Lo sfruttamento sul lavoro

Il fenomeno del caporalato in Italia

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  Redazione
  15 ottobre 2020
  4 minuti, 5 secondi

A cura di Francesca Oggiano

A livello europeo, la Carta dei diritti fondamentali, stabilisce i diritti per i lavoratori che si spostano all’interno dell’UE o che vi fanno ingresso, come ad esempio quelli che regolano i principi di dignità umana (articolo 1), la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato (articolo 5), la libertà professionale e il diritto di lavorare (articolo 15), la non discriminazione (articolo 21), le condizioni di lavoro giuste ed eque (articolo 31).

Secondo uno studio dell’European Union Agency For Fundamental Rights (FRA), le difficoltà economiche spingono spesso le persone a trasferirsi e ad accettare condizioni lavorative inferiori rispetto a ciò che è localmente consentito dalla legge. Il rischio di sfruttamento viene accentuato dall’isolamento sociale che deriva dal non conoscere la lingua del Paese ospitante, motivo spesso di ignoranza rispetto a quelle che sono le norme che regolano le condizioni di lavoro del luogo. Una soluzione a questo problema potrebbe essere l’aumento di controlli e ispezioni sul luogo di lavoro, il miglioramento dei sistemi di monitoraggio delle ispezioni sul luogo di lavoro e delle indagini, incoraggiare le vittime a denunciare gli abusi, poter garantire l’accesso alla giustizia per tutti i lavoratori, creare nelle nostre società un clima di tolleranza zero nei confronti dello sfruttamento dell’attività lavorativa.

La storia contemporanea ci insegna quanto le lotte avvenute durante il cosiddetto “autunno caldo” abbiano lasciato nel nostro Paese un segno indelebile a favore dei diritti dei lavoratori. Scioperi e proteste hanno dato vita a quello che oggi noi conosciamo come lo “Statuto dei lavoratori” che ha di fatto regolato le condizioni dei lavoratori e il rapporto fra questi e i datori di lavoro.

Un pilastro di tale portata in materia di diritti della classe lavoratrice potrebbe far pensare che a distanza di cinquant’anni la situazione possa essere solo che migliorata. Invece i continui fatti di cronaca portano alla luce situazioni di vero e proprio sfruttamento che si verificano quotidianamente sotto i nostri occhi.

Nell’ordinamento italiano il reato di sfruttamento lavorativo è regolato dall’art. 603-bis del Codice Penale. In particolare con l’introduzione di questo articolo, grazie alla cosiddetta “manovra bis” del 14 settembre 2011, si è voluto dar voce ad una piaga dilagante nel nostro Paese: il caporalato. Questo reato prende il nome di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” ed è punito con la reclusione da cinque ad otto anni e con una multa da mille a duemila euro per ciascun lavoratore reclutato. L’illecito penale in questione viene perpetrato soprattutto nel settore edile ed agricolo.

Nella fattispecie di reato una data impresa paga il “caporale” che fornisce la manodopera, il quale lucra sulla differenza tra ciò che percepisce dall’impresa e ciò che paga ai lavoratori. Il denaro percepito dai lavoratori risulterà chiaramente una cifra sotto la soglia minima prevista dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali e che non permette di svolgere una vita dignitosa a queste persone, lucrando su condizioni di sicurezza spesso inesistenti ed orari lavorativi disumani. Questa moderna forma di schiavitù oltretutto uccide: è il caso di Mohammed Ben Ali, uno dei tanti lavoratori agricoli pagati a cottimo o comunque non molto più di 3,50 euro all’ora, con spese per il pranzo e il trasporto a carico del lavoratore.

Una voce su tutte si è levata per cercare di contrastare questo fenomeno così incivile in uno Stato di diritto come dovrebbe essere il nostro: il suo nome è Aboubakar Soumahoro. Quest’uomo di quarant’anni è un sociologo ed è diventato noto dopo l’uccisione del suo compagno sindacalista Soumaila Sako, il cui omicidio è ancora oggi impunito. Aboubakar ha deciso di incatenarsi fuori da Villa Pamphilj, sede degli “Stati generali” dell’economia, chiedendo di poter parlare con il Premier Conte per poter esporre i suoi punti a favore della sofferenza di chi è ormai invisibile e inglobato nel racket dello sfruttamento. Una delle soluzioni proposte dall’attivista sarebbe la cosiddetta “patente del cibo, per garantire un cibo eticamente sano alle persone, e per liberare contadini, agricoltori e braccianti dallo strapotere dei giganti del cibo che favoriscono lo sfruttamento e il caporalato, sia quello digitale, sia quello dei colletti bianchi”. L’idea di introdurre un’etichetta che riporti la provenienza del prodotto e che accerti che questo non sia stato ottenuto attraverso lo sfruttamento dei lavoratori, permetterebbe di minare le politiche oligarchie della Grande Distribuzione Organizzata, aggredendo quindi la sua capacità di imporre le proprie condizioni su prezzi e qualità dei prodotti da portare nei supermercati.

Una presa di coscienza da parte delle Istituzioni sotto la spinta dei consumatori potrebbe aiutare ad arginare questo, per ora incontrastato, fenomeno.



Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.pexels.com/it-it/f...

https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/fra-2016-severe-labour-exploitation-summary_it.pdf

https://www.altalex.com/documents/news/2011/11/22/il-nuovo-reato-di-intermediazione-illecita-e-sfruttamento-del-lavoro

https://www.lavorolibero.org/sfruttamento-lavorativo-elementi-costitutivi-e-definizione-legale/

https://thevision.com/politica/aboubakar-soumahoro-leader/

https://www.2duerighe.com/attualita/121041-caporalato-i-tanti-fronti-di-una-battaglia-per-la-vita.html

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