Serbia: migliaia di manifestanti contro la "cultura dell'odio"

Cresce la preoccupazione per la libertà di espressione e l'indipendenza dei media

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  Mariasole Caira
  09 giugno 2023
  4 minuti, 1 secondo

Lo stato della libertà di espressione e dell’indipendenza dei media in Serbia è, ormai da molto tempo, oggetto di preoccupazione da parte della comunità internazionale. Solo poche settimane fa, in una sua Risoluzione, il Parlamento europeo aveva messo in luce un deterioramento nella libertà di espressione nel Paese, ammettendo una crescente preoccupazione per i numerosi casi d'incitamento all’odio, di attacchi e intimidazioni nei confronti di attivisti e giornalisti di opposizione, oltre che per un continuo utilizzo improprio dei media da parte del Governo per diffamare gli oppositori politici e diffondere informazioni false o distorte.

Nelle ultime settimane la questione è stata prepotentemente risollevata perché la Serbia è divenuta teatro di numerose proteste e manifestazioni antigovernative innescate dalle due tragiche sparatorie avvenute a maggio, nelle quali hanno perso la vita 17 persone di cui 8 bambini. Il 3 maggio un tredicenne ha aperto il fuoco in una scuola elementare con un’arma rubata al padre, provocando la morte di 8 bambini e bambine e di una guardia giurata scolastica, e ferendo altre 7 persone. Solo un giorno dopo, la popolazione serba è stata sconvolta da un altro omicidio di massa, stavolta ad opera di un ventunenne che ha sparato contro la folla da una macchina in corsa, uccidendo 8 persone e ferendone altre 13.

Questi due giorni di sangue hanno innescato una serie di reazioni da parte del Presidente Vučić, il quale ha subito elaborato un piano di disarmo, con l’obiettivo di aumentare i controlli sulla vendita di armi e di inasprire le pene in caso di possesso illegale, e ha annunciato la volontà di intensificare la presenza di forze dell’ordine all’interno degli istituti scolastici.

La reazione dell’opposizione ai tragici avvenimenti è stata immediata: si tratta di una mobilitazione storica, che vede migliaia di persone riversarsi nelle strade delle principali città serbe al grido di “Serbia contro la violenza”. In particolare, i manifestanti ritengono che i terribili eventi che hanno sconvolto l’intero Paese siano il culmine di quella che definiscono una “cultura della violenza”, della quale sarebbero promotori il Governo e i media ad esso vicini. Secondo un recente rapporto del Media Diversity Institute Western Balkans, il problema dei discorsi d’odio e discriminatori nelle trasmissioni televisive e nei tabloid è, infatti, particolarmente evidente in Serbia, dove i principali media nazionali sono strettamente connessi al Governo in carica e per questo hanno spesso un atteggiamento di forte critica nei confronti dell’opposizione e di figure pubbliche che esprimono opinioni contrarie alla politica governativa, oltre al fatto che sono spesso inclini alla diffusione di disinformazione. Non a caso, nel 2022 la Serbia si è posizionata al 79° posto nel Rapporto di Reporters Without Borders che monitora la libertà di stampa in 180 Paesi. Il rapporto ha evidenziato come i discorsi d’odio nei media serbi, rivolti principalmente contro le minoranze, abbiano contribuito in maniera essenziale ad alimentare le narrazioni violente già consolidate nel discorso pubblico.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che, in base ad una stima della “Small arms survey” del Geneva Graduate Institute, in Serbia su 100 civili ben 39 sarebbero in possesso di un’arma da fuoco; numero che viene superato soltanto da Stati Uniti, Yemen e Montenegro.

I manifestanti che in questi giorni sono scesi in piazza accusano il Governo di aver dato vita ad una società in cui l’aggressività e la violenza verbale, mediatica e fisica sono onnipresenti. Per questo chiedono a gran voce la chiusura di tutti i giornali e delle emittenti televisive vicine al governo che hanno incitato alla violenza contro i dissidenti politici e che promuovono una cultura dell’odio, oltre che le dimissioni dei membri dell’agenzia che dovrebbe supervisionare i media stessi.

Anche la Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per la libertà di espressione e di opinione si è detta “allarmata dall’aumento della retorica di odio” anche a seguito delle sparatorie di massa, definendo “inquietante” il clima del discorso politico nel Paese.

Le recenti sparatorie hanno scosso l’intera popolazione serba ma hanno anche riportato alla luce un problema che sembra essere stato ignorato per troppo tempo: i manifestanti e la comunità internazionale chiedono che il Governo si assuma la responsabilità per la cultura della violenza, ormai profondamente radicata nel Paese, e che l’affronti anche e soprattutto tutelando e rispettando la libertà di espressione e di stampa.

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Fonti utilizzate per la stesura del presente articolo:

https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/05/05/sparatoria-in-serbia-8-morti-e-13-feriti_82d089fa-2f09-4dca-ab5a-eef9a163b15c.html

https://www.rferl.org/amp/serbia-protest-government-violence/32443274.html

https://www.theguardian.com/world/2023/jun/03/thousands-rally-in-belgrade-against-government-and-culture-of-violence

https://www.bbc.com/news/world-europe-65513160

Fonte Immagine: https://unsplash.com/it/foto/REpv4rCDFd8

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L'Autore

Mariasole Caira

Mariasole Caira ha conseguito la laurea magistrale in Giurisprudenza presso la Pontificia Università Lateranense, a Roma, con una tesi in diritto internazionale dal titolo “Cambiamento climatico e flussi migratori: verso una tutela giuridica per i rifugiati ambientali”.

Durante il suo percorso di studi ha frequentato per un semestre l’Université Catholique de Louvain, dove ha avuto modo di approfondire il diritto internazionale.

È da sempre appassionata al tema dei diritti fondamentali, per questo oggi frequenta un Master di II livello presso l’Università La Sapienza sulla tutela internazionale dei diritti umani.

In Mondo Internazionale Post è autrice per l’area tematica di Diritti Umani.

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