Negli ultimi anni, il concetto di friendshoring è emerso con forza nel dibattito economico internazionale, segnando un potenziale cambio di paradigma nella logica delle catene globali del valore. La friendshoring, o “delocalizzazione tra Paesi amici”, si riferisce alla tendenza crescente di spostare investimenti e produzioni in Paesi considerati politicamente affidabili, riducendo l’esposizione verso economie percepite come instabili o ostili. Una strategia che nasce in risposta a shock geopolitici – come la guerra in Ucraina, le tensioni tra Stati Uniti e Cina e la pandemia – e che solleva interrogativi cruciali: si è di fronte alla fine della globalizzazione, così come è stata conosciuta, o a una sua metamorfosi verso forme nuove di interdipendenza selettiva?
L’idea di orientare le scelte produttive in base a criteri geopolitici non è nuova, ma è diventata sempre più esplicita nelle agende politiche dei Paesi occidentali. Nel 2022, la Segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen ha definito la friendshoring come una “strategia per costruire catene di approvvigionamento resilienti, basate su valori condivisi e relazioni di fiducia”. Questo approccio mira a conciliare esigenze economiche e sicurezza nazionale, soprattutto in settori strategici come microchip, batterie, energia e telecomunicazioni.
Uno degli aspetti centrali del friendshoring è il rafforzamento della resilienza economica. Dopo le interruzioni delle catene di approvvigionamento causate dal Covid-19, dalla guerra in Ucraina e dalle tensioni tra potenze come Stati Uniti e Cina, molte aziende stanno cercando di diversificare i propri fornitori e i luoghi di produzione. Secondo l'OCSE, questo approccio riduce la vulnerabilità alle interruzioni impreviste, come conflitti geopolitici, sanzioni unilaterali o chiusure commerciali. Così, i partner "amici", ovvero quelli politicamente affini e con cui si condividono valori democratici, risultano più affidabili per garantire continuità e stabilità nelle operazioni globali. Un altro vantaggio significativo riguarda la possibilità di diversificare selettivamente i partner produttivi, piuttosto che riprendere tutta la produzione nei Paesi di origine (come nel reshoring). L'OCSE evidenzia che le imprese non sono costrette a tornare completamente sui propri passi, ma possono optare per una distribuzione più strategica della produzione verso Paesi considerati affidabili. Questo approccio non solo bilancia l'efficienza economica con la stabilità politica, ma consente anche alle aziende di adattarsi alle nuove configurazioni globali senza compromettere completamente il proprio modello di business.
La friendshoring offre anche vantaggi politici: secondo l'OCSE, la creazione di catene di approvvigionamento tra democrazie può rafforzare le alleanze geopolitiche e fungere da leva per una maggiore cooperazione internazionale. In un contesto globale incerto, legami economici più stretti tra Paesi con visioni simili possono contribuire a stabilire un ordine multilaterale più coeso, che potrebbe non solo incrementare la cooperazione tra Stati democratici, ma anche creare un modello di interdipendenza più equo. Le alleanze strategiche, infatti, potrebbero tradursi in vantaggi sia economici che politici, rafforzando il dialogo e le iniziative comuni su temi cruciali come sicurezza, commercio e sviluppo sostenibile.
Tuttavia, questa strategia presenta limiti e rischi non trascurabili. Il primo è il potenziale aumento della frammentazione dell’economia globale. La globalizzazione aveva promosso l’integrazione economica attraverso una logica di efficienza e specializzazione. La friendshoring, invece, introduce una logica geopolitica nelle decisioni economiche, che rischia di tradursi in blocchi contrapposti, con scambi commerciali sempre più polarizzati e una riduzione dei benefici derivanti dalla cooperazione globale. In secondo luogo, vi è il rischio di un effetto boomerang sui costi di produzione. Ridurre la dipendenza da Paesi a basso costo (come la Cina o il Vietnam) in favore di partner politicamente affini ma economicamente meno competitivi può generare pressioni inflazionistiche, aumentare i costi di approvvigionamento e ridurre i margini delle imprese. In settori altamente sensibili, come quello tecnologico, ciò potrebbe rallentare l’innovazione. Non va poi sottovalutato l’impatto su Paesi in via di sviluppo che rischiano di essere esclusi dalle nuove reti di produzione per ragioni geopolitiche. La globalizzazione, pur con tutti i suoi difetti, ha rappresentato per molte economie emergenti una via di sviluppo. La friendshoring, se mal calibrata, potrebbe accentuare le disuguaglianze globali. In effetti, essa potrebbe ridurre la domanda di prodotti e servizi provenienti da Paesi che non sono considerati alleati geopolitici, facendo emergere una divisione ancora più marcata tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Questo potrebbe soffocare le opportunità di sviluppo per le economie emergenti, le quali potrebbero trovarsi a dover affrontare una nuova forma di marginalizzazione globale. Va poi detto che la friendshoring potrebbe contribuire a una maggiore polarizzazione economica tra Paesi che sono "dentro" le reti di produzione globali e quelli che sono "fuori". Se l'accesso alla produzione globale viene fortemente condizionato da alleanze politiche, i Paesi che non rientrano in questi blocchi potrebbero trovarsi in una posizione di svantaggio permanente, senza le stesse possibilità di crescita economica che avevano in passato. Questo potrebbe anche creare nuove linee di divisione tra Paesi più potenti e quelli in via di sviluppo, creando un sistema economico globale più frammentato e meno equo. La riduzione dell'accesso a tecnologie avanzate e innovazione potrebbe anche essere un ulteriore elemento critico.
Nonostante queste criticità, è prematuro decretare la morte della globalizzazione. Piuttosto, ci troviamo di fronte a una sua ristrutturazione selettiva. Le interdipendenze non vengono eliminate, ma riorganizzate secondo criteri di affidabilità politica. Alcuni parlano di “globalizzazione tra alleati”, altri di “regionalizzazione strategica”. In entrambi i casi, il principio di fondo non è il ritiro dalla scena globale, ma una nuova mappatura delle relazioni economiche, meno basata sul costo e più sulla fiducia. In questo senso, la friendshoring rappresenta una forma di interdipendenza “filtrata”, dove il legame economico è vincolato a un allineamento di valori, standard e visioni geopolitiche. Un modello che può risultare più stabile in tempi incerti, ma che impone nuove sfide sia in termini di governance che di sostenibilità globale.
La friendshoring non è né la fine della globalizzazione né il suo contrario. È una risposta, ancora in fase embrionale, a un contesto internazionale instabile e frammentato. Se sapientemente gestita, può rafforzare la resilienza economica e la cooperazione tra democrazie. Tuttavia, se utilizzata come strumento esclusivo o ideologico, rischia di generare nuove divisioni, escludere partner fondamentali e ridurre la portata del commercio globale come motore di crescita condivisa. In definitiva, il futuro dell’economia internazionale dipenderà dalla capacità degli attori globali di coniugare apertura e sicurezza, efficienza e inclusività, senza cedere alla tentazione di nuove forme di protezionismo mascherato. La vera sfida sarà costruire una globalizzazione più selettiva, sì, ma anche più giusta e sostenibile.
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L'Autore
Alessia Bernardi
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