Tra le mura degli uffici delle Nazioni Unite, molti hanno cominciato a dibattere sull’efficacia delle sanzioni imposte sui paesi che violano i diritti umani. Ad esempio, già nel 1998, il Segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan dichiarò al riguardo: “Non si può sottolineare troppo fortemente che le sanzioni sono uno strumento di applicazione politico, e quindi come qualsiasi altro metodo di applicazione politico può provocare danni inaspettati”. Le sanzioni sono nate come metodo non violento per imporre il rispetto dei parametri umanitari internazionali, e per risolvere le controversie tra Stati senza ricorrere agli armamenti. Tuttavia, sembra esserci un problema strutturale che impedisce di avere continuità tra l’applicazione delle regole di condotta concordate dalla comunità internazionale e i meccanismi a disposizione dei governi per portare a termine tale applicazione.
Una delle problematiche maggiori emerse dall’applicazione delle sanzioni è quella del danneggiamento indiscriminato di chiunque operi o abiti nel paese colpito. Imporre barriere economiche a una nazione, in un contesto di mercato globale, equivale ad escludere tutti i cittadini e tutte le organizzazioni, minacciandone di fatto lo sviluppo. A questo proposito, il dibattito si è sempre focalizzato sulla possibilità di introdurre sanzioni per le violazioni dei diritti umani, che agiscano in modo selettivo. Inoltre, tali sanzioni sono di natura frammentaria e politicizzata, quindi è possibile trovarsi in degli scenari in cui il rispetto del regime delle sanzioni implementate può comportare provvedimenti ostili da parte di un paese verso un altro che proteggeva in precedenza. Ciò risulta essere un problema anche per le aziende che desiderano investire in una determinata parte del mondo. Poiché le aziende pianificano in anticipo, i dirigenti senior regionali e globali dovrebbero lavorare a stretto contatto con gli enti internazionali e locali per assicurarsi di comprendere i rischi che devono affrontare nelle rispettive regioni. “Le sanzioni rendono più difficile il mantenimento del benestare di intere popolazioni e ostacolano il trasporto delle merci necessarie per lo sviluppo economico, comportano spreco di risorse naturali, minano la sostenibilità ambientale e il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs, n.d.r.)”, affermano gli esperti delle Nazioni Unite. Ma l’effetto più preoccupante è sicuramente quello provocato sul piano elettorale. Un contesto di imposizione economica che provoca maggiore disagio, in un paese già afflitto dall’autoritarismo, offre un’occasione imperdibile al despota di turno di utilizzare la carta dell’oppressione straniera, rafforzando la retorica propagandistica che dipinge il capo di Stato come protettore del proprio popolo (tattica quanto mai consuetudinaria dei governi anti-democratici).
Qualunque sia la loro efficacia, i critici sostengono che le sanzioni spesso non raggiungano l’obiettivo prefissato, e che anzi spesso danneggino proprio i gruppi che intendono aiutare. L’impatto maggiore si ripercuote su quella parte di popolazione civile già indifesa e impotente, quello strato sociale che non è in grado di proteggersi e spesso ha poca o nessuna influenza sulle politiche che le sanzioni intendono cambiare. I critici portano spesso come esempio le sanzioni implementate contro l’Iraq all’indomani della Prima Guerra del Golfo, causa diretta della sofferenza di molti innocenti, soprattutto minorenni. Conseguentemente a queste motivazioni strutturali, la documentazione sembra suggerire che le sanzioni non completino quasi mai i loro obiettivi dichiarati – anzi sembra rendere esplicito il fatto che spesso falliscano completamente –, avendo un impatto minimo o non misurabile sul comportamento del governo bersagliato. In risposta, i sostenitori delle sanzioni hanno proposto il concetto di smart sanctions (“sanzioni intelligenti”). I promotori delle sanzioni intelligenti vedono le restrizioni finanziarie come il modo migliore per mitigare gli aspetti più intricati delle tradizionali sanzioni commerciali. Le restrizioni finanziarie focalizzano il dolore economico su obiettivi ben precisi e circoscritti – ad esempio, funzionari governativi ed élite associate – riducendo al minimo i danni alle popolazioni innocenti. Un esempio al riguardo sono state le sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione della Crimea nel 2014, dove sono state prese di mira quelle grandi aziende possedute da oligarchi vicini all’esecutivo di Vladimir Putin. Questo tipo di provvedimenti sono, nonostante i felici presupposti, difficili da raggiungere politicamente e ci sono poche prove empiriche che possano funzionare. Tuttavia, i dati raccolti mostrano un apparente miglioramento di questo tipo di sanzioni rispetto a quelle tradizionali.
Vi è, in aggiunta, l’annosa questione della mancanza di una completa coordinazione internazionale. L’attuazione di sanzioni unilaterali – come sanzioni collaterali contro persone che presumibilmente interagiscono con esponenti di governi sanzionati, oppure la creazione di sanzioni civili e penali nazionali – comporta un’eccessiva conformità sull’intero piano nazionale. Sembrano essere nate più da un sentimento di ripicca, che da una razionale pianificazione politica. Queste misure esacerbano ed estendono il loro impatto non solo su ogni individuo o azienda in cui operano, ma anche su cittadini e aziende di paesi terzi, organizzazioni umanitarie, donatori e beneficiari di aiuti umanitari. Ciò potrebbe rendere difficile l’importazione di generi alimentari di base, attrezzature sanitarie e altre forme di aiuto umanitario – nonostante le esenzioni applicabili – nei paesi sanzionati.
Nel dicembre 2020, il diritto dell’Unione Europea ha emanato una legge adibita alla tutela dei diritti umani, che darà maggiore flessibilità per colpire i responsabili di gravi violazioni umanitarie in tutto il mondo. Il nuovo meccanismo consente all’UE di elencare le persone o le entità responsabili, indipendentemente da dove si verifichino o da chi ne sia il responsabile. I meccanismi sanzionatori saranno prevalentemente i seguenti: divieti di viaggio verso l’UE per le persone elencate; congelamento dei beni tenuti in Europa; impossibilità di mettere risorse economiche a disposizione di persone ed enti quotati. Inoltre, il regime sanzionatorio globale dell’UE in materia di diritti umani dovrebbe consistere in misure quali il congelamento dei beni e il divieto di viaggio. Dopo l’adozione del regime di sanzioni globali per i diritti umani dell’UE – chiamato anche European Magnitsky Act –, l’Unione ha iniziato a imporre le prime misure restrittive nel marzo 2021. Il 2 marzo, sono entrate in vigore le sanzioni contro quattro russi che sarebbero stati coinvolti nell’arresto arbitrario, nell’azione penale e condanna dell’attivista Alexei Navalny e la repressione delle proteste pacifiche in relazione al suo trattamento. Il 22 marzo, sono state inoltre promulgate sanzioni mirate contro dei funzionari cinesi per la detenzione arbitraria su larga scala di uiguri della regione dello Xinjiang, fenomeno che ha provocato una grande reazione da parte dei media e dell’opinione pubblica.
A cura di Edoardo Cappelli
Fonti consultate per il presente articolo:
Berejikian Jeffrey D., Deploying Sanctions while Protecting Human Rights: Are Humanitarian “Smart” Sanctions Effective?, in Journal of Human Rights, febbraio 2007.
Nielsen Richard A., Rewarding Human Rights? Selective Aid Sanctions against Repressive States, International Studies Quarterly, No. 57, 2013.
UNHRC, Punishment of ‘innocent civilians’ through government sanctions must end: UN experts, https://news.un.org/en/story/2... calls for major re-think over impact of sanctions on human rights, 16 settembre 2021.
United Nations, Report of the Secretary General on the Work of the Organization, 1998.
Wahl Thomas, EU Imposes First Sanctions for Human Rights Violations, eucrim.eu, 1 aprile 2021.
What Are Sanctions and Human Rights?, https://sanctionscanner.com/knowledge-base/sanctions-and-human-rights-268
Immagine: kigali-5256022_640 da Pixabay.com
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