Il Mar Nero è una pietraia di mine. Nella prima fase del conflitto russo-ucraino, infatti, grandi quantità di esplosivi sottomarini russi sono stati depositati sui fondali in prossimità dei porti più importanti della Repubblica d’Ucraina. C’era chi parlava di circa 500 unità dei vecchi armamenti sovietici. Allo stesso modo, mine di matrice ucraina sono state posizionate sui fondali per ostacolare il transito di navi russe in acque territoriali. La posta in gioco è difficile e insidiosa, ma è necessario vederci chiaro, per togliere dal tavolo quello che può essere un argomento di poco conto, come invece al contrario un punto di vista inedito da cui guardare le cose.
È chiaro che l’obiettivo di Mosca, nello svolgimento di questa attività sia quello di ostacolare il più possibile il passaggio delle navi del grano, andando a inserire una spina nel fianco ai rapporti commerciali dell’Ucraina con gli interlocutori europei. Ma la questione è montata dopo che fonti militari hanno sostenuto che le mine si sono spostate nel corso del tempo, in un percorso subacqueo che ha consentito di raggiungere i confini e le zone economiche esclusive degli altri Paesi del Mar Nero, come Romania e Bulgaria. Il tema non è privo di riscontri pratici, visto che sono stati più d’uno gli incidenti navali verificati ai danni delle navi cargo, come quello fortuito di dicembre 2023 contro una nave greca diretta al porto ucraino di Izmail, vicino Odessa, che ha urtato una mina di probabile provenienza russa rischiando una collisione. Ma il fatto più grave è avvenuto la mattina del 3 marzo 2022 con una nave container estone, affondata a 20 chilometri da Odessa in seguito a un’esplosione occorsa sotto allo scafo, ma l’equipaggio, metà russo e metà ucraino, è riuscito a mettersi in salvo in extremis. Ma come farebbero le mine subacquee a percorrere tali distanze e a raggiungere le coste bulgare o quelle turche? È ragionevole presentare una forma di disappunto, anche perché l’attenzione mediatica diffonde poche notizie sul tema, e non esiste neanche una sufficiente divulgazione.
Sembra doveroso capire la costituzione fisica di questi armamenti. Le mine utilizzate sono di due tipologie: le prime sono le “mine ad ancora”, di antico uso e fabbricazione, usate ancora oggi dalle marine militari, soprattutto russe, cinesi e iraniane. Gli esplosivi sferici, simili alle boe di navigazione, si ancorano alla sabbia e rimangono in superficie o appena sotto il livello dell’acqua, generando una zona ad alta pericolosità per le imbarcazioni, sprovviste di strumenti di rilevamento. Le seconde, molto più piccole, hanno un diametro di 30 centimetri e un peso di tre chili e sono conosciute nell’ambiente come “mine anti-sbarco”, posizionate vicino alla riva per impedire alle navi, intente in operazioni di sbarco anfibio, di accedere alla terraferma. Se le mine ad ancora si staccassero dal loro ormeggio, potrebbero raggiungere le coste turche nel giro di venti giorni, causando però lungo la rotta un pericolo imminente per i mercantili in transito. Questa situazione di pericolo ha indotto i Paesi NATO che si affacciano sul Mar Nero, Bulgaria, Romania e Turchia, a prendere le dovute precauzioni in termini di sicurezza, anche perché quella delle mine inesplose è una pesante eredità consegnata dalle battaglie navali del passato. Dall’inizio del conflitto in Ucraina, la marina bulgara è stata coinvolta in operazioni di monitoraggio e di sorvolo delle porzioni d’acqua maggiormente interessate, vale a dire in primo luogo la zona nord-occidentale del Mar Nero.
Anche la marina rumena è intervenuta con i suoi cacciamine a guida della task force navale del Mar Nero, conducendo operazioni di ricognizione e di bonifica delle acque territoriali, simulando rilevamenti e neutralizzazioni degli esplosivi, introducendo addestramenti duri per i reparti degli artificieri subacquei. “Le mine sono piccole e può essere difficile individuarle quando il mare è agitato. Le correnti possono spingere le mine fino alla costa e noi ci occupiamo di neutralizzare e spostare l'ordigno in un luogo adatto alla distruzione”, ha spiegato il comandante della divisione sommozzatori, Cătălin Gherghinescu.
Gli aspetti giuridici della questione hanno visto la conclusione di un accordo internazionale l’11 gennaio 2024, ad Istanbul. Il patto trilaterale tra Turchia, Bulgaria e Romania, ha messo sul tavolo della trattativa il problema della sicurezza navale nel Mar Nero, a tutela e rinforzo del commercio internazionale. I governi dei tre Paesi hanno definito un’azione comune per rimuovere le mine russe inesplose. La carta, ha previsto anche l’introduzione del Mine Countermeasures Naval Group, un’autorità preposta al monitoraggio delle attività internazionali di sminamento. L’obiettivo strategico, come opportunamente sottolineato in una riunione del Consiglio Atlantico da Todor Tagarev, ministro della difesa bulgaro, è quello di collocare il Mar Nero sotto il totale dominio della NATO, senza che vi siano interlocutori privilegiati, raggiungendo le stesse condizioni del Mar Baltico dopo la caduta dell’Unione Sovietica: un mare senza padroni.
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L'Autore
Federico Cortese
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