Perché l'Italia si ritira dal progetto della Belt and Road Initiative cinese?

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  Redazione
  08 agosto 2023
  7 minuti, 12 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

L’iniziativa sul ritiro dell'Italia dalla Belt and Road Initiative (BRI) riflette la delusione per la mancanza di concreti e rapidi benefici economici oltre che per un ripensamento strategico delle proprie relazioni con la Cina Popolare.

Nel 2019, nel corso della visita del presidente cinese Xi Jinping a Roma, l'Italia ha turbato gli Stati Uniti e l'Unione Europea diventando il primo paese del Gruppo dei Sette (G7) ad aderire alla Belt and Road Initiative (BRI) della Cina, la più grande impresa infrastrutturale globale mai realizzata nel mondo moderno.

Sotto gli auspici di questa iniziativa, le maggiori banche e le società cinesi – entrambe sotto l’egida di Pechino - hanno finanziato e costruito, dalle centrali elettriche, ferrovie, autostrade e porti alle infrastrutture di telecomunicazione, cavi e stazioni di elaborazione e trasporto dei segnali in ​​fibra ottica e città “intelligenti” a tutte le latitudini.

Con il suo protocollo d'intesa di durata quinquennale, in attesa di un eventuale rinnovo rinnovo nel marzo 2024, l'Italia sembra proprio decisa a ritirarsi dalla BRI, un verosimile riflesso dovuto alla delusione per le promesse non mantenute dell'iniziativa e la rivalutazione strategica della Cina da parte del nostro paese.

Perché la BRI ha attratto l'Italia?

Dopo aver subito tre periodi di recessione economica nell'arco di un decennio, l'Italia cercava tramite la BRI di attrarre investimenti ed espandere l'accesso delle esportazioni italiane all'enorme mercato cinese. All'epoca, il governo populista italiano era scettico sulle intenzioni da parte dell'Unione Europea (UE) e più che disposto, in alternativa, a rivolgersi alla Cina Popolare per soddisfare le sue necessità di rendere i propri investimenti più proficui. L'Italia ha visto l'opportunità, in verità poco realistica, di sfruttare il proprio peso politico per aderire alla BRI nella ardita speranza di superare gli altri verso gli investimenti cinesi.

La politica di Xi Jinping

Xi aveva le sue motivazioni per intraprendere una politica di affari con l'Italia. Già in passato, specie per la sua peculiare e vantaggiosa posizione geografica al centro del mar Mediterraneo, il paese fungeva da importante capolinea dell'antica Via della Seta.

E l'inclusione dell'Italia nella BRI avrebbe favorito il progetto cinese di collegare questa sua iniziativa verso un'epoca di prosperità economica. A latere di questo successo avverrebbe anche - ma secondo alcuni era il vero obiettivo di Pechino – una forte insinuazione della potenza cinese nel cuore politico-economico dell’Unione Europea.

Le relazioni

Ci sono anche legami duraturi intercorrenti tra i due paesi: l'Italia accoglie la più grande popolazione cinese, per lo più impiegata nelle attività commerciali, in Europa. Attualmente i due paesi condividono profondi legami anche nella produzione di tessuti, articoli in pelle e molto altro ancora.

L’influenza cinese

Mentre la Cina cercava legittimamente di aumentare la sua influenza in Europa, creare una sorta di cuneo nell'UE e magari, con un po’ di bieco cinismo, inquinare i rapporti tra Washington e Bruxelles.

Secondo una valutazione geostrategica, vista la fragilità di base e l’elevato livello di corruttela generale del sistema politico locale, l'Italia appariva come un reale punto debole su cui poter facilmente esercitare pressioni profittevoli.

E’ divenuto presto evidente, tuttavia, che la BRI non avrebbe soddisfatto le speranze e le aspettative italiane. Sotto gli auspici della BRI, l'Italia ha firmato numerosi accordi istituzionali, dalla doppia imposizione al riconoscimento di determinati requisiti sanitari per le esportazioni di carni suine, beni culturali e siti del patrimonio e numerosi affari commerciali minori.

Ma questi accordi non sono riusciti a cambiare radicalmente sia la traiettoria che la sostanza dei legami economici Italia-Cina.

Infatti, da quando l'Italia è entrata a far parte della BRI, le sue esportazioni verso la Cina sono aumentate da 14,5 miliardi di euro a 18,5 miliardi di euro, mentre le esportazioni cinesi verso l'Italia sono cresciute molto più drasticamente, da 33,5 miliardi di euro a 50,9 miliardi di euro.

Gli investimenti cinesi nei paesi non-BRI in Europa hanno superato di gran lunga quelli in Italia. Mentre gli IDE (Investimenti diretti all’estero, indicanti i trasferimenti di capitale e di tecnologie da un paese all'altro) cinesi in Italia sono scesi da 650 milioni di dollari nel 2019 a soli 33 milioni di dollari nel 2021.

Un altro database riporta che la Cina ha investito 24 miliardi di dollari in Italia dal 2005, ma solo 1,83 miliardi di dollari sono stati realizzati in seguito alla decisione dell'Italia di aderire alla BRI.

L'esperienza negativa dell'Italia dimostra concretamente che l'adesione alla BRI non ha conferito alcuno status speciale con la Cina Popolare o gli abbia garantito più scambi commerciali e/o investimenti con la Cina di quanto si verificherebbe in assenza della BRI.

Asia non legata e governo Meloni

Quando è diventato chiaro che la BRI non sarebbe stata una panacea economica, il governo italiano ha iniziato a rivalutare dalla radice se continuare a farne parte.

Nell'ultimo anno, il nuovo primo ministro italiano, Giorgia Meloni, ha riconosciuto che l’adesione alla BRI è stato un "grosso errore" che intendeva apertis verbis correggere ritirandosi appena possibile dall'iniziativa.

Meloni ha citato la mancanza di benefici che l'Italia ha maturato dopo l'adesione alla BRI, osservando che “l'Italia è l'unico membro del G7 che ha aderito al memorandum di adesione alla Via della Seta, ma non è il paese europeo o occidentale con le relazioni economiche più forti e flussi commerciali con la Cina”.

Più di recente, il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha definito la decisione dell'Italia di aderire alla BRI un "atto improvvisato".

Oggi, più in sintonia con gli alleati europei, il ritiro italiano dalla BRI riflette la crescente convergenza transatlantica sulla sfida posta dalla Cina. I paesi europei vedono realisticamente e sempre più la Cina come un paese rivale dell’Occidente, piuttosto che come un partner o un concorrente, mentre la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha recentemente affermato che "l'obiettivo chiaro del Partito comunista cinese è un cambiamento sistemico dell'ordine internazionale con la Cina al centro di esso”, indicando la BRI solo come un primo tentativo.

I risvolti internazionali

Il sostegno di Pechino alla Russia nella sua guerra contro l'Ucraina ha indotto numerosi governi europei, compreso quello italiano, a rinunciare ad ogni illusione sulla reale volontà della Cina. Anche i paesi dell'Europa centrale e orientale, che tradizionalmente cercavano legami più stretti con la Cina attraverso il meccanismo di cooperazione "17+1", hanno assunto il medesimo atteggiamento in politica estera verso il gigante asiatico.

Riflettendo su questo cambio di strategia nei confronti della Cina, la Meloni da candidata ha affermato che “non c'è alcuna volontà politica da parte mia di favorire l'espansione cinese in Italia o in Europa”.

Da quando questa parlamentare ha assunto la carica politica apicale, è stata una convinta sostenitrice dell'Ucraina, mentre durante il recente incontro di Meloni con il presidente Usa, Joe Biden, si sono entrambi impegnati a “rafforzare le consultazioni bilaterali e multilaterali sulle opportunità e le sfide poste dalla Repubblica popolare cinese” e hanno sottolineato “la vitale importanza di mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan”.

Il ritiro dell'Italia da un ulteriore colpo alla validità ed espansione della BRI, che è già stata ridimensionata mentre i paesi beneficiari sono alle prese con la crisi del debito: non a caso le banche cinesi cercano di ridurre la loro esposizione a prestiti rischiosi e la Cina è sempre più alle prese con le ampie e crescenti sfide economiche interne.

La politica della UE

I paesi europei sono sempre più concentrati sulla "riduzione del rischio" dei loro investimenti in relazione alle loro economie e sono più riluttanti ad incrementare la propria dipendenza economica dalla Cina, rendendo nel contempo meno probabile che qualsiasi grande economia aderisca presto alla BRI.

L'invasione militare dell'Ucraina da parte della Russia di Putin e l'allineamento (parziale) di Pechino con Mosca hanno anche riportato la complessa materia geopolitica a una posizione preminente e reso i paesi europei più consapevoli e di conseguenza scettici sui piani egemonici di Pechino in Europa.

I piani del presidente russo, Vladimir Putin, di partecipare al prossimo Belt and Road Forum di Pechino hanno anche chiarito la natura geopolitica della BRI.

L'inversione dell'Italia sulla BRI riveste una maggiore importanza proprio sotto il profilo geopolitico, anche sulle nuove sfide che l’unione Europea dovrà affrontare.

L’Italia deve quindi essere considerata meno da considerazioni di tipo economico.

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