Segnali di apertura del regime iraniano, da prendere con cautela

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  Melissa Cortese
  06 dicembre 2022
  4 minuti, 30 secondi

L’obbligo di indossare l’hijab – il velo islamico – è alla radice delle allargate e straordinarie proteste iniziate circa tre mesi fa, dopo la morte in carcere di Masha Amini, giovane donna arrestata a Teheran perché non indossava in maniera corretta il velo. Le proteste si sono gradualmente estese fino a diventare una rivolta di carattere trasversale contro il regime, che coinvolge donne, studenti e lavoratori. La risposta è arrivata da subito sotto forma di durissima repressione: le stime delle Nazioni Unite parlano di più di 14 mila persone arrestate e di almeno 326 persone uccise, tra cui diversi minori. Le forze di sicurezza iraniane da ottobre utilizzano anche le ambulanze per introdursi nelle proteste e arrestare con facilità i manifestanti, pratica che viola le norme internazionali sulla fornitura di cure mediche, che deve necessariamente essere imparziale. Le regole internazionali, infatti, sanciscono che il soccorso medico dev’essere sempre garantito.

Nel fine settimana, un esponente del regime iraniano ha dichiarato all’agenzia di stampa locale ISNA che le autorità stanno prendendo in considerazione la modifica della legge che obbliga le donne a indossare il velo islamico in Iran. "Both parliament and the judiciary are working on the issue" ha detto il procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri, senza specificare quali elementi potrebbero cambiare. Gli organi nominati – parlamento e magistratura – sono solidamente conservatori e le dichiarazioni del regime si presentano ancora come poco chiare, ma si tratta del primo concreto passo dopo mesi di proteste violentemente represse. Montazeri ha aggiunto che i risultati degli incontri in corso potranno vedersi tra una settimana o due.

Domenica 4 dicembre è stata diffusa sulla stampa una dichiarazione del procuratore generale Montazeri in cui avrebbe annunciato un futuro scioglimento della polizia religiosa morale iraniana, corpo istituito nel 2005 per volontà della sezione più conservatrice del regime. Sembra però che le sue parole siano state più vaghe di come raccontato in quanto lo scioglimento non è stato confermato da fonti ufficiali e, al momento, sembra che il regime non abbia preso alcuna decisione definitiva a riguardo. La polizia morale è di competenza del ministro dell’interno, che non ha diffuso dichiarazioni. Le parole di Montazeri non sono state né confermate né smentite dai media di stato iraniani, rigidamente controllati, e questo silenzio può essere sintomo di una reale confusione interna. Montazeri è un personaggio assolutamente integrato nel regime ed è improbabile che abbia fatto due annunci così rilevanti senza autorizzazione. Secondo alcuni analisti è possibile che le due dichiarazioni siano un tentativo di sondare le reazioni degli iraniani e delle iraniane manifestanti, per valutare le concessioni realmente necessarie per porre fine alle proteste. Come spiega Farian Sabahi, giornalista e storica esperta di Iran, “il termine utilizzato in persiano è تعطیل (tatil) e indica una chiusura momentanea”. Tuttavia, ci si augura che diventi una chiusura definitiva, ma, anche in tal caso, sarebbe troppo tardi, in quanto gli scopi delle proteste sono altri. Le autorità di Teheran stanno discutendo in questo momento e si riservano quindici giorni per poter decidere ed esprimersi. Nel frattempo il consiglio di sicurezza iraniano fa sapere che “le agenzie di sicurezza si opporranno alle nuove rivolte con tutta la loro forza e senza tolleranza”.

Anche dal presidente ultraconservatore iraniano Embrahim Raisi sembrano arrivare incerti segnali di apertura alle richieste dei manifestanti. Sabato 3 dicembre, in un’intervista, Raisi ha spiegato che le fondamenta islamiche della Repubblica iraniana sono stabilite dalla vigente Costituzione – entrata in vigore nel 1979 successivamente alla Rivoluzione, istituì la Repubblica Islamica dell’Iran – ma che ci sono metodi di attuazione della Costituzione flessibili. Sino ad ora Raisi si era mostrato irremovibile sul tema dell’obbligo del velo, nonostante le imponenti proteste.

Il regime instauratosi nel 1979 approvò la legge sull’obbligo di indossare il velo nel 1983. Negli anni successivi le norme sono andate a restringersi e, in caso di violazione, si è passati dalle sanzioni economiche alla detenzione, per poi, nel 2018, istituire l’obbligo di frequentare corsi di educazione islamica. È stato lo strumento della discrezionalità a portare confusione e contestazioni: le autorità hanno sempre goduto di un potere discrezionale nello stabilire se una donna stesse indossando correttamente il velo o meno.

Nelle prossime settimane potremmo assistere a importanti sviluppi in Iran. Come dice Masih Alinejad, giornalista dissidente esule negli Stati Uniti, in fondo “l’hijab è come il muro di Berlino, se cade il velo cade tutto”.

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