Neuroarchitettura: quando le neuroscienze incontrano il design, per un mondo a misura d’uomo

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  Redazione
  17 luglio 2020
  3 minuti, 36 secondi

A cura di Filippo Schena

La neuroarchitettura nasce dall’interazione tra neuroscienze e architettura. Se vogliamo andare nello specifico, si parla di neuroarchitettura quando la progettazione si basa effettivamente su ricerche neuroscientifiche. Per essere ancora più precisi, lo scopo della disciplina è quello di creare spazi mentalmente a misura d’uomo, cosicché chiunque li frequenti possa ricavarne un benessere psico-fisico.

Con il termine "benessere" non si intende soltanto comfort e felicità, ma tutti gli spazi, pubblici e privati, che hanno un impatto positivo sulla raccolta delle informazioni e sulla percezione dei dati sensibili che ogni individuo mette in atto quando viene a contatto con l’ambiente circostante e che provoca determinati stati d’animo. Accogliere studenti in classi che favoriscano l’apprendimento; ospitare pazienti in ospedali che aiutino la guarigione; raccogliere visitatori in musei che sostengano l’attenzione; sistemare dipendenti in uffici che allentino la tensione e migliorino l’efficienza. Questi sono tutti esempi di ambienti che innescano stimoli positivi nell'essere umano.

Le ricerche che sono state condotte finora dimostrano come luce, colori, paesaggi, forme, materiali, arredamento, stanze, senso della direzione, facciate dei palazzi e spazi verdi inviino precisi segnali al nostro cervello, che li trasforma in associazioni mentali e genera reazioni emotive. In particolare, le responsabili - tanto del nostro posizionamento quanto della navigazione spaziale nel presente e nel futuro - sono un gruppo di cellule nervose presenti nella regione dell’ippocampo e nella corteccia entorinale. Per analizzare la risposta fisiologica del nostro corpo, che si manifesta come alterazione dell'attività cardiaca, cerebrale o sudorazione, gli strumenti utilizzati sono stati diversi. Infatti, si passa da bracciali e app di tracciamento a elettroencefalogrammi e biosensori - collegati al GPS - che forniscono la posizione del soggetto e le informazioni geografiche. Inoltre, grazie alla realtà aumentata, abbiamo la possibilità di testare a priori quale potrebbe essere l’impatto di un ambiente sul soggetto in questione.

Hugo J. Spiers, direttore dello Spatial Cognition Laboratory presso UCL, elenca alcune specifiche caratteristiche di un edificio sulla base del beneficio neuropsicologico che offre: assicurare una buona esposizione alla luce e buona visibilità di accesso a piani superiori, inferiori e vie d’uscita; costruire una facciata dinamica e sinuosa; caratterizzare gli ambienti in modo che siano ben riconoscibili; garantire una direzionalità lineare; fornire una vista ampia su elementi naturali. Michael Bond sembra corroborare la tesi summenzionata quando descrive il quartiere di Pruitt-Igoe di St. Louis, Missouri, USA (durato poco più di un decennio) come esempio negativo di impatto architettonico sull’uomo: avendo trascurato il criterio "umano" nella progettazione, sembra che la planimetria (33 grattacieli indistinti e spazialmente monotoni) abbia innescato comportamenti antisociali, aumentando il tasso di criminalità.

Sebbene la neuroarchitettura sia una disciplina nata nel XXI secolo grazie ai progressi della ricerca, è anche vero che il principio cardine su cui si fonda, ossia l’essere umano in quanto tale, richiama l’attenzione su un approccio antropocentrico-umanistico, già utilizzato nel mondo classico e nel Rinascimento. Le personalità che si occupano di neuroarchitettura provengono dalle due discipline che la compongono. Possiamo citare: Stai Palti, architetto e ricercatore, Direttore di Hume (studio che offre servizi di architettura e urban design basati su ricerche nel campo delle neuroscienze del comportamento) e del Center for Conscious Design (think tank interdisciplinare che studia l'impatto del design su fenomeni socioculturali complessi) e consigliere dell’ANFA; Kate Jeffery, professoressa di neuroscienze del comportamento e founder del “Institute of Behavioural Neuroscience” presso UCL; Colin Ellard, Direttore dello Urban Realities Lab (all'interno del quale viene studiato l'impatto del design urbano sulla psicologia umana). Se invece ci concentriamo sul territorio italiano possiamo citare Davide Ruzzon, direttore scientifico di Tuned e responsabile scientifico del Master NAAD (neuroscience applied to architectural design).

Dato che l’essere umano in quanto tale ritorna ad essere il fulcro della progettazione, sono molteplici i fattori che devono essere presi in considerazione (per di più, senza assicurare una soluzione finale univoca e universalmente applicabile). Pertanto, è comprensibile come la natura della neuroarchitettura sia relativa e flessibile. Tuttavia, per quanto l’esigenza di rappresentazioni su misura complichi il quadro generale, un approccio consapevole, salubre e sostenibile fa ben sperare in un'armonizzazione ottimale con il mondo, esplorando processi evolutivi umani e migliorando la resilienza del nostro pianeta.

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