Loss and damage: il meccanismo mai applicato per risarcire i paesi in via di sviluppo

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  Alessia Marchesini
  11 novembre 2022
  5 minuti, 9 secondi

Sul fatto che il cambiamento climatico abbia causato e continui a causare gravi perdite e ingenti danni ormai non c’è più alcun dubbio. Ma tali conseguenze iniziano a prendere forma dal punto di vista concettuale a partire dagli anni ’90, quando, nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici(UNFCCC) viene introdotto il concetto di loss and damageQuesto termine è ancora oggi controverso e sul suo significato non vi è totale accordo tra i vari paesi.

Tuttavia, in generale, il loss and damage rimanda a tutti quei danni causati sia da eventi climatici estremi e repentini, come terremoti, alluvioni o uragani, sia da quelli cosiddetti a lenta insorgenza, come l’innalzamento delle temperature o del livello del mare, la salinizzazione delle acque dolci, il ritiro dei ghiacciai e la desertificazione.

Con perdite invece si intendono sia quelle di natura economica, come i danni alle infrastrutture o ai terreni coltivabili, ma anche quelle non economiche, ovvero relative alla perdita di vite umane e di biodiversità, di patrimonio e di identità culturali, così come di conoscenze indigene e tradizioni.

Ma chi paga il prezzo più alto?

All’interno di tutta questa narrazione relativa alle conseguenze del cambiamento climatico, non sempre emerge il fatto che i maggiori responsabili delle emissioni, dell’inquinamento e del surriscaldamento globale siano quelli che, in fin dei conti, ne pagano le conseguenze in misura minore.

Si stima infatti che il 97% delle persone vittime del cambiamento climatico viva in paesi in via di sviluppo, i quali hanno avuto un impatto ambientale drasticamente minore rispetto ai paesi industrializzati. I dati su questo sono molto chiari; a partire dalla rivoluzione industriale infatti, il Nord America, l’Europa e la Cina sono stati i maggiori responsabili in termini di emissioni di gas serra globali, che al 2020 ammontavano a 1.5 bilioni di tonnellate. Eppure, gli effetti più drammatici innescati da questi comportamenti si ripercuotono maggiormente in regioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, principalmente per questioni geografiche, ma anche economiche.

È sulla base di questa presa di coscienza che nel 1991 il governo delle Vanuatu, arcipelago situato nel Pacifico meridionale, chiedeva per la prima volta alle Nazioni Unite che i paesi più ricchi e industrializzati risarcissero finanziariamente quelli meno sviluppati e maggiormente colpiti dalle loro politiche economiche e industriali sconsiderate. Da quel momento si sono susseguite innumerevoli richieste di compensazione economica da parte di paesi in via di sviluppo che si trovavano ad affrontare effetti del cambiamento climatico sempre più preoccupanti. In particolare, il G77, un’organizzazione intergovernativa facente capo alle Nazioni Unite, la quale riunisce 134 paesi tra Asia, Africa e America Latina, è da sempre in prima linea nel dibattito sulla necessità di un risarcimento finanziario da utilizzare nella ricostruzione successiva ai sempre più frequenti alluvioni, inondazioni, o periodi di forte siccità e crisi idrica.

Inoltre, come sottolineano i governi di questi paesi, i costi relativi a queste ricostruzioni e le spese sostenute nel tentativo di mitigare gli effetti dei disastri climatici hanno un forte impatto sulle loro economie, e soprattutto, rappresentano un ulteriore fattore di rallentamento allo sviluppo e all’ammodernamento del sistema statale.


Cop19: nasce il Warsaw international mechanism for loss and damage

A seguito di queste svariate – e legittime – richieste, alla Cop19 di Varsavia, tenutasi nel 2013, viene finalmente istituito il “Warsaw international mechanism for loss and damage”, un meccanismo internazionale con lo scopo di compensare le perdite - economiche e non - dei paesi maggiormente colpiti da eventi climatici estremi o a lenta insorgenza.

Tuttavia, non vi è mai stata chiarezza su cosa si intendesse con il termine "compensazione". I paesi interessati hanno sempre interpretato questo meccanismo come la possibilità istituzionalizzata di chiedere aiuti economici per la ricostruzione e un risarcimento per i danni subiti, ma i paesi più sviluppati hanno sempre letto questo concetto in termini di una sorta di copertura assicurativa, con l’aggiunta di strategie per la prevenzione e la mitigazione dei rischi.

Dunque, le richieste dei paesi del G77 sono rimaste per lo più inascoltate. Le uniche azioni messe concretamente in atto fino ad ora sono stati piccoli aiuti in termini di sviluppo delle competenze per la prevenzione, senza però concretizzare un meccanismo di risarcimento economico effettivo.

Di conseguenza, il malcontento e la rabbia sono sempre più diffusi, come dimostra l’ormai iconica immagine del ministro degli esteri di Tuvalu, stato polinesiano situato nell’Oceano Pacifico, che in una conferenza stampa trasmessa alla Cop26 di Glasgow si mostrava immerso in mare fino alle ginocchia. Questo gesto rappresentava un chiaro segno di protesta verso l’immobilismo generale nei confronti di questo problema, le promesse non rispettate e il sostegno di facciata propagandato nelle varie Conferenze sul clima, ma mai messo in pratica in maniera concreta ed efficace.

La speranza ora è che la Cop27, che sta avendo luogo in queste settimane a Sharm el-Sheikh, in Egitto, riesca finalmente a dare risposte più valide e soprattutto solidali ai problemi ambientali contemporanei. Secondo gli esperti, la questione del loss and damage mechanism è una delle più importanti da trattare, e da questo dipenderà l’esito della Conferenza e la sua reale utilità per il futuro. Il professor Saleemul Huq, Direttore dell’International Centre for Climate Change and Development, poco prima dell’inizio della Cop27 ha sottolineato, riferendosi al dibattito su questo meccanismo, che "un fallimento nell’includerlo significherebbe che la Cop avrebbe fallito ancora prima di iniziare."

Sulla questione si è esposto anche Antònio Guterres - Segretario Generale delle Nazioni Unite - affermando che il tema del loss and damage è stato posposto per troppo tempo, e che è arrivato il momento in cui i paesi più ricchi del mondo si prendano la responsabilità per le proprie azioni, supportando in maniera effettiva i paesi condannati a soffrire maggiormente.

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Fonti consultate per il presente articolo: 

https://www.lifegate.it/disastri-climatici-loss-and-damage

https://unfccc.int/topics/adaptation-and-resilience/the-big-picture/introduction-to-loss-and-damage

https://ipccitalia.cmcc.it/loss-and-damage-perdite-e-danni/

https://www.theguardian.com/environment/2022/nov/05/loss-and-damage-must-be-at-heart-of-cop27-talks-experts-say

https://www.valigiablu.it/crisi-climatica-pagare-danni/

https://27esimaora.corriere.it/22_giugno_21/cambiamento-climatico-donne-ambiente-chi-paga-piu-conseguenze-5122598e-f1a1-11ec-82b6-14b9a59f244e.shtml

https://ourworldindata.org/co2-emissions#co2-emissions-by-region

https://www.theguardian.com/environment/2022/nov/04/un-chief-antonio-guterres-climate-crisis-cop27

Immagine: https://www.pexels.com/it-it/foto/donna-che-tiene-l-ombrello-verde-giallo-e-bianco-che-sta-vicino-alla-tv-crt-nera-1344265/ 

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L'Autore

Alessia Marchesini

Classe '99, si laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna. Attualmente frequenta un Master in Politiche, Progettazione e Fondi Europei presso l'Università di Padova. I suoi interessi più grandi sono la storia e la geopolitica, ma anche la natura e la tutela dell'ambiente. Da convinta europeista, ha deciso di cimentarsi nello studio e nell'approfondimento degli strumenti che l'Unione Europea mette a disposizione di stati e cittadini per rispondere alle esigenze del nuovo secolo, in particolare quelle focalizzate su lavoro, transizione energetica ed ecologica.

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