La possibile adozione di Starlink scuote l'Europa

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  Tiziano Sini
  18 gennaio 2025
  4 minuti, 14 secondi

Manca sempre meno all’insediamento del prossimo Presidente degli USA Donald Trump, che si terrà il prossimo 20 gennaio a Washington, e già numerosi sono gli attriti che stanno emergendo a seguito delle forti prese di posizione dalla nuova leadership americana, con i rivali storici, ma anche con gli stessi alleati.

Un nuovo corso che si presenta notevolmente mutato rispetto al passato, anche da quello piuttosto recente rappresentato dalla scorsa presidenza Trump, a partire proprio dagli interpreti, come rappresentato da una delle figure più controverse ed iconiche degli ultimi anni: quella di Elon Musk. Prima che politico, uno dei più importanti imprenditori in diversi settori strategici, come quello dell’automotive, delle rinnovabili, oltre a quello spaziale e delle telecomunicazioni[1].

Figura carismatica ed estremamente divisiva, che non ha mai lesinato a prendere posizioni forti e provocatorie, ancor di più nell’ultimo periodo, sollevando attriti e polemiche.

Ad essere divisiva non è, però, solamente la sua figura, ma anche la commistione fra i suoi business e l’attività politica che lo vede sempre più protagonista. Quest’ultima è stata una delle ragioni che hanno aperto la strada ad una nuova crisi interna all’Unione europea, dove il tema sull’adozione del sistema di telecomunicazione satellitare denominato Starlink, di proprietà dello stesso Musk, da parte di alcuni Paesi, ha creato non pochi dissapori.

Starlink, il progetto sviluppato da SpaceX, agenzia spaziale fiore all’occhiello di Musk, è ormai da alcuni anni che opera nello sviluppo di un ambizioso progetto che ruoto intorno alla costituzione di un sistema di piccoli satelliti, collocati nell’orbita bassa terrestre, a circa 500 mila km dal suolo terrestre, in grado di consentire la diffusione di Internet in praticamente qualsiasi parte del globo, garantendo sicurezza e una elevata velocità di trasmissione dei dati.

Il sistema satellitare al momento conta più di 6 mila satelliti e ha l’obiettivo concreto di raggiungere i 12 mila, ma con una possibile diffusione che potrebbe arrivare fino a 42 mila.

Una strategia agevolata dai costi contenuti dei piccoli satelliti, rispetto ai grandi lanciati in orbita alta, ma anche dall’utilizzo dei razzi della casa madre SpaceX: Falcon 9, in buona parte riutilizzabili, con un conseguente abbassamento dei costi.

Al di là del piano strettamente tecnico, Starlink è da considerarsi come uno strumento estremamente prezioso e funzionale, tanto da diventare, dal punto di vista strategico e militare, quasi essenziale per aumentare la resilienza del sistema in caso di scenari di crisi. Grazie alle elevate performance ed alla bassissima latenza (20-40 millisecondi contro i 500-700 dei sistemi tradizionali), consente comunicazioni quasi in tempo reale, elemento fondamentale per una gestione ottimale di operazioni militari moderne, ad esempio. Inoltre, garantisce un sistema di operazioni crittografate ad alta sicurezza, caratteristica estremamente delicata attualmente.

Tutti elementi che hanno avvicinato molti Paesi europei a Starlink, a partire proprio dall’Italia, che dopo la visita della Premier Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, dal prossimo Presidente americano Trump, sembrava in procinto di sottoscrivere un accordo da 1,5 miliardi per l’adozione del sistema. Notizia che è stata successivamente smentita, ma che di fatto ha aperto una bagarre piuttosto accesa a livello nazionale ed all’interno delle istituzioni europee, tanto da far intervenire anche l’Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Kaja Kallas, che per stemperare i toni ha dichiarato, durante la sua visita a Roma: “Starlink? Spetta agli Stati decidere i fornitori[2].

Una presa di posizione che ha cercato di placare le polemiche, anche nell’ottica di mantenere saldi gli equilibri interni, dove la cooperazione, in questo caso in ambito scientifico, assume una valenza strategica fondamentale per il futuro, come dimostra l’ambizioso progetto che prende il nome di IRIS².

Non è infatti un segreto che l’Ue stia portando avanti un progetto ambizioso, con una dotazione di circa 10 miliardi, che dovrebbe colmare le vulnerabilità in campo tecnologico e delle comunicazioni, il quale prevede il lancio di 290 satelliti multi-orbitali.

Un’iniziativa che paga il pesante scotto di essere partita con estremo ritardo rispetto alle necessità attuale, come dimostra la sua operatività che viene stimata attorno al 2030. Ragione che farà sicuramente propendere molti Stati a portare avanti un duplice impegno: da una parte la costituzione, nel minor tempo possibile, si spera, di un sistema europeo, come previsto dal progetto IRIS²; mentre dall’altra l’adozione di una soluzione ponte per i prossimi anni, dettata dalle contingenze attuali, in questo caso Starlink.

Una soluzione, quest’ultima, che richiede tuttavia particolari accorgimenti per riuscire a mitigare quelli che potrebbero essere delle importanti criticità, come ad esempio il controllo dei dati sensibili da parte di un’azienda privata, oltre che la dipendenza di un servizio strategico da parte di un singolo fornitore[3].


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Tiziano Sini

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