Legalizziamo il dibattito

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  Francesco Marchesetti
  24 novembre 2022
  6 minuti, 34 secondi

Una breve ma dovuta premessa: questo articolo non vuole schierarsi e nemmeno esaminare nel dettaglio le posizioni riguardo alla legalizzazione delle droghe leggere, dato che le infinite ramificazioni di questo dibattito di lungo corso, unite alla mole sempre crescente di dati e informazioni che ci provengono dagli Stati che hanno deciso di legalizzare la cannabis anche a scopo ricreativo, sarebbero impossibili da riassumere in pochi paragrafi. Lo scopo di questo articolo è invece quello di esaminare le modalità con cui questo dibattito viene portato avanti nel nostro Paese, e quali possono essere i margini di miglioramento.

Come stanno le cose attualmente in Italia

Al momento nel nostro Paese a essere considerato illegale (e perseguito penalmente) è lo spaccio di cannabis, ma non il possesso di piccole quantità a uso personale. Quest’ultimo è considerato un illecito amministrativo e viene punito con la sospensione temporanea della patente di guida, del passaporto e della carta d’identità a fini di espatrio. Inoltre, con una sentenza del dicembre 2019 la Corte di Cassazione ha stabilito che non costituisce reato la coltivazione se questa è “di minime dimensioni e svolta in forma domestica, attraverso pratiche rudimentali e su un numero scarso di piante“.

Dal 2016 è permessa la vendita della cannabis light, che ha una quantità di principio attivo psicotropo (THC) compresa tra lo 0,2% e lo 0,5%. Inoltre, dal 2006 i medici possono prescrivere cannabis o farmaci da essa derivati che trovano applicazione in diversi campi, ad esempio nella terapia del dolore per i pazienti affetti da SLA, nell’azione antagonista agli effetti collaterali provocati dai farmaci per la terapia dell’AIDS o nel trattamento di alcuni glaucomi.

Nel resto dell’articolo ci focalizzeremo sul dibattito che riguarda la legalizzazione della cannabis con effetto stupefacente a scopo ricreativo.


Le ragioni del SÌ e del NO

Al centro del dibattito ci sono chiaramente le tesi favorevoli e contrarie. Storicamente le correnti più progressiste, e in particolare il partito radicale, hanno preso posizione per la legalizzazione, mentre le correnti più conservatrici, centriste e filocattoliche si sono schierate per il mantenimento della linea proibizionista.

I favorevoli alla legalizzazione portano in genere dati riguardo all’incidenza dei reati legati al commercio illegale di cannabis sul problema del sovraffollamento delle carceri (si pensi che il 30% dei detenuti entrano in carcere per una violazione dell’articolo 73 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, che riguarda produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti), mettono in luce le contraddizioni connesse alla legalità di sostanze come l’alcol, che studi scientifici provano essere più dannosi e pericolosi per la salute. Secondo i favorevoli, il venir meno del fattore “mela proibita” porterebbe poi a un minor uso nella popolazione più giovane, e la sostanza potrebbe essere testata e controllata, quindi più sicura per gli utilizzatori. Infine, si sostiene che verrebbe sottratta una grandissima fetta di mercato alla criminalità organizzata, aumentando il gettito fiscale nelle casse dello Stato: soldi che potrebbero potenziare il debole sistema pubblico di supporto e recupero dei tossicodipendenti.

La schiera dei contrari ha motivazioni generalmente più apodittiche e muovono dal fatto che sarebbe anti-etico per uno Stato che si prende cura dei propri cittadini procurare loro una sostanza dannosa e che potenzialmente – nel 9% dei casi, secondo quanto emerso dalle ricerca scientifica – creerebbe loro dipendenza. Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, che si occupa anche del recupero dalle dipendenze, afferma in un’intervista ad Avvenire: “Legalizzare la vendita della cannabis aumenterebbe la domanda: la norma diventerebbe cultura”. Inoltre, i contrari smentiscono le motivazioni del fronte del sì riguardo alla repressione delle organizzazioni criminali, che porterebbero avanti un mercato nero esente da tasse usando la legalizzazione come “scudo”, e riguardo al controllo dei livelli di principio attivo, legati alla sicurezza della sostanza, dato che non si potrebbe testare la sostanza autoprodotta.


L’esperienza estera

In un articolo pubblicato su Wired nell’aprile 2021, Simone Valesini analizza i dati legati alla legalizzazione della cannabis nei Paesi esteri e, appoggiandosi al lavoro del professor Marco Rossi dell’Università La Sapienza di Roma, applica le statistiche al caso italiano.

Valesini parte nel suo articolo dall’analisi della situazione carceri, che è stata determinante per il processo di legalizzazione in molti Paesi dell’America Latina e centrale. Gli ultimi dati in Italia parlano di un sovraffollamento preoccupante: 120,3 detenuti ogni 100 posti; tuttavia quasi il 24% dei detenuti attualmente è in carcere per violazioni dell’articolo 73 (cioè per violazioni che riguardano il consumo o lo spaccio al dettaglio) mentre solo il 9% delle detenzioni è legato all’articolo 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope). I dati ci dicono dunque che la legalizzazione delle droghe leggere basterebbe per risolvere in un colpo il problema del sovraffollamento delle carceri, comportando al contempo un aumento di entrate fiscali che il professor Rossi ha stimato raggiungere circa i 5,5 miliardi di euro l’anno, basandosi sui dati provenienti da Paesi che hanno legalizzato e con economie simili alla nostra, come il Canada o alcuni Stati degli USA.

Si passa poi ai dati relativi agli incidenti stradali provocati da chi si mette alla guida sotto effetto di sostanze stupefacenti, tratti da pubblicazioni dell’American Journal of Public Health: i dati degli Stati di Washington e Colorado e quelli provenienti dal Canada mostrano come non vi sia una correlazione statisticamente rilevante tra legalizzazione della cannabis e aumento degli incidenti stradali, con un’incidenza di 0,2 casi per ogni miliardo di miglia percorse.

Per quanto riguarda i dati relativi all’aumento del consumo in seguito al processo di legalizzazione non si riesce a trovare una risposta univoca, dato che le ricerche, spesso finanziate da istituti privati, mostrano tendenze diverse e talvolta contrastanti.


Lo stato del dibattito in Italia

Giuseppe Civati – ex PD, ora editore e fondatore del partito Possibile – è una delle voci più attive per quanto riguarda la campagna di legalizzazione della cannabis in Italia; scrive, in un articolo pubblicato sul blog de Il Post il 3 giugno: “Non importa che stiano legalizzando altri Paesi, che il proibizionismo abbia fallito soprattutto nel limitarne il consumo [di cannabis, ndr], che se ne approfittino circuiti illegali. Non conta. Conta solo che non si può legalizzare. Come se fosse un assioma, un fatto insuperabile, come se cambiare fosse un azzardo gigantesco. Ciò va ben oltre il condizionamento del Vaticano e del tradizionalismo politico che al Vaticano continuamente si riferisce, spesso senza un reale collegamento con ciò che Oltretevere si pensa”.

L’atteggiamento di assolutizzazione del dibattito evidenziato da Civati (seppur non in ottica di imparzialità) è tipico dell’opinione pubblica nostrana, ma nella disputa sulla legalizzazione delle droghe leggere viene portato all’estremo: i favorevoli vengono etichettati come opportunisti (quindi utilizzatori, che trarrebbero giovamento da un’eventuale liberalizzazione) oppure come cinici liberali, interessati solo alle enormi prospettive di crescita economica che un nuovo mercato aprirebbe, a scapito della salute dei singoli. D’altro canto i contrari vengono etichettati come bigotti, ciechi davanti alle evidenze o, peggio ancora, collusi con le mafie.

Il risultato è un progressivo arroccamento delle parti in gioco e un congelamento del dialogo.

In effetti nel nostro Paese un vero e proprio dibattito sul tema non c’è: quella a cui assistiamo è spesso e volentieri la contrapposizione di due parti che strillano l’una contro l’altra le proprie ragioni, senza dialogare fra loro, ottenendo l’unico effetto di paradossale immobilismo davanti a un problema sociale e criminale di portata sempre maggiore, testimone del fallimento del sistema attuale.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.fondazioneluigieinaudi.it/legalizzazione-perche-no/

https://www.einaudiblog.it/legalizzazione-droghe-perche-si/

https://www.dana.org/article/the-marijuana-debate/

Dipartimento delle Politiche Antidroga del Consiglio dei Ministri, “Le ragioni del perché NO alla legalizzazione delle sostanze stupefacenti”, novembre 2011

https://www.wired.it/scienza/medicina/2021/04/16/ricerche-legalizzazione-cannabis-droghe-leggere/

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/04/08/carceri-rapporto-del-consiglio-deuropa-1203-detenuti-ogni-100-posti-in-media-19-per-cella-peggio-solo-la-turchia/6158808/

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sette-motivi-per-dire-no-alla-marijuana-legalizzata

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/30719794/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28640679/

https://www.vox.com/identities/2018/8/20/17938388/marijuana-legalization-more-use

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L'Autore

Francesco Marchesetti

Studente di Lettere Moderne.
Aspirante giornalista, certo che l'informazione libera debba essere un diritto universale.

Student in Modern Literature.
Aspiring journalist, certain that freedom of information should be a universal right.

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Società

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Legge Società cannabis civati