L'inumanità dei CPR e l'esperienza di Torino

Perchè i centri per il rimpatrio vanno chiusi

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  Chiara Baittiner
  08 maggio 2023
  4 minuti, 34 secondi

La persecuzione delle persone straniere rimane uno dei capisaldi della politica migratoria in Italia. A poco meno di due mesi dalla chiusura della struttura di Torino, anche in seguito alle rivolte messe in atto dai trattenuti nella struttura, il governo ha approvato al Senato il decreto del 10 marzo, in cui viene ancora una volta sottolineata la volontà di rafforzare l’uso della detenzione amministrativa e dei centri per il rimpatrio (CPR) per gestire i flussi migratori.

MA COSA SONO E COME FUNZIONANO I CPR?

I CPR sono strutture detentive in cui vengono rinchiusi gli stranieri che non posseggono un regolare titolo di soggiorno. I trattenuti in questi centri hanno violato una disposizione amministrativa, quella di essere in possesso di un permesso di soggiorno e vengono sottoposti a un regime di privazione della libertà personale che corrisponde alla detenzione. Queste persone vengono criminalizzate in seguito a una violazione amministrativa, e sono costrette a risiedere in strutture dove vengono violati i loro diritti fondamentali.

Gestiti da enti privati, spesso multinazionali straniere che gestiscono centri di accoglienza e trattenimento in tutta Europa, i centri per il rimpatrio in Italia rappresentato un business milionario. Almeno 43 milioni sono stati spesi nel 2021 per la gestione dei dieci centri sul territorio nazionale, secondo gare d’appalto che presentano offerte eccessivamente al ribasso. Le decisioni riguardo alla detenzione delle persone nei CPR sono prese dai giudici di pace, che normalmente si occupano di reati minori e solo in questo caso hanno la facoltà di deliberare sulla libertà delle persone.

Il processo legale per il trattenimento in queste strutture è una formalità più che una reale decisione giudiziaria e avviene in assenza di un regolamento o ordinamento. Motivo per cui l’esercizio dei diritti delle persone è difficoltoso e incerto. In media, i giudici di pace impiegano 300 secondi per ascoltare il caso e prendere una decisione, che tra il 2016 e il 2019 ha rappresentato una convalida di trattenimento per oltre il 95% dei casi. Chi viene trattenuto nei CPR viene normalmente separato dai connazionali, per scongiurare possibili rivolte. Potenziali minori e persone in stato di vulnerabilità vengono trattenuti in spazi ristretti e ostili, insieme a persone richiedenti protezione internazionale ed ex detenuti.

IL CPR DI TORINO, CHIUSO (TEMPORANEAMENTE) PER LE CONDIZIONI INUMANE E DEGRADANTI

Oltre che un investimento economico a perdere, il CPR di Torino è stato per quasi 25 anni un luogo di violazione sistematica dei diritti dei trattenuti. L'ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), che ha pubblicato un documento ad hoc per far luce sulle violazioni all’interno della struttura, parla di un luogo dove le persone camminano ‘sull’orlo di un burrone’: rinchiuse all’interno di gabbie metalliche, in condizioni igienico-sanitarie degradanti e con limitato accesso ai servizi sociosanitari, le persone manifestano un’alta percentuale di problemi psichiatrici e sono frequenti gli atteggiamenti anticonservativi e gli episodi di autolesionismo, inclusi i tentativi di suicidio.

A questo proposito, è doveroso ricordare Moussa Balde, 22enne originario della Guinea, che si è tolto la vita nel maggio 2021 all’interno del CPR di Via Brunelleschi, a Torino, in cui era stato rinchiuso in regime di isolamento dopo aver subito un pestaggio per mano di tre italiani. In seguito a questo episodio, è stata aperta un'indagine volta a identificare le responsabilità per il suo suicidio.

Se da un lato ci sono gli episodi di violenza autoinflitta, dall’altro c’è il sistematico uso di psicofarmaci per calmare e sedare le persone rinchiuse in questi centri. Inoltre, la pubblica amministrazione, senza alcun controllo giudiziario, ricorre di frequente all’utilizzo del regime di isolamento, che non è consentito da alcuna legge all’interno dei CPR. Oltre a non specificare durata a ragioni per il regime di isolamento, allo straniero è inoltre negato il contraddittorio davanti all’autorità giudiziaria. In questo regime di diffusa illegalità, centinaia di persone si trovano costrette per diversi mesi. Meno del 50% dei trattenuti in questi luoghi verrà effettivamente deportato nei paesi di origine; gli altri verranno rilasciati dal centro una volta scaduti i termini massimi di detenzione, rilasciati in strada con un bagaglio di esperienze traumatiche e senza supporto di alcun tipo.

CHE FUTURO DEI CPR?

Già con il decreto Minniti del 2017, uno degli obiettivi del governo era quello di istituire un CPR per regione. La chiusura del centro di Torino, che è una piccola grande vittoria per chi ha a cuore i diritti umani di tutti, viene considerata una misura temporanea da un Ministero degli Interni che si è già adoperato per consentire la riapertura e l’ampliamento della struttura.

Nella nuova manovra finanziaria del 2023, vengono stanziati ulteriori 42 milioni di euro nei prossimi tre anni per l’ampliamento e la creazione di nuovi CPR. Secondo ASGI, che considera queste strutture ‘un buco nero’ in quanto inaccessibili, l’ampliamento di questi centri porterà a ulteriori episodi di violenza e comportamenti anticonservativi, oltre che un evidente rischio per la salute di chi vi è trattenuto. Per questi motivi, e vista l’esperienza di Torino, la rete di CPR non va rafforzata, ma abolita.

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Fonti consultate:
https://altreconomia.it/oltre-...

https://www.asgi.it/wp-content...

https://altreconomia.it/il-lib...

https://cild.eu/blog/2022/12/0...

https://www.meltingpot.org/202...

https://www.meltingpot.org/202...

https://ilmanifesto.it/torino-...

https://cild.eu/blog/2023/03/3...

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L'Autore

Chiara Baittiner

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Italia Migranti centri di detenzione cpr