Quando il voto non vale

Il regime di Maduro resiste nonostante la sconfitta alle urne

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  Giorgio Giardino
  19 settembre 2024
  3 minuti, 53 secondi

Nei giorni precedenti il voto, in Venezuela ci si domandava come Maduro sarebbe riuscito a mantenere il potere. La domanda aveva senso: tutti i sondaggi davano l’opposizione venezuelana per favorita, nonostante la sua leader non avesse potuto partecipare all’elezioni. La risposta è arrivata nei giorni successivi a quel 28 luglio, giorno in cui i cittadini venezuelani si sono recati alle urne. 

Semplicemente il 61enne al potere dal 2013 ha dichiarato di aver vinto, e poco dopo anche il Consiglio elettorale nazionale ha confermato che il presidente in carica aveva ottenuto il 51,2% dei consensi. Nessuno però ha fornito alcuna prova di questa vittoria. 

Secondo le opposizioni, il risultato è ben diverso, e loro le prove le hanno fornite pubblicando sul proprio sito internet oltre l’80% delle ricevute delle macchinette per il voto elettronico, dimostrando che Edmundo González Urrutia, il 75enne ex ambasciatore candidato come leader dell’opposizione al posto della squalificata Maria Corona Machado, aveva raggiunto il 67% dei voti. Un risultato netto, che però non ha portato alle sue conseguenze naturali. 

Urrutia, l’uomo che adesso avrebbe dovuto governare il Paese, si trova infatti in Spagna. Ha scelto l’esilio rispetto alla certezza del carcere, anche perché la pressione all’interno del Venezuela è diventata enorme. Dal 2 settembre scorso, infatti, le autorità venezuelane hanno spiccato un mandato di arresto nei confronti dell’oppositore del regime, accusato di terrorismo.

Oltre 1.700 persone sono state arrestate in seguito alle proteste, tra cui anche diversi adolescenti, come denunciato da diverse Ong. E circa 60 sarebbero ancora in carcere, come ha dichiarato il vicepresidente dalla Ong Foro Penal Gonzalo Himiob. 

Alla richiesta di democrazia e di riconoscimento del risultato elettorale, il regime di Maduro ha dunque deciso di rispondere nell’unico modo possibile: la repressione. E il clima all’interno del Venezuela si è fatto pesantissimo. Lo dimostra per esempio il progetto sostenuto dalla piattaforma giornalistica Connectas. Denominato Operazione retuit, ha l’obiettivo di diffondere “informazioni reali e verificate” su quanto sta accadendo all’interno del Paese. A leggere le notizie, in questi brevi video diffusi sui social network, non sono però giornalisti in carne e ossa, ma avatar generati con l’intelligenza artificiale. Stare davanti una telecamera è infatti diventato troppo pericoloso. Secondo l’Unione dei giornalisti venezuelani, sono già 9 i giornalisti detenuti nelle carceri venezuelane, rei di aver coperto le proteste. 

Un ulteriore esempio di quanto il regime abbia aumentato il livello di repressione è “l’assedio" portato avanti dalle forze di sicurezza intorno all’ambasciata dell’Argentina, passata sotto il controllo del Brasile dopo la rottura diplomatica fra Buenos Aires e Caracas, portando a un’inedita collaborazione fra il governo di Lula e quello di Milei. All’interno si erano rifugiati sei leader dell’opposizione, che secondo le autorità stavano utilizzando la residenza come base per “pianificare attività terroristiche”. Il governo venezuelano ha poi affermato che il Brasile non può più rappresentare gli interessi diplomatici argentini, ricevendo però il rifiuto da parte del governo di Lula di abbandonare la residenza. 

È in questo contesto che è maturata la decisione di Edmondo Gonzalez Urrutia di lasciare il Paese e di continuare il suo lavoro dalla Spagna, raggiunta con un aereo militare spagnolo. Qui ha ottenuto lo status di rifugiato politico grazie alle mediazioni fra il governo di Pedro Sánchez e quello di Maduro. In patria rimane quindi Maria Corina Machado, la leader dell’opposizione esclusa dalle elezioni, costretta a vivere da tempo in semi-cclandestinità, senza però smettere di spendersi per attaccare il regime e per organizzare le manifestazioni di protesta. 

C’è quindi da chiedersi quanto il regime di Maduro, sempre più isolato a livello internazionale, con Cuba e Nicaragua rimasti gli unici alleati nella regione, riuscirà a mantenere il controllo di un Paese che come dimostrerebbero i risultati pubblicati dall’opposizione, sembra volere un deciso cambio di passo. La fuga di Urrutia ha ridotto le possibilità di un accordo, sul quale si sono spesi gli sforzi di Brasile, Messico e Colombia, e dunque di una transizione di potere nel breve periodo. E la partenza di Urrutia ha anche affievolito alcuni degli elettori dell’opposizione. Ma la storia non è finita, e forse non basterà la repressione e un Natale anticipato a eliminare la voglia di cambiamento nel Paese


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L'Autore

Giorgio Giardino

Giorgio Giardino, classe 1998, ha di recente conseguito la laurea magistrale in Politiche europee ed internazionali presso l'Università cattolica del Sacro Cuore discutendo un tesi dal titolo "La libertà di espressione nel mondo online: stato dell'arte e prospettive". Da sempre interessato a tematiche riguardanti i diritti fondamentali e le relazioni internazionali, ricopre all'interno di MI la carica di caporedattore per la sezione Diritti Umani.

Giorgio Giardino, class 1998, recently obtained a master's degree in European and international policies at Università Cattolica del Sacro Cuore with a thesis entitled "Freedom of expression in the online world: state of the art and perspectives". Always interested in issues concerning fundamental rights and international relations, he holds the position of Editor-in-Chief of the Human Rights team.

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Diritti Umani

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