Premiazioni non binary e quote inclusive per gli oscar del cinema

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  Redazione
  19 novembre 2020
  7 minuti, 42 secondi

A cura di Fabio di Gioia

Il Festival del cinema di Berlino ha deciso quest’anno di cambiare il sistema di premiazione per accogliere una neutralità di genere. In tal senso ha modificato i premi di miglior attore e migliore attrice che sono stati sostituiti da due singoli: uno alla migliore interpretazione protagonista e uno alla migliore interpretazione non protagonista. Questa notizia, insieme alla comunicazione da parte dei ben più noti Oscar Hollywoodiani che anche loro modificheranno i criteri per l’assegnazione del miglior film precludendo la selezione a coloro i quali rispetteranno determinati standard minimi di inclusione, ha portato il nostro Team ad un acceso dibattito nel quale sono emerse diverse riflessioni.

Sulle premiazioni non più classificate per genere è intervenuta la Dott.ssa Sofia Perinetti “Mi viene da pensare che quelli fatti siano dei passi importanti, storici e che rimarcano un trend di cambiamenti sorto dalla volontà sia degli attori che degli spettatori. Ammettere l'inclusività ed aprirsi ad ogni tipo di sentimento permette sia una maggiore confidenza nei ruoli e nei premi per gli attori che una maggiore apertura per la società. Sappiamo bene che tanti cambiamenti nella mentalità delle persone passano dai film/tv o social che influenzano tantissimo il vivere quotidiano.”

Si è poi aggiunta Francesca Oggiano “Da primo impatto io sono sempre felice quando leggo notizie del genere per due motivi: il primo è che vorrei che un premio come “miglior protagonista”, per esempio, venisse attribuito perché è stato scelto davvero come miglior protagonista del festival a prescindere che sia stato prodotto o recitato da uomini o donne. Il secondo punto che mi trova a favore di questa iniziativa è che un attore o un’attrice possa non definirsi rispetto all’uno o all’altro genere e non specificare una categoria permette un livello di inclusione maggiore.”

È quindi intervenuta la nostra Responsabile del progetto, la Dott.ssa Sofia Abourachid che specifica come “Non basta però che si eliminino determinate categorie di premi per risolvere quello che è un problema a tutti gli effetti. La discriminazione di genere non è facile da contrastare, anche quando lo sembra. Può essere difatti che queste iniziative in ambito cinematografico invece di aiutare creino difficoltà a chi lavora nel settore. Si dovrebbe sempre puntare all’inclusione e all’uguaglianza a prescindere, anche se aiuti da parte della macchina cinematografica potrebbero fare la differenza, senza però che insorgano problemi inversi. Non sarebbe giusto che un’indomani si inizi a vociferare che quella donna ha vinto perché “aiutata” in qualche modo. Se una donna vince è perché se lo merita. E questo vale per tutti, a prescindere.”

Oppure la Dott.ssa Chiara Landolfo osserva come “Penso che siano entrambe delle ottime iniziative per portare ad una maggiore inclusione ed imparzialità di fatto. Un aspetto positivo può essere sicuramente quello di arrivare alla gender blindness, mentre il lato negativo potrebbe emergere nel caso in cui poi di fatto il sesso maschile prevaricasse nell'assegnazione del premio per un pregiudizio.”

Qui si inserisce la Dott.ssa Simona Destro che analizza come “Immediatamente ho pensato che l’idea di eliminare le distinzioni di genere nell’ambito cinematografico potesse essere un’ottima soluzione, anche per venire incontro a tutti coloro che non si identificano in un determinato genere (c.d. “gender-fluid”); mi viene in mente il caso Ruby Rose, che ha da sempre dichiarato di non volersi identificare necessariamente nel genere maschile o femminile. Vi potrebbe essere però il rischio che venga penalizzato notevolmente il principio di parità, dando maggiori meriti esclusivamente ai vincitori di sesso maschile (o femminile), non esistendo più una categoria specificatamente dedicata all’altro sesso. In altri termini, potrebbe succedere che nei prossimi 4 anni (ad esempio), il “Premio per la miglior interpretazione” del Festival di Berlino sia consegnato solamente a individui di sesso maschile, con ciò sollevando non poche polemiche circa la meritocrazia e l’uguaglianza di genere.“

Si aggiunge quindi la Dott.ssa Simona Sora che evidenzia come “ La scelta degli organizzatori del festival di Berlino può essere considerata un primo passo avanti verso un maggiore rispetto nei confronti di chi sente di appartenere ad un genere non binario; del resto però non credo che la capacità di recitare degli uomini e delle donne sia differente per semplici questioni biologiche, quindi non vedo perché non fare un premio unico se tutti possono essere giudicati con lo stesso metro.”

In riferimento alle quote imposte per gli oscar hollywoodiani ha poi ripreso la Dott.ssa Simona Destro notando come “Sicuramente l’intento dell’Academy è nobile, vale a dire quello di realizzare una totale inclusione delle categorie svantaggiate e minoritarie. Troppo spesso, infatti, si sente parlare di commissioni totalwhite, così come sono rari i casi in cui i vincitori dei premi appartengono alle minoranze. Una lettura più attenta, però, fa emergere delle problematiche forse non efficacemente considerate: fa riflettere l’inclusione della categoria delle donne tra quelle da sempre sotto-rappresentate e, quindi, «protette». Le nuove linee-guida degli Academy, infatti, impongono il rispetto di alcuni requisiti per poter competere: tra questi, vi è la circostanza che almeno il 30 per cento di chi recita in ruoli «secondari o minori» sia donna. Le donne sono quindi considerate al pari delle categorie LGBTQ+, dei gruppi etnici o razziali e degli individui affetti da disabilità. Da donna, sinceramente, considero questa categorizzazione un serio rischio per la parità di genere e per la considerazione generale della donna, certamente da valorizzare, ma non perché appartenente a categorie protette, bensì semplicemente in quanto donna.”

Qui si inserisce Elena Pavan “Sicuramente la prima cosa che mi è venuta in mente è la parola «inclusione». Faccio proprio riferimento all’evoluzione che c’è stata in materia di diritto, con l’introduzione della cd. «clausola di inclusione» nella corsa al Miglior Film. Nel 2018, durante il suo discorso agli Oscar, Frances McDormand parla di Inclusion Rider: si tratta proprio di una clausola contrattuale che obbliga le produzioni a non fare discriminazioni di genere o di razza sul set, prevedendo una percentuale di «diversità» di carattere obbligatorio. E’ proprio una clausola «nuova», il cui inserimento nel contratto, comporta la richiesta che il cast, e persino il personale tecnico, sia composto al 50% di persone appartenenti a minoranze. Io noto un tentativo di inclusione e coinvolgimento di gruppi, spesso screditati e poco considerati, in un’industria così d’impatto come quella del cinema, che di per sè non guarda in faccia a nessuno.”

È intervenuta quindi la Sociologa Dott.ssa Marwa Fichera “Nel mondo del cinema e della televisione, molte delle trame a noi presentate si concentrano su protagonisti maschili accompagnati da personaggi secondari come donne e comparse di etnia di minoranza. Ancor meno rappresentati sono i gruppi LGBTQI+ e persone con disabilità. Mi auguro che l’inclusione di trame con personaggi che rispecchiano la «diversity» del mondo odierno attraverso occhi, esperienze e identità differenti, possa risultare in un riscontro positivo nella società. È altrettanto importante la diversificazione dei team di produzione e di promozione, per dar spazio ai gruppi sotto rappresentati nell’industria cinematografica. Si spera che con i nuovi criteri d’inclusione per la candidatura agli Oscar, venga premiata la bravura e non l’appartenenza ad un determinato gruppo, solamente per «barrare le caselle», nella lista d’inclusione. Si spera anche che, nel tentare di creare progetti meritevoli della candidatura, non si cada in rappresentazioni stereotipate e banali con personaggi donne, o storie esageratamente tragiche e violente con personaggi LGBTQI+ e/o di etnia di minoranza. Sarebbe costruttivo vedere questi gruppi anche in film dove essi possono ricoprire ruoli in posizioni di potere, essere supereroi ed avere un lieto fine in storie di vita.”

In conclusione si può analizzare come anche decisioni all’apparenza piccole come quelle di cambiare la formula di premiazione o inserire quote di partecipazione, abbiano poi impatti estremamente rilevanti e aprano allo stesso tempo a numerose questioni trasversali. L’eliminazione di categorie di genere a delle premiazioni cinematografiche potrebbe risultare un banco di prova interessante per l’applicazione in altri contesti sociali. Così come, da un punto di vista critico, la necessità di inserire quote di partecipazione per invogliare ad una maggiore inclusività nel settore cinematografico rileva come il problema sia a monte; potrebbe non essere scontato che il sistema cinema attuale sia frutto di determinate dinamiche appartenenti alla scorsa generazione e che si debba attendere che soggetti appartenenti a categorie poco rappresentate riescano ad emergere partendo dal nostro sistema sociale nel suo complesso e da qui poi inserirsi nel mondo del cinema. Così come l’eliminazione del genere garantirebbe maggiore inclusività per gli attori ma al contempo rischierebbe di minare i discorsi legati alla parità di genere; come anticipavano le mie colleghe infatti, anche una fortuita sequenza di vittorie per un dato genere (soprattutto se di maggioranza) potrebbe essere malvisto al netto dei singoli contesti che magari vedevano quelle figure come veramente meritevoli della premiazione rispetto agli altri. Insomma, i temi sono caldi e assolutamente complessi, l’augurio è quello di mantenere sempre uno sguardo critico e d’insieme per evitare di cadere in soluzioni apparentemente semplici e chiudere dibattiti che invece andrebbero approfonditi e ampliati a quanti più ambiti possibili essendo questi dei temi che ci riguardano tutti in qualità di esseri umani e che coinvolgono ogni sfera del nostro vivere.


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