Le freedom fries
Quanti di voi potrebbero immaginare che una pietanza comune come le patatine fritte, quasi dieci anni fa sia stata utilizzata per veicolare un forte messaggio mediatico simbolo di un disaccordo politico tra Stati? È il febbraio del 2003, quando per la prima volta nel menù di un ristorante in Beaufort, North Carolina, USA, compare la scritta “freedom fries” in sostituzione di “french fries”, in segno di protesta contro la decisione della Francia di non appoggiare la guerra statunitense in Iraq.
La Guerra in Iraq
In seguito al terribile attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001, attacco rivendicato dal gruppo terroristico Al Qaeda con a capo Osama Bin Laden, il Presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush dichiara l’inizio della “War on Terror”, una campagna militare globale iniziata e principalmente guidata dalle truppe americane contro il terrorismo.
Tuttavia, le operazioni militari statunitensi non ottengono l’effetto sperato riuscendo solo a rimuovere il regime talebano tramite gli attacchi in Afghanistan, ma non a catturare il Leader Bin Laden e neutralizzare l’organizzazione Al Qaeda.
L’opinione pubblica americana è in subbuglio e continua a chiedere giustizia per i morti dell’11 Settembre. Per la prima volta il territorio americano era stato soggetto ad un attacco militare distruttivo, situazione senza precedenti nonostante il ruolo attivo degli Stati Uniti durante sia la prima che la seconda Guerra Mondiale.
Washington è sottopressione e deve prendere una posizione forte che mostri non solo ai cittadini di essere in grado di tutelarli e che le azioni militari condotte fino ad allora non siano state solo uno spreco di soldi pubblici e di vite americane, ma anche di essere in grado mantenere un ruolo egemonico nel contesto geopolitico mondiale e di poter ancora primeggiare militarmente rispetto alle altre Super Potenze.
Furono anche queste le ragioni, previa l’accusa di sviluppare armi di distruzione di massa, rivelatasi anni dopo infondata, che nel 2003 fecero estendere il conflitto all’Iraq, paese identificato come sponsor del terrorismo e facente parte dell’asse del male. Le operazioni militari in Iraq si conclusero nel 2006 con la morte di Saddam Hussein, mentre il ritiro delle truppe americane dai territori afgani è avvenuto solo recentemente nell’agosto 2021.
Il dissenso Francese
Nel 2003, il discorso del politico americano Colin Powel presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite inneggia alla minaccia delle armi di distruzione di massa irachene e richiede l’adozione di una risoluzione ufficiale per salvaguardare la pace e la stabilità nazionale.
Molti Paesi occidentali membri del consiglio, fra cui la Gran Bretagna e la Spagna, appoggiano la proposta statunitense dell’iniziare operazioni di disarmo, ma non tutti sono dello stesso avviso: Russia e China, nonostante esprimano il loro pieno consenso alla lotta al terrorismo, sono contrarie ad un’azione militare sul territorio iracheno ed invitano ad aspettare i risultati di ispezioni più approfondite da parte della Commissione di Verifica, Monitoraggio ed Ispezione delle Nazioni Unite (UNMOVIC).
Ma se l’opposizione di Russia e China ad una risoluzione proposta dagli Stati Uniti poteva essere, per ragioni storico-ideologiche, considerata prevedibile, ciò che venne considerato inaspettato fu la forte opposizione della Francia, Paese membro della NATO. Nel gennaio 2003, il Ministro degli Esteri francese Dominique de Villepin definisce l’intervento militare in territorio iracheno proposto da Stati Uniti e Gran Bretagna come la peggior soluzione possibile. In seguito al report del 14 febbraio 2003 pubblicato dal Capo ispettore UN Hans Blix, il Ministro francese ha dichiarato infatti che una vera connessione fra il regime di Saddam Hussein ed il gruppo terroristico Al Qaeda non era mai stata provata; che un prematuro ricorso alle armi avrebbe danneggiato la stabilità già fragile del territorio iracheno; e che non avrebbe garantito né la pace né la sicurezza nel lungo periodo.
La disputa delle “French fries”
Le dichiarazioni ufficiali del Ministro Francese de Villepin non vengono accolte positivamente da Washington né da i cittadini americani, ed è qui che le “Freedom fries”, nate come gesto simbolico di protesta del proprietario di un ristorante del Nord Carolina contro le decisioni dell’alleato Francese, fanno il loro debutto sulla scena internazionale.
All'inizio del 2003, il Rappresentante della Camera Walter B. Jones Jr. inviò una lettera dal contenuto banale al Presidente della Commissione per l'Amministrazione della Camera Robert W. Ney, il quale allora aveva la supervisione di alcuni ristoranti del Campidoglio: “rinominare le french fries in "patatine della libertà" “.
Il Rap. Jones Jr. non immaginava che il suo leggero suggerimento al Rap. Ney potesse avere una tale risonanza mediatica, tanto che l'11 marzo 2003 entrando nella caffetteria Longworth Building, Capitol Hill, circa una settimana prima che gli Stati Uniti invadessero l'Iraq, entrambi i Rappresentanti della Camera rimasero sorpresi della quantità di giornalisti di tutte le principali testate internazionali che le la rinominazione delle patatine fritte in “Freedom fries” aveva attirato.
Gesti simili, volti all’accrescimento del sentimento patriottico di una nazione, utilizzando oggetti comuni per veicolare messaggi politici, non sono senza precedenti. Un’altra proposta americana fu quella di interrompere la vendita della “vodka russa” nei negozi di liquori statunitensi in opposizione al governo di Putin ad esempio.
La chiave di una Politica di successo, che si dichiara promotrice di azioni d'interesse nazionale, è il trovare un modo semplice di portare avanti un’idea complessa che sia in grado di arrivare ed essere compresa da più persone possibili. Il caso delle Freedom Fries, nonostante il termine sia caduto in disuso dopo il 2006, ne è un ottimo esempio.
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L'Autore
Graziana Gigliuto
IT
Graziana Gigliuto è nata e cresciuta in Sicilia. Ha conseguito la laurea magistrale in Relazioni Internazionali Comparate, curriculum Global Studies presso l'università Ca' Foscari di Venezia. Ha conseguito la laurea triennale in Lingue,Culture e Società dell'Asia e dell'Africa Mediterranea, curriculum Cina presso il medesimo ateneo.
Durante i suoi studi non solo ha sviluppato un forte interesse per l'apprendimento di lingue straniere, consolidato durante i soggiorni di studio all'estero, ma anche una spiccata curiosità verso tutto ciò che riguarda la cultura, le dinamiche sociali e la politica estera, in primo luogo dell'Asia, per poi estendersi ad altre aree geografiche.
All'interno della stimolante realtà di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di Caporedattore per l'area tematica Società.
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Graziana Gigliuto was born and she grew up in Sicily. She graduated in Master degree in Comparative International Relations, curriculum Global Studies at Ca’ Foscari University in Venice. She obtained a Bachelor Degree in Language,Culture,Society of Asia and Mediterranean Africa, curriculum China at the same university.
During her studies, besides developing a strong interest for the process of learning foreign languages, consolidated during her periods of studies abroad, she also developed a particular curiosity regarding culture, social dynamics and foreign policy, initially of Asia, and later of others parts of the globe.
She is working as the Editor in Chief for the Society thematic area in the stimulating reality of Mondo Internazionale.
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