Sponsorizzazione di carne e alcolici: un’altra incoerenza europea

Da un lato, la Commissione europea ha rinnovato gli investimenti per sostenere il commercio di carni rosse e alcolici, dall’altro, continua a farsi promotrice della difesa della salute della Terra e dell’essere umano. C'è ancora spazio per la coerenza?

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  Ilde Mattei
  24 dicembre 2022
  4 minuti, 36 secondi

Negli ultimi anni, alcuni comitati della Commissione europea e del Parlamento europeo hanno lavorato duramente per stilare e far adottare il Farm to Fork e il BeCa (Beating Cancer), rispettivamente un documento strategico del Green Deal per assicurare un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente ed una strategia comune per la lotta al cancro. Il primo si prefissa l'obiettivo di creare un sistema alimentare che “abbia un impatto ambientale neutro o positivo”, ovvero, sono qualità di cui la carne non può in genere vantare - come ormai risaputo e ampiamente attestato dalla comunità scientifica. Invece, nel BeCa viene sottolineato come lo IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) abbia attestato che l’alcool sia una bevanda cancerogena di tipo 1, ossia si è certi che sia cancerogena quanto si è certi che lo siano il tabacco e l’amianto. Inoltre, anche se non menzionato nel BeCa, lo IARC ha inserito la carne rossa nella stessa categoria.

L’adozione di questi due documenti non ha però impedito che le carni rosse e gli alcolici siano inclusi tra i prodotti agroalimentari che riceveranno finanziamenti al fine di incentivarne l’acquisto sia nei paesi membri che all’estero. È doveroso specificare che, in un primo momento, la Commissione li aveva esclusi, ma a causa delle pressioni fatte da grandi cooperative sui rappresentanti di nove paesi dell’Unione, tra cui l’Italia, la coerenza con gli obiettivi dichiarati nel Farm to Fork e nel BeCa è venuta completamente a mancare. Ciò è un vero peccato in quanto è assodato che, oltre al cancro, il consumo di alcool e carne è associato a un maggior rischio di contrarre moltissime altre malattie e disturbi come infarti, malattie renali e atrofia celebrale.

Si prova la stessa delusione quando si pensa che la sponsorizzazione della carne rossa è intrinsecamente legata al danneggiamento dell’ambiente. Infatti, sotto tutti i punti di vista, il consumo di carne non può definirsi sostenibile: ad esempio, prendendo in considerazione la conversione calorica (ovvero, l’utilizzo di terra misurato in metri quadri e necessario a produrre mille calorie di un dato cibo), la carne rossa ed i derivati animali in generale sono i prodotti per cui, a parità di sostanza nutritive, viene richiesto il maggior utilizzo di terra al mondo. La delusione resta invariata se si tiene in conto l’utilizzo di acqua necessaria alla produzione della carne: ad esempio, per produrre 1 chilo di manzo sono necessari 11.500 litri, ovvero, una quantità inaudita se paragonata a un alimento dal profilo nutrizionale simile, come il tofu, per cui ne servono solo 272. Se prendiamo in esame un ultimo fattore, l’impronta di carbonio, cioè la quantità di gas serra emessi per la sua produzione, il quadro peggiora ulteriormente. Il consumo di 1 kg di carne di manzo emette circa 70 kg di CO2, mentre, per paragone, un chilo di tofu equivale a immettere nell’atmosfera 3 kg di CO2.

Nonostante ciò, in Italia il punto di vista più condiviso è considerare l’inclusione di carni e alcolici nei prodotti sovvenzionati come una vittoria. Ad esempio, il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, ha commentato che “La demonizzazione di questi prodotti coincide in maniera evidente con la propaganda del passaggio a una dieta unica mondiale, dove il cibo sintetico si candida a sostituire quello naturale. Non lo possiamo accettare!". Di conseguenza, non è assolutamente facile capire come l’esclusione (iniziale) di prodotti dannosi per la salute sia collegata al voler promuovere una dieta unica e sintetica - qualunque cosa questi aggettivi significhino nel concreto . Se proprio si vuole etichettare un prodotto come “naturale”, di certo non lo si può fare con i prodotti derivati da animali, i quali vengono imbottiti di antibiotici (nonostante la tenue regolamentazione in vigore) e che, anche negli allevamenti biologici, hanno una vita che si discosta molto da ciò che era stato previsto in natura. Inoltre, vi sono moltissimi alimenti e piatti della tradizione italiana che non sono per nulla dannosi per la nostra salute o quella dell’ambiente.

In ogni caso, considerando l’urgenza del cambiamento climatico, di cui iniziamo a subire le conseguenze e le già ingenti spese sanitarie pagate da tutti noi cittadini, è profondamente triste sapere che l’Unione europea e gran parte della popolazione preferisce “mantenere le tradizioni” a discapito della propria salute e di quella delle prossime generazioni che erediteranno questa Terra. Forse è perché siamo tanto dipendenti dal denaro e ancorati alle “tradizioni” che non ci rendiamo conto che nessuno di questi due elementi è poi così rilevante, specialmente se sottovalutiamo il rischio di ammalarci di cancro, diabete, e di costringere noi stessi o i nostri figli a trasferirsi più a nord o a lottare per l'acqua a partire da un non tanto lontano 2040.

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L'Autore

Ilde Mattei

Laureata in Philosophy, International and Economic Studies all’Università Ca’Foscari di Venezia, sta collaborando con un’organizzazione no-profit francese a Strasburgo per creare ed implementare progetti volti alla sensibilizzazione dei giovani sull’importanza di essere cittadini europei.

Si interessa principalmente di migrazione e all’ambiente con l’intento di rendere accessibili a tutt* queste tematiche.

All’interno di Mondo Internazionale è autore per l’area tematica di Organizzazioni Internazionali.

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