Torna la pena di morte in Kuwait

la fallacia e l'inumanità della pena capitale

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  Alessia Cominotti
  11 dicembre 2022
  4 minuti, 10 secondi

Dopo una sospensione di cinque anni iniziata nel 2017, il Kuwait ritorna a praticare la pena di morteAmnesty International ha sollecitato le autorità del Paese a sospendere sette esecuzioni nei confronti di quattro kuwaitiani, un siriano, un pachistano e una donna etiope. Tuttavia, tutti e sette sono stati impiccati all’alba del 16 novembre con l’accusa di omicidio premeditato. Quest'evento si colloca in un contesto di aumento del numero di condanne a morte che si sta verificando in diversi Stati. Amnesty International registra infatti, un aumento del 20% nel numero di esecuzioni e del 40% delle condanne a morte tra il 2020 e il 2021, con la gran parte delle esecuzioni attuate contro condannati per crimini legati alle droghe. 

Sulla scia della crisi globale che i diritti umani si trovano ad attraversare, i governi iniziano a sentirsi legittimati ad infrangere le garanzie stabilite dal diritto internazionale, e ancora una volta, la pena di morte è tornata ad essere un’arma per reprimere contestatori e minoranze

Sebbene si stia assistendo ad un aumento, il numero delle esecuzioni rimane comunque uno dei più bassi mai registrati, rappresentando il valore più basso dopo quello del 2010. Per quanto la tendenza faccia ben sperare nell’abolizione della pena di morte, gli incrementi verificatisi nel 2021 devono fungere da monito: bisogna continuare a denunciare insistentemente tutte le violazioni dei diritti umani fino a quando queste saranno abolite da tutti gli Stati.

Se da un lato la tendenza generale degli Stati è sempre più quella di abolire la pena di morte, dall'altro rimane decisa la posizione di quegli Stati che difendono la scelta di praticarla, giustificandola come una questione di natura "domestica". Tale dualismo blocca inevitabilmente lo sviluppo di norme internazionali in materia: gli accordi che riconoscono il diritto di non essere condannati a morte sono stati ratificati da Stati che hanno già abolito la pena di morte, mentre la ratifica non è ovviamente avvenuta da parte di coloro che continuano a praticarla. Per risolvere tale problema, le Nazioni Unite e in particolare l 'Assemblea Generale, stanno portando avanti un progetto di abolizionismo programmatico che mira ad introdurre una moratoria delle esecuzioni capitali, primo passo verso un’abolizione de jure

Come parte del suo impegno per difendere i diritti umani, l’Ue è il più grande difensore della lotta contro la pena di morte nel mondo. Tutti i Paesi europei infatti hanno abolito quest’ultima attraverso la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La lotta alla pena di morte dell’Ue si snoda anche in altri modi, ad esempio vietando il commercio di merce potenzialmente usata per pratiche simili e attraverso la sensibilizzazione della società civile nei Paesi in cui questa è ancora praticata.

Secondo i suoi sostenitori, la pena di morte funziona da deterrente pacifico a non perseguire comportamenti simili a quelli del condannato. Dal punto di vista metodologico questa visione è complessa perché la criminalità è un processo che dipende da molti fattori e quindi pensare di isolare una variabile e punirla con la pena di morte, appare una misura inefficace. Isaac Ehrlich, studioso dell’economia della deterrenza, nella sua opera The deterrent effect of capital punishment: a question of life and death, sostiene che non è il mantenimento della pena capitale in funzione di deterrente a fungere da stimolo positivo alla non reiterazione. Infatti, spesso la razionalità di chi commette reati non è tale da valutare seriamente le conseguenze dei propri gesti e, nell’ottica in cui possa fungere da monito per i cittadini, essa non fa altro che accrescere il senso di sfiducia verso coloro che stanno ai vertici della società. Una popolazione diffidente nei confronti delle forze governative sarà anche una società maggiormente predisposta a ribellioni. Ne deriva che l’unico soggetto ad essere penalizzato dall'uso di simili pratiche è lo Stato.

Nel corso della storia sono stati sperimentati decine di metodi diversi per infliggere la pena di morte. A volte si è tentato di renderla più “umana” eliminando l'aspetto della tortura insito nel metodo stesso. Ma per quanto la modalità prescelta possa essere efficace, non si può in nessun caso escludere la presenza della tortura psicologica. Un'altra argomentazione contro la pena di morte è che gli errori giudiziari sono più frequenti di quanto si possa credere. A tal proposito è opportuno segnalare l’Innocence project, un gruppo che negli Stati Uniti si occupa di casi di malagiustizia e che dal 1992 ad oggi, riesaminando prove grazie al test del DNA è riuscito a liberare dalla prigionia 367 persone, di cui 21 condannati nel braccio della morte.

Da qualunque prospettiva si esamini la questione, appare chiaro che il sistema punitivo basato sulla pena di morte è fallace: esso non concede alcuna possibilità di riabilitazione e riconciliazione, in più rinnegando l’umanità della persona che ha commesso il crimine.

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Fonti consultate per il presente articolo

https://d21zrvtkxtd6ae.cloudfront.net/public/uploads/2022/05/Rapporto-sulla-pena-di-morte-nel-2021-Amnesty-International-ACT-50-5418-2022.pdf

https://www.treccani.it/enciclopedia/pena-di-morte_%28Enciclopedia-Italiana%29/

https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/world/20190212STO25910/la-pena-di-morte-in-europa-e-nel-mondo-i-fatti-chiave

https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Pena_di_morte_Quale_efficacia_come_deterrente.html

https://www.wired.it/scienza/m... 

https://www.istockphoto.com/it...

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