La politica nell'emergenza: il caso del terremoto tra Turchia e Siria

Gli Stati Uniti e gli aiuti internazionali

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  Lorenzo Graziani
  26 febbraio 2023
  4 minuti, 33 secondi

Lunedì 6 febbraio due potenti scosse di terremoto, una di magnitudo 7.7 e una di 7.6, hanno colpito il territorio meridionale della Turchia e quello settentrionale della Siria, portando ad un bilancio di morti in continuo aumento e ad una distruzione generalizzata. I due stati, in gravi difficoltà per la gestione dell'emergenza, hanno fin da subito richiesto aiuti internazionali, ottenendo pronte risposte da molti stati ed organizzazioni, Stati Uniti compresi.

Infatti, lunedì stesso il segretario della difesa americano Lloyd J. Austin III ha chiamato il ministro della difesa turco Hulusi Akar: durante la chiamata il politico americano ha presentato le sue condoglianze e ha offerto l'aiuto statunitense a sostenere la Turchia nel grave momento di difficoltà. Il governo americano si è però ufficialmente attivato in merito solo il 9 febbraio, quando ha annunciato lo stanziamento di 85 milioni di dollari per assistenza umanitaria d'emergenza: "l'amministrazione sta lavorando a stretto contatto con l'alleato NATO turco, e per questo si autorizza un'immediata risposta americana" sono state le parole del presidente americano Biden in merito.

Il dipartimento americano si è coordinato con lo USAID, la US Agency for International Development, un'agenzia governativa statunitense creata allo scopo di combattere la povertà globale e appoggiare lo sviluppo delle società democratiche. I fondi dedicati allo USAID coprono due importanti bisogni: quello di mettere a disposizione rifugi, cibo e acqua, per proteggere la popolazione dalle morse dell'inverno, che secondo i soccorritori potrebbero causare ulteriori morti se non gestite correttamente; e quello della sanità e dell'igiene, altro grande problema che si è presentato nelle zone distrutte dalle scosse. La direttrice dell'agenzia, Samantha Power, ha già fondato un Disaster Assistance Response Team, formato da circa 200 membri tra cui esperti di salvataggio da disastri naturali, personale di supporto e 12 cani da salvataggio, che fin'ora hanno operato principalmente nelle città di Adiyaman, Adana e Ankara.

La questione si presenta invece più spinosa nell'altro frangente. Il governo siriano, vista la grave emergenza nel suo territorio, ha chiesto di eliminare le sanzioni che molti Stati occidentali hanno imposto bandendo alcuni commerci come quello delle armi, di sostanze petrolchimiche e di beni di lusso. La Cina, alleato chiave del Paese arabo, non ha mancato di fare eco alla richiesta siriana, chiedendo a Washington di "mettere da parte la sua ossessione geopolitica": "gli Stati Uniti sono stati coinvolti nella crisi siriana per troppi anni" ha dichiarato mercoledì Mao Ning, il portavoce del ministro degli affari esteri cinese, "i frequenti interventi militari e le dure sanzioni economiche hanno causato ingenti perdite civili in Siria e hanno reso difficile per i cittadini vivere in uno stato di sicurezza e tranquillità". Questa politica ha però incontrato delle resistenze da parte degli oppositori più accaniti di al-Assad: "sta usando l'emergenza come biglietto per rimuovere le sanzioni", ha dichiarato Omar Abu Layla, direttore esecutivo di Deir Ezzor, un'organizzazione di ricerca della provincia siriana di Deier al-Zour.

Dalla parte americana, il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, ha risposto ai giornalisti americani "sarebbe molto ironico, se non controproducente, appoggiare un governo che ha brutalizzato molte persone nel corso di questi ultimi 12 anni. Quello siriano è un regime [...], che non ha mai dimostrato alcun interesse ad imbastire un sistema di welfare nell'interesse dei suoi cittadini". La questione è stata però momentaneamente risolta dalla licenza della durata di 6 mesi annunciata dal Dipartimento del tesoro americano. Grazie a questo provvedimento - un astuto work around per scavalcare le sanzioni - la Siria potrà avere accesso agli aiuti, come dichiarato dal segretario del tesoro americano Wally Adeyemo che ha chiarito come "mentre alleati internazionali e partner umanitari si mobilitano per aiutare chi è stato colpito [...] le sanzioni verso la Siria non impediranno agli aiuti d'importanza essenziale di raggiungere il popolo siriano".

La vicenda non si può però dire conclusa, in quanto gli aiuti sono arrivati in Siria con largo ritardo, passando attraverso il passaggio Bab al-Hawa, l'unico corridoio umanitario tra Turchia e Siria. Il fatto che per i primi giorni l'unico carico passato portasse 300 corpi ha infiammato l'amministrazione locale, come sottolineato dal portavoce Mazen Alloush: "com'è possibile che le strade vadano bene per trasportare corpi ma non aiuti?".

Questa lamentela si collega infatti allo statement dei rappresentati americani in zona riguardante l'inagibilità delle strade a seguito dei danni causati dal terremoto. I ritardi possono però venire ricollegati anche alla situazione resa "incredibilmente difficile" a causa della posizione infelice della zona, punto nevralgico del conflitto civile, e motivo per il quale il ministro degli esteri siriano ha chiesto di far passare ogni tipo di aiuti dalla capitale Damasco, permettendo all'amministrazione statale di distribuirli in tutte le regioni colpite e di evitare al contempo che finiscano in mano a gruppi terroristici. Nonostante gli ostacoli presentatisi, la speranza è quella che gli aiuti permettano di dare una pronta ed efficace risposta alla grave emergenza, per portare un po' di sollievo alle popolazioni civili che hanno visto la loro intera vita sgretolarsi in un batter d'occhio.

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Fonti consultate per il presente articolo:

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https://edition.cnn.com/2023/0...

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https://www.politico.com/news/...

https://www.defense.gov/News/N...

https://unsplash.com/it/s/foto...

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Lorenzo Graziani

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America del Nord

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