Matteo Bressan: Hezbollah e i rischi di un allargamento del conflitto

I possibili scenari sul fronte libanese

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  Giusy Criscuolo
  16 novembre 2023
  6 minuti, 39 secondi


Alcune ore dopo l’ultimo discorso tenuto dal Segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, le operazioni nel sud del Libano erano aumentate e come dichiarato da lui stesso “in quantità, qualità e profondità. - sostenendo come - E’ il campo che agisce e parla”. Il fronte si è intensificato in un modo senza precedenti dallo scoppio della guerra a Gaza ed ora gli stessi abitanti del sud del Libano temono lo scoppio di un conflitto, che potrebbe allargarsi a tutta l’antica Fenicia.

Con Matteo Bressan (Docente di studi Strategici presso LUMSA MASTER SCHOOL, analista presso NATO Defense College Foundation e docente presso la SIOI)) abbiamo cercato di analizzare i rischi concreti della minaccia Hezbollah e delle parole lasciate da Nasrallah nel suo ultimo intervento. Già autore di un libro dal nome “Hezbollah. Tra integrazione politica e lotta armata” pubblicato nel 2013, Matteo Bressan in quanto studioso del gruppo militante di Hezbollah ci accompagna nella lettura delle “velate” minacce lanciate dal leader dell’Organizzazione.

Su possibili collegamenti tra quello che è stato scritto nel 2013 e ciò che sta accadendo oggi Bressan specifica come il quadro sia ben differente da quello analizzato 10 anni fa, poiché legato prettamente alle dinamiche libanesi, che parlava di Hezbollah come partito di Dio e movimento di organizzazione terroristica, che manteneva la sua componente militare integrandosi nelle istituzioni libanesi. Il tutto partecipando alle elezioni con i propri ministri ed i propri parlamentari. Un’analisi che prendeva spunto dalla guerra del 2006 dove Hezbollah aveva costruito una narrazione tale da far percepire di essere l’unica realtà non statuale ad avere fermato Israele.

Ben diversa la situazione di oggi che l’analista continua ad identificare come elemento interno alla società libanese che va a condizionare sempre più le dinamiche politiche e sociali, rendendo sempre più instabili gli equilibri. «Bisogna tenere presente che Hezbollah non ha mai operato e non opera da solo. Questo tralasciando riferimenti al supporto dell’Iran o della Siria come nella guerra del 2011. Hezbollah riusciva ad ottenere consenso anche attraverso altri partiti politici come alcuni cristiano/maroniti - continua Bressan – che sostenevano il blocco dell’8 marzo». Per Bressan ridurre Hezbollah esclusivamente al campo sciita sarebbe riduttivo, come sarebbe riduttivo inquadrarlo unicamente nel sud del Libano.

«Anche questi 10 anni hanno contribuito a rendere più forte Hezbollah, che attraverso la guerra civile in Siria ha dovuto ricostruire la sua narrazione, perché ha dovuto per forza di cose schierarsi e, in questo caso, a favore di Bashar al-Assad contro le proteste iniziali, che erano proteste pacifiche. Un atteggiamento che creava un’apparente incoerenza tra l’appoggio politico e formale enunciato da Hezbollah ad altri movimenti di protesta in Egitto o in Libia nel periodo delle cosiddette primavere arabe. Quindi il “difensore degli oppressi” che si schierava con Bashar al-Assad».

Passando poi ad un parallelismo tra il primo discorso tenuto da Hassan Nasrallah relativamente all’intervento del Partito di Dio in Siria e l’ultimo discorso, tenuto la scorsa settimana, Bressan sostiene: «Hezbollah annunciò, anche nel maggio del 2013 pubblicamente, ciò che in realtà già faceva da due anni - si parla dell’intervento militare in Siria a fianco di Bashar al-Assad - contro le varie milizie di opposizione siriane che in quegli anni non erano riconducibili allo stato islamico. Attori poi arrivati come testimoniano i 45mila Foreign Fighters tra Siria e Iraq, ma successivamente all’impegno militare iniziato subito nel marzo 2011».

Volendo fare un accostamento con ciò che accade oggi, anche in quel frangente, Nasrallah ammise che Hezbollah partecipava al conflitto già da tempo, anche perché non potevano più nascondere i funerali “segreti” dei propri miliziani nel sud del Libano, oltre al fatto che l’Organizzazione Terroristica stava costruendo una nuova narrazione. Hezbollah si proponeva in una nuova veste, quella del difensore del Libano dalla possibile espansione dello Sato Islamico dalla Siria alla Terra dei Cedri.

«Questa già all’epoca – come spiega Bressan – è stata la narrazione vincente di Hezbollah sostenuta anche da alcuni partiti cristiani maroniti. Il parallelismo con l’ultimo discorso di Nasrallah si trova nel fatto che il Segretario generale del partito di Dio non dice “entriamo in guerra”, ma dice “noi siamo già in guerra dall’8 ottobre” andando a specificare un dato di fatto che già c’è e che è tranquillamente analizzabile osservando l’incremento di attacchi con razzi, missili e droni contro infrastrutture israeliane e contro centri abitati, città e reti di comunicazione». Il tutto passando da numeri sostanzialmente irrilevanti di scontri con Israele dal 2006 a lanci di razzi e conseguenti risposte israeliane quotidiane, che hanno provocato almeno la morte di una sessantina di uomini di Hezbollah, entrando di fatto in qualcosa di diverso.

Questo perché, nonostante Nasrallah non abbia parlato di estensione del conflitto, ha comunque minacciato apertamente gli Stati Uniti accusati di essere i responsabili del conflitto a Gaza. «Inoltre il Partito di Dio enfatizza e punta il dito su quello che chiama il fallimento israeliano nella gestione degli attacchi del 7 ottobre. Per gli Hezbollah, Israele si sta difendendo solo perché c’è il contributo americano. Il messaggio che lanciano è che Israele non sia più sicura. Anche alla luce dell’ultimo messaggio lanciato da uno dei leader di Hamas sul New York Times dove dice “Con il nostro attacco portiamo un livello di guerra permanente con Israele e abbiamo riportato al centro la causa palestinese”».

Ma per ben comprendere cosa accade, bisogna mettere a sistema il pensiero di Hezbollah legato a quello di Hamas e su questo Bressan ha le idee molto chiare: «Il pensiero di Hezbollah dice che l’Iran sostiene l’asse della resistenza, non che lo coordina, togliendo di fatto l’Iran dalla responsabilità di aver scatenato questo conflitto con Hamas. Senza dimenticare le minacce agli Stati Uniti e le accuse lanciate da Nasrallah ad Israele sulle modalità con le quali le forze di difesa israeliane stanno conducendo le operazioni a Gaza.

Ne segue che Israele viene accusata di crimini di guerra e loro (gli Hezbollah) si fermeranno quando si fermerà l’aggressione d’Israele nella Striscia di Gaza. Dall’altro c’è un appello e un plauso agli altri movimenti coordinati, nel recente passato, dalla forza al- Quds comandata fino al 2020 dal Generale Soleimani: le milizie sciite in Iraq e Siria e gli Houti nello Yemen che dal 12 ottobre hanno attaccato installazioni e basi americane».

Possiamo dunque parlare di una nuova fase dove vi è stato un incremento degli attacchi, un incremento delle capacità di Hezbollah, ma soprattutto un risultato tangibile che oggi Hezbollah ha raggiunto e che lo ha un po’ svincolato - secondo Bressan – da quelle che saranno le risultanze delle operazioni israeliane a Gaza. «L’incremento degli attacchi di Hezbollah - dice Bressan - nel nord di Israele ha obbligato le autorità israeliane, prima ad evacuare la popolazione, circa 50/60 mila persone, del nord nel raggio di due chilometri e al confine con il Libano, per poi passare a cinque chilometri. Ed è questa fascia di sicurezza che potrebbe innescare un pesante conflitto tra Israele e Hezbollah, trascinando tutto il Libano in guerra. Questa è la nuova alterazione dell’equilibrio strategico tra Hezbollah ed Israele nel Nord».

Tale scenario renderebbe del tutto indipendente ciò che sta accadendo e accadrà a Gaza da qui a quando le operazioni termineranno. Hezbollah tra l’aprire più fronti (Libano e Siria) e cambiare gli equilibri strategici nel nord di Israele potrebbe aver optato per questa strada.

«Il che non significa voler dichiarare una guerra totale e condurre operazioni terrestri più volte annunciate – con il rischio di essere accusato da tutta la restante parte della comunità libanese di avere trascinato il Libano in guerra – ma potrebbe voler significare mettersi nelle condizioni di voler determinare una reazione israeliana per poi giustificare l’apertura di un fronte importante sulla falsa riga del 2006».

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Giusy Criscuolo

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