Libano esplosivo

Consiglio di Sicurezza ONU: riunione d'emergenza per evitare l'escalation regionale dopo gli attacchi di Israele contro Hezbollāh. L'allargamento del conflitto è possibile, ma ancora non inevitabile

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  Giuliana Băruș
  25 settembre 2024
  7 minuti, 9 secondi

Catastrofe imminente

Regione sull'orlo della catastrofe. Venerdì 20 settembre a New York si è riunito d'emergenza il Consiglio di Sicurezza ONU in seguito agli attacchi israeliani contro Beirut e Libano meridionale.

Secondo la Coordinatrice speciale delle Nazioni Unite per il Libano, Jeanine Hennis-Plasschaert, la “catastrofe è imminentein Medio Oriente. E il Segretario generale Antonio Guterres avverte: “Il Libano rischia di diventare una nuova Gaza”.

Lungo il confine israelo-libanese è in corso un fuoco incrociato tra Hezbollāh, movimento e partito islamico sciita filoiraniano, e le forze di difesa israeliane, l'IDF. Una guerra più ampia minaccia ora di espandersi nella regione e l'allerta è massima.

Il 17 settembre, l'offensiva israeliana in un'area densamente popolata di Beirut ha segnato un'ulteriore escalation, in un pericoloso ciclo di violenza dalle conseguenze imprevedibili e devastanti. I recenti attacchi hanno coinvolto dispositivi di comunicazione wireless, esplosi nella capitale, raid aerei su Beirut e bombardamenti nel sud del Paese.

Migliaia di cercapersone e walkie-talkie, appartenenti a esponenti del Partito di Dio, sono esplosi simultaneamente in Libano e Siria. Nelle operazioni coordinate da Israele finora almeno 492 persone sono state uccise e migliaia ferite, portando sull'orlo del collasso il sistema sanitario libanese. L'obiettivo dell'azione israeliana sulla periferia sud di Beirut era Ali Karaki, comandante del fronte meridionale di Hezbollāh, rimasto ferito nell'attacco.

Diplomazia impotente 
Durante la seduta d'emergenza del Consiglio di Sicurezza ONU, l'ambasciatore siriano, a nome del Gruppo Arabo, ha denunciato l'impiego di tecnologia moderna per l'uccisione collettiva di civili: obiettivi civili trasformati in bombe a orologeria. Il Gruppo Arabo ha quindi invocato la condanna del cyberterrorismo e delle aggressioni di Israele contro il popolo palestinese, nonché la cessazione degli attacchi in altri Stati, tra cui Libano e Siria, e la fine dell'occupazione israeliana di territori arabi.

Un atto di terrore sistematico e provocatorio: questa la denuncia di Teheran. Tra i feriti nei cyber attacchi, c'è infatti anche l'ambasciatore iraniano in Libano. Il rappresentante iraniano all'ONU ha accusato lo Stato ebraico di essere radicato nell'aggressione, occupazione, terrore e genocidio.

La replica dell'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite è stata netta: dal 7 ottobre 2023 più di ottomila razzi di Hezbollāh sono piovuti su Israele, causando morti, feriti e più di 60.000 sfollati. Il ripristino della sicurezza lungo i confini settentrionali e il ritorno a casa degli israeliani sfollati sono la priorità ora per Tel Aviv, come affermato anche da Benyamin Netanyahu: per il governo israeliano, tagliare il legame tra Gaza e i miliziani filoiraniani del gruppo sciita libanese è una irrinunciabile necessità.

Il Ministro degli Affari Esteri libanese ha sottolineato invece come in caso mancata condanna degli attacchi da parte del Consiglio di Sicurezza, la credibilità del diritto internazionale sarebbe a rischio.

Il primo Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra del 1949 afferma, infatti, che il diritto delle parti a scegliere le armi da guerra non è illimitato: ciascuna parte ha l'obbligo di evitare l'uccisione della popolazione civile e la distruzione di infrastrutture non militari.


Le regole della guerra 
Per Human Rights Watch, le recenti azioni di Israele in territorio libanese e siriano costituirebbero crimini contro l'umanità, in flagrante violazione del diritto internazionale.

Il Diritto internazionale umanitario è un insieme di norme volte a limitare i devastanti effetti dei conflitti armati sulla popolazione civile. Codificate da accordi e convenzioni internazionali spesso impunemente violati queste regole  rappresentano la normazione minima per cercare di preservare l'umanità in alcune delle peggiori situazioni conosciute dalla specie umana: la guerra.

Tale diritto si fonda principalmente sulle Convenzioni di Ginevra, la prima delle quali firmata nel 1864 da sedici Paesi europei precede la nascita delle Nazioni Unite di quasi un secolo. Ratificate da oltre 190 Stati nel mondo, le quattro Convenzioni del 1949 sono applicabili universalmente, e aggiornate da due Protocolli nel 1977, resi necessari dagli atroci conflitti del ventesimo secolo.

Le operazioni israeliane in Libano violerebbero dunque il diritto alla protezione delle vittime di conflitti armati: in particolare, il divieto di attacchi indiscriminati e sproporzionati, come quelli in atto in questi giorni contro esponenti di Hezbollāh, che hanno però causato centinaia di morti, migliaia di feriti tra la popolazione civile libanese, e l'esodo di massa dal sud del Paese verso la capitale Beirut.

L'accusa dell’organizzazione umanitaria è che Israele abbia impiegato oggetti di uso civile quotidiano, quali cercapersone, walkie-talkie e cellulari, come trappole esplosive: utilizzo espressamente vietato da un Protocollo del 1996, che proibisce attacchi non diretti contro specifici obiettivi militari. Immagini e video del 17 settembre mostrano invece esplosioni indiscriminatamente avvenute in negozi, mercati e sulle strade di Beirut: una deliberata scelta di creare caos e terrore psicologico nella società libanese. Ulteriori accuse contro lo Stato d'Israele, sollevate a pochi giorni dalla risoluzione con cui l'Assemblea generale dell'Onu ha chiesto il ritiro delle forze israeliane dai territori palestinesi occupati, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, entro un anno.

Non guerra
Lungo il confine israelo-libanese, area sconvolta da decenni di conflitti e tensioni, si assiste alla fragilità del residuo ritrovato equilibrio. Secondo la Coordinatrice speciale delle Nazioni Unite per il Libano: Non esiste una soluzione militare che renderà più sicure entrambe le parti”.

Al momento, né Israele né Libano hanno interesse per una nuova guerra aperta tra lo Stato ebraico e Hezbollāh: per il governo israeliano, troppo pericoloso aprire un nuovo fronte del conflitto in cui è già impegnato da quasi un anno, soprattutto senza l'appoggio statunitense (Biden ha infatti dichiarato di essere al lavoro per una de-escalation in Libano”). Mentre il movimento filoiraniano uscirebbe inevitabilmente indebolito da un conflitto aperto con Israele, soprattutto dopo che le sue vulnerabilità sono apparse evidenti. E poco cambierebbe nei rapporti di forza regionali.

Se per George Orwell la guerra fredda era una pace che non è pace”, questa escalation di tensione e attacchi incrociati è una guerra che non è (ancora) guerra. In attesa di risultati dalla diplomazia mondiale, le lancette si stanno però pericolosamente avvicinando alla mezzanotte: l'ora più buia di questa impasse totale tra Israele e Hezbollāh potrebbe presto scoccare. Anche se gli Stati Uniti sembrano impotenti di fronte al caos mediorientale, in extremis, una soluzione diplomatica è forse ancora possibile. Per dare una speranza alla pace prima che sia troppo tardi. Ma chi può adesso impedire l’allargamento del conflitto? 


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L'Autore

Giuliana Băruș

Studi in Giurisprudenza e Diritto Internazionale a Trieste.
Oltre che di Diritto (e di diritti), appassionata di geopolitica, giornalismo – quello lento, narrativo, che racconta storie ed esplora mondi fotoreportage, musica underground e cinema indipendente.

Da sempre “permanently dislocated un voyageur sur la terreabita i confini, fisici e metaforici, quelle patrie elettive di chi si sente a casa solo nell'intersezionalità di sovrapposizioni identitarie: la realtà in divenire si vede meglio agli estremi che dal centro. Viaggiare per scrivere soprattutto di migrazioni, conflitti e diritti e scrivere per viaggiare, alla ricerca di geografie interiori per esplorarne l’ambiguità e i punti d’ombra creati dalla luce.

Nel 2023, ha viaggiato e vissuto in quattro paesi diversi: Romania, sua terra d'origine, Albania, Georgia e Turchia.
Affascinata, quindi, dallo spazio post-sovietico dell'Europa centro-orientale; dalla cultura millenaria del Mediterraneo; e dalle sfaccettate complessità del Medio Oriente.

In Mondo Internazionale Post è autrice per la sezione Organizzazioni Internazionali”.

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