pubblicate, nel dicembre dello scorso anno, dall’ Afrobarometer, per la prima volta in un decennio i cittadini kenioti intervistati hanno individuato nella gestione dell’economia il problema di maggior rilievo per il paese. Ma parere del presidente Ruto, è sempre stata errata e pretestuosa la convinzione diffusa tra i kenioti di pagare troppe tasse e ha quindi, sin dall’inizio del suo mandato, voluto dimostrare la bontà delle misure volte all’aumento delle stesse, considerato indispensabile al fine di garantire migliori servizi alla popolazione e necessario per ottemperare all’eccessivo debito pubblico ereditato dalle amministrazioni precedenti.
Il rapido degenerare delle proteste. A far precipitare la situazione e a trasformare la manifestazione di martedì 25 luglio, sino a quel momento sostanzialmente pacifica, condotta prevalentemente da giovani cittadini della generazione Z, in una vera e propria rivolta, è stata la notizia dell’approvazione, da parte del Parlamento, della legge, seppur edulcorata e privata di alcune delle misure oggetto di più aspre critiche. Ad essere travolto dalla furia dei manifestanti è stato proprio il Parlamento, preso d’assalto e saccheggiato da quelli che Ruto ha definito criminali responsabili di essersi infiltrati tra i manifestanti.
Questa presa di posizione, accompagnata dall’espressa volontà di ristabilire l’ordine, non fa ben sperare in merito ad una rapida e pacifica stabilizzazione della situazione. Sebbene, infatti, le attuali proteste non siano state guidate dal principale partito di opposizione, il Movimento Democratico Arancione guidato dall’ex premier Raila Odinga, è stato, nei mesi scorsi, Odinga stesso ad invitare la popolazione a scendere in piazza contro il governo, rifiutandosi inoltre di incontrare il presidente Ruto e contribuendo nel complesso ad alterare quell’amorale equilibrio basato sul compromesso che ha, a parere del giornalista Charles Obbo, permesso al Kenya di “evitare guerre civili o politiche estreme che hanno condotto alla rovina altri paesi africani”.
Sino ad ora, i manifestanti si sono riuniti in modo spontaneo, coordinandosi attraverso i social media: ma nei minuti immediatamente successivi all’assalto del Parlamento, in Kenya si è verificato un Internet shutdown che ha causato disagi anche a Uganda, Burundi e Rwanda, dipendenti dai cavi sottomarini che passano proprio dal Kenya. Ad essere considerato responsabile di aver messo in atto questo vero e proprio, costosissimo, sabotaggio è il governo, disposto a sopportare una gravissima perdita economica - per ogni ora di blackout di Internet, il paese perde all’incirca 1,8 miliardi di scellini del suo PIL - pur di far si che le proteste non dilaghino all’intero paese.