Houthi vs the US/UK

Parte I

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  Matteo Gabutti
  28 gennaio 2024
  10 minuti, 8 secondi

A fine dicembre 2023, a poco più di vent’anni dal lancio dell’operazione Iraqi Freedom, gli Stati Uniti ne hanno inaugurata un’altra dal titolo altrettanto ambizioso, Operation Prosperity Guardian.

Nel 2003, l’obiettivo dichiarato dal Presidente George W. Bush consisteva nel destituire Saddam Hussein per consegnare al popolo iracheno “un Paese unito, stabile e libero”. Oggi, Washington guida di nuovo una coalizione militare nel Medio Oriente, per tutelare la libertà di navigazione nel Mar Rosso dagli attacchi Houthi provenienti dallo Yemen.

Al di là della bontà di tracciare analogie o distinguo, ciò che rimane invariato dopo un ventennio è la mole di considerazioni geopolitiche, economiche e umanitarie che sbocciano al seguito di eventi di tale portata in questa regione del mondo.

Perché emerga una diagnosi dalla pletora di valutazioni contrastanti, il diritto internazionale offre un tavolo operatorio con una certa pretesa di scientifica neutralità. Ed è con questi ferri che sezioneremo il caso degli attacchi missilistici angloamericani in Yemen.



Che succede?

Gli Houthi – i cosiddetti “difensori di Dio”, Ansar Allah – rappresentano un movimento fondamentalista islamico di confessione zaidita, una variante dello sciismo. Nel 2014, si sono ribellati al governo internazionalmente riconosciuto dello Yemen, godendo dell’appoggio della teocrazia sciita dell’Iran, e ad oggi controllano ampie porzioni del Paese, inclusa la capitale Sana.

Insieme a Hamas e Hezbollah, la milizia Houthi si inserisce nell’asse di resistenza antiamericana e antisraeliana sotto la guida di Teheran. In quanto tale, da metà ottobre il gruppo ribelle yemenita ha inaugurato una serie di attacchi alle navi cargo commerciali nel Mar Rosso. L’intento è colpire quelle dirette verso o da Israele, in risposta alla guerra condotta da Benjamin Netanyahu nella Striscia di Gaza.

In questo contesto è nata la sopracitata operazione Prosperity Guardian a guida statunitense, sottoscritta, fra gli altri, da Gran Bretagna, Canada, Francia, Italia, e Bahrein – unico Paese del Golfo ad avervi aderito apertamente. Navi da guerra americane e britanniche hanno così iniziato a pattugliare il Mar Rosso per intercettare missili e droni Houthi.

Il 9 gennaio, lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) ha adottato la Risoluzione 2722 (2024) per intimare i miliziani ad interrompere immediatamente la propria campagna.

Due giorni dopo, USA e UK hanno lanciato attacchi aerei e navali con missili guidati contro numerosi obiettivi strategici Houthi – radar, siti di lancio, depositi di armi – col supporto di Australia, Bahrein, Canada e Paesi Bassi. Lunedì 22 gennaio, l’episodio si è ripetuto per l’ottava volta, in quella che l’esercito statunitense ha denominato operazione Poseidon Archer.



Attacco e difesa

I governi angloamericani hanno immediatamente presentato il proprio intervento militare come legittimo ricorso al diritto all’autodifesa, così come scolpito all’Art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite.

Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintanto che il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. […]


- Statuto delle Nazioni Unite, Art. 51

“Nessuna disposizione” sottintende la proibizione all’uso o alla minaccia della forza dell’Art. 2(4) dello Statuto, per il quale il diritto all’autodifesa rappresenta una chiara eccezione. La puntualizzazione “attacco armato” sottolinea invece come l’invocazione dell’Art. 51 richieda una soglia più alta in termini di portata ed effetti rispetto ad un mero uso della forza. Tuttavia, tale soglia non ha una precisa definizione e si presta, così, ad interpretazioni contrastanti.

È evidente che Washington la consideri ben oltrepassata. Già a dicembre due navi da guerra americane erano state minacciate da droni Houthi, e ne avevano giustificato l’abbattimento come autodifesa – sebbene il Comando Centrale USA non abbia potuto confermare se le navi fossero in effetti gli obiettivi primari. La posizione statunitense è opinabile, ma non insostenibile.



Botta e risposta

Londra, dal canto proprio, ha notificato l’UNSC specificando come la sua sia stata una rispostanecessaria e proporzionata” agli attacchi Houthi. La notte del 9 gennaio, il cacciatorpediniere HMS Diamond della Royal Navy ha reagito dopo esser stato bersagliato insieme a navi americane.

I due aggettivi non compaiono nell’Art. 51, ma si sono imposti come sue restrizioni sotto la veste del diritto consuetudinarioovvero quell’insieme di regole vincolanti non perché scritte in un trattato, ma piuttosto in quanto frutto di pratiche generali e consolidate, accompagnate da un senso di obbligo legale.

In particolare, necessità fa riferimento al fatto che il ricorso all’uso della forza come autodifesa rappresenti l’ultima ratio. In luce della sopracitata Risoluzione dell’UNSC e di dichiarazioni congiunte di ultimatum rivolte agli Houthi, la risposta militare, arrivata dopo mesi, non è certo piombata immediatamente e senza preavviso.

Proporzionalità, d’altro canto, è un concetto più opaco. Secondo il Prof. David Kretzmer, ne esistono essenzialmente due interpretazioni. La prima è quella dell’occhio per occhio, la seconda quella di ‘fini e mezzi’, che riprende sostanzialmente il concetto di necessità. Se tu mi facessi un occhio pesto con un colpo di fionda, una risposta proporzionale in linea con la prima interpretazione preverrebbe ch’io ti faccia a mia volta un occhio nero. La seconda interpretazione, invece, suggerisce ch’io mi limiti a ricorrere a mezzi necessari per raggiungere dei fini legittimi, come prevenire un tuo secondo colpo sottraendoti o rompendoti la fionda.

A quest’ultima lettura di proporzionalità si sposerebbe l’insistenza di USA e UK sull’aver risposto prendendo di mira obiettivi militari, per prevenire ulteriori attacchi e ridurre le capacità offensive dei ribelli. La precisazione di aver agito “con particolare cura a minimizzare i rischi per i civili”, nelle parole della rappresentante permanente britannica all’ONU Barbara Woodward, fa invece eco alla prima interpretazione, per equilibrare la bilancia dei danni inflitti e subiti.



Pareri dissenzienti

In questo senso, il prudente atteggiamento angloamericano sembra teso a distinguere le operazioni in Yemen da quelle, decisamente fuori misura, condotte da Israele nella Striscia di Gaza.

Tuttavia, una buona fetta di mondo non mostra di aver apprezzato lo sforzo.

Gli Houthi stessi hanno additato “il nemico americano e britannico” come interamente responsabile “per la sua aggressione criminale contro il nostro popolo yemenita”. I ribelli hanno continuato a bersagliare obiettivi e interessi angloamericani nel Mar Rosso in ritorsione agli attacchi che, come ammesso dal Presidente Biden, non stanno fermando gli Houthi.

L’Iran, il principale alleato e armatore dei miliziani, ha denunciato “questi attacchi come una chiara violazione della sovranità e integrità territoriale dello Yemen e una violazione del diritto internazionale”.

Dinanzi al Consiglio di Sicurezza, il rappresentante permanente russo Vasily Nebenzya ha accusato “il giurato anglosassone e i suoi satelliti” di violare per l’ennesima volta lo Statuto dell’ONU, bombardando l’ennesimo Paese illegalmente e sproporzionatamente. Secondo la Russia, col pretesto di difendere le rotte commerciali, gli angloamericani starebbero destabilizzando la situazione già critica del Medio Oriente.

Persino Erdogan, Presidente di un membro della NATO qual è la Turchia, ha condannato i propri alleati di “trasformare il Mar Rosso in un mare di sangue” attraverso un “uso sproporzionato della forza”.



Senza via di scampo?

L’utilizzo della stessa terminologia da parte di tutti gli schieramenti è sintomo dell’ambiguità di termini quale “proporzionato” o “attacco armato”, che permette a diverse interpretazioni di scontrarsi senza soluzioni definitive.

Allo stesso tempo, il largo ricorso a questo gergo testimonia la pervasività di un approccio legale a fianco di considerazioni strategiche ed etiche.

Proprio questa centralità del diritto internazionale sconsiglia di trascurarlo del tutto, per quanto fumoso possa sembrare.

E lo è, fumoso, persino più di quanto traspaia da queste righe. Chi non ne fosse ancora sazio – o nauseato – non dovrà che attendere la seconda portata.

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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