Mahsa Amini e la lotta della società iraniana

Mahsa Amini come simbolo della rivoluzione iraniana

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  Arianna Amodio
  16 ottobre 2022
  4 minuti, 29 secondi

“Chiunque violi in pubblico un qualsiasi tabù religioso oltre a essere punito per l’atto, dovrebbe anche essere incarcerato per un periodo compreso tra 10 giorni a 2 mesi o dovrebbe subire una pena fisica (74 frustrate)”. Così cita l’articolo 638 del codice penale dell’Iran, introdotto per garantire il rispetto dell’etica e dei valori dell’Islam secondo quanto dedotto dall’interpretazione della Sharia.

Una nota all’articolo riguarda direttamente e particolarmente le donne e specifica che vestire l’hijab non correttamente o il non vestirlo in senso assoluto, è da considerare violazione di un tabù religioso, comportando quindi le stesse pene sopra dette. Un’intera nota dedicata alle donne al loro abbigliamento; un’intera nota che sottolinea ulteriormente come esse siano private di libertà e tutele.

Una nota che mina anche la loro sicurezza, in quanto permette alla polizia morale di intervenire con sanzioni economiche o fisiche, fino all’incarcerazione, a danno delle donne che risultano immorali e irrispettose; un intervento che spesso sembra derivare da rilevamenti fin troppo discrezionali e arbitrari. I tempi dello scia dove indossare il velo era simbolo di opposizione al processo di occidentalizzazione in corso, simbolo della libertà di scelta delle donne di identificarsi nella propria cultura, sono ormai terminati .

La rivoluzione religiosa di Khomeini del 1979, che ha portato alla nascita della Repubblica islamica di Iran, ha condotto le donne a uno stato di marginalizzazione e sottomissione, con graduali abolizioni di diritti, garanzie e tutele. Nonostante la partecipazione dell’Iran alla Dichiarazione Universale dei diritti umani, il Paese persegue politiche discriminatorie, risultando spesso oggetto di accuse per violazione di diritti fondamentali. Ciò è stato ulteriormente aggravato dalla mancata firma del governo alla Convenzione contro ogni discriminazione nei confronti delle donne, scelta che ha confermato la chiara posizione del governo in rapporto ai diritti di genere.

Ma la ciliegina sulla torta è stata la successione al potere di presidenti ultraconservatori e radicali che hanno permesso l’inserimento di legislazioni e norme contro la libertà di manifestazione, di scelta e di opposizione, introducendo politiche di repressione violente come le punizioni corporali, inibitorie a ogni forma di attivismo.

L’animo della società iraniana tutta, sia donne che uomini, sembra però essersi risvegliato e infiammato il 14 settembre 2022, quando è stato chiesto a gran voce il superamento delle tradizionali leggi e interpretazioni religiose per un futuro di cambiamento e aperture.

Lo scorso 14 settembre ha rappresentato l’inizio di quella che potrebbe essere una vera rivoluzione interna, sebbene abbia determinato una prima conseguenza terribile: in quello stesso giorno Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni, è stata incarcerata con l’accusa di aver indossato male l’hijab. Un’incarcerazione giustificata da quella famosa nota all’articolo 638, la quale sembrerebbe aver anche legittimato le successive violenze della polizia a danno della giovane ragazza. Questa punizione è prevista dalla legge e quindi è considerata lecita.

Due giorni dopo la cattura, Mahsa è morta nel letto di un ospedale. Le immagini della giovane mostrano chiaramente i segni delle botte sul suo fragile corpo, colpevole solo di aver lasciata libera nel vento una ciocca di capelli. Secondo quanto riferito dall’equipe medica e dal governo, Mahsa sarebbe morta a causa di un’ipossia, dovuta a un intervento passato, giustificazione non plausibile né per i familiari né per l’intera società, da quella iraniana a quella mondiale.

Le immagini della ragazza sofferente, che in breve tempo hanno fatto letteralmente il giro del mondo, hanno innescato a catena una serie di proteste e manifestazioni, online e offline: scioperi, manifestazioni di piazza, atti simbolici ma forti che stanno incrinando la stabilità del governo al potere. Le donne iraniane si tagliano i capelli e bruciano al vento i loro veli come segno di protesta, spesso protette dagli uomini che hanno deciso di non rimanere più a guardare la repressione della polizia religiosa, anzi offrono i loro corpi come scudi. Nel resto del mondo donne e uomini di tutte le età si sono uniti al grido di lotta e rivendicazioni con campagne online e manifestazioni di piazza, atti che, nonostante la distanza, fanno sentire gli attivisti iraniani meno soli.

La storia di Mahsa sembra aver risvegliato la voglia di lottare, diffondendo coraggio e speranza per un futuro di cambiamenti, che tuttavia tardano ad arrivare. Il governo, infatti, sembra non voler recepire le istanze del popolo, continuando la sua politica repressiva, scagliandosi contro gli attivisti e i manifestanti, arrivando a compiere stragi e migliaia di incarcerazioni. Molti hanno già perso la vita, e al nome di Mahsa si aggiungono i nomi di altre e altri giovani che come lei volevano solo essere liberi.

I veli bruciati e i capelli tagliati stanno diventando il simbolo della lotta della società iraniana insieme alla foto di Mahsa Amini che accompagna i manifestanti ogni giorno nelle strade e nelle piazze. I veli liberi nel vento come simbolo di una rivoluzione che chiede un futuro dove l’hijab non sia più considerato come un obbligo, un’imposizione, bensì come la conseguenza di una libera e serena scelta quotidiana.


Le fonti impiegate per la stesura della presente pubblicazione sono liberamente consultabili:

https://www.internazionale.it/magazine/2022/09/22/in-memoria-di-mahsa-amini

https://www.ilpost.it/2022/09/23/breve-storia-del-velo-islamico-in-iran/

https://www.ilpost.it/2022/09/24/quando-nata-come-funziona-polizia-religiosa-iran/

https://www.amnesty.it/appelli/iran-proteggere-il-diritto-di-protesta/

https://www.theguardian.com/world/2022/sep/24/at-least-35-dead-in-eight-nights-of-protests-iran-state-media-reports

https://www.equalitynow.org/discriminatory_law iran_the_islamic_penal_code_of_2013_books_i_ii_and_v/

https://www.refworld.org/cgi-bin/texis/vtx/rwmain/opendocpdf.pdf?reldoc=y&docid=52b812384

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L'Autore

Arianna Amodio

Arianna Amodio, classe 2001, iscritta al terzo anno della Triennale di Scienze delle Relazioni Internazionali dell'Università Statale di Milano, é autrice per la sezione di Diritti Umani del MIPost. Interessata a questioni inerenti in particolare alla tutela dei diritti umani e a progetti di peace building, aspira ad una carriera giornalistica.

Categorie

Diritti Umani

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Iran rivoluzione hijab Donne