Sudafrica vs Israele

Una nuova via per un cessate il fuoco?

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  Matteo Gabutti
  14 gennaio 2024
  9 minuti, 12 secondi

Lunedì 8 gennaio, Emergency ha chiesto un incontro alle alte cariche dello Stato italiano per consegnare le oltre 100.000 firme all’appello per un cessate il fuoco permanente a Gaza. Roma figura infatti tra i 23 astenuti alla risoluzione proposta all’Assemblea Generale dell’ONU per un “immediato cessate il fuoco umanitario” nella Striscia.

Seppur non vincolante, la risoluzione ha fornito una cartina tornasole delle reazioni internazionali alla riaccensione delle ostilità in Medio Oriente. I 153 voti favorevoli a fronte di appena 10 contrari lasciano poco adito a dubbi. Tuttavia, come sottolinea Chiara Lovotti, Ricercatrice dell’ISPI, il ‘no’ di Washington vanta un peso specifico impareggiabile, dal momento che “fintantoché ha il supporto formale degli Stati Uniti, Israele molto probabilmente continuerà indisturbato”.

Il Consiglio di Sicurezza, in grado di prendere decisioni vincolanti, dopo quasi una settimana di lotte diplomatiche per scongiurare il veto americano, il 22 dicembre ha vomitato una risoluzione annacquata per l’aiuto dei civili a Gaza, cassando “l’urgente sospensione delle ostilità” presente nelle bozze iniziali.

Ciononostante, gli USA appaiono sempre più isolati.

Al tramonto del 2023, il Sud Africa ha intrapreso una strada alternativa. Pretoria ha infatti portato Tel Aviv di fronte al massimo tribunale dell’ONU, la Corte internazionale di giustizia (ICJ), denunciando la campagna militare israeliana a Gaza come genocida e chiedendo alla Corte di ordinare la sospensione delle operazioni militari nella Striscia come ‘misura provvisionale’.



Un caso tra due emisferi

Eylon Levy, Portavoce del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha definito l’accusa una “assurda calunnia del sangue”. Warren Goldstein, rabbino capo del Sud Africa, ha condannato il gesto come supporto alla guerra di Hamas contro Israele per procura dell’Iran, fiutando antisemitismo dietro il mantello anti-apartheid del Congresso Nazionale Africano (ANC) – il partito che fu di Nelson Mandela, ininterrottamente al governo dal 1994.

Ma perché il Sud Africa, Paese a netta maggioranza cristiana, si sarebbe disturbato a citare in giudizio lo Stato ebraico, a oltre 6000 km di distanza?

Chris McGreal scrive sul Guardian che il caso intentato da Pretoria giunge dopo anni di deterioramento delle relazioni con Tel Aviv. Alla radice vi sarebbero il retaggio dell’alleanza militare israeliana con il regime segregazionista sudafricano e il supporto decennale dell’ANC per la causa palestinese. Quest’ultima, come notoriamente denunciato dall’arcivescovo e attivista Desmond Tutu, si starebbe battendo contro le stesse dinamiche di apartheid che l’ex dominio inglese esperì fino al 1994.

Allo stesso tempo, Pretoria si è confermata leader nelle critiche a Israele da parte dei BRICS, unanimemente a favore di un cessate il fuoco. Sebbene non solamente strumentali, mere ragioni umanitarie non parrebbero esaustive nel spiegare questo atteggiamento univoco, che tradisce l’intento di controbilanciare gli Stati Uniti sullo scacchiere internazionale.



E adesso?

Come spiega il Prof. Magnus Killander su The Conversation, il Sud Africa ha portato Israele davanti all’ICJ con l’accusa di aver violato la Convenzione sul genocidio del 1948, di cui entrambi i Paesi sono firmatari, in base all’Art. IX. Israele ha annunciato che manderà una squadra legale in propria difesa all’Aia, sede del Tribunale.

Il primo passaggio del caso consiste nelle pubbliche udienze dell’11 e 12 gennaio per permettere a Sud Africa e Israele di dire la propria sulle già menzionate ‘misure provvisionali’ (provisional measures) che la Corte dovrebbe applicare nel giro di uno o due mesi. Queste costituiscono ordini ad interim legalmente vincolanti per le parti in causa in attesa del giudizio finale, che può facilmente richiedere anni (Statuto dell’ICJ, Art. 41).

Le misure provvisionali scelte dalla Corte possono differire da quelle proposte in udienza. Allo stesso tempo, possono prevedere una sospensione delle operazioni militari israeliane a Gaza senza implicare una condanna a priori di Tel Aviv.



Ma in pratica?

Seppur formalmente vincolanti, la Corte non gode di alcun organo esecutivo che applichi le misure provvisionali.

Stando all’avvocato Mattei Alexianu, gli ordini ad interim dell’ICJ verrebbero eseguiti solo la metà delle volte, con una percentuale ancora inferiore per i casi recenti di più alto profilo.

A marzo 2022, la stessa Corte imponeva a Mosca d’interrompere l’attacco a Kiev cominciato il mese prima come misura provvisionale nel caso Ucraina v. Russia, mentre valutava se le azioni del Cremlino violassero la medesima Convenzione sul genocidio. Il prossimo 24 febbraio marcherà il secondo anniversario dell’operazione militare speciale di Putin, a mesta testimonianza della pratica inefficacia delle provisional measures del Tribunale dell’Aia.

Inoltre, come avverte l’Avvocato Jesse Lempel, esistono complicazioni legali che potrebbero scoraggiare l’ICJ dall’ordinare la sospensione delle operazioni militari israeliane a Gaza.

Lo Statuto della Corte, infatti, è parte di quello delle Nazioni Unite, ed è quindi soggetto all’Art. 51 di quest’ultimo, secondo cui, “nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva [...]”. Che la guerra condotta da Tel Aviv contro Hamas sia governata dall’Art. 51 è altamente opinabile. Tuttavia, è probabile che la Corte si muoverà con circospezione, evitando di creare un precedente che mini all’inderogabilità di uno dei pilastri del diritto internazionale quale il diritto all’autodifesa.



Insomma, tutto inutile?

Ciò detto, derubricare il caso Sud Africa v. Israele a uno sterile teatrino parrebbe prematuro ed eccessivamente disfattista.

Da un punto di vista legale, il locus standi adoperato da Pretoria – ovvero la base legale per portare il caso davanti all’ICJ – promette importanti conseguenze per l’applicazione di trattati di diritti umani.

Come evidenziato dal Prof. Luciano Pezzano, il Sud Africa ha insistito sulla natura erga omnes partes degli obblighi della Convenzione sul genocidio. La locuzione latina implica che tali obblighi, compreso quello di prevenire e punire il crimine di genocidio (Art. I), valgono per tutte le parti firmatarie del trattato, a prescindere che siano direttamente coinvolte nel crimine. Sottolineando i propri obblighi nel citare in giudizio Tel Aviv in nome dell’Art. IX, Pretoria suggerirebbe la connessione tra l’obbligo di prevenire il genocidio e quello di portare davanti all’ICJ un Paese che stia violando la Convenzione, anche se situato letteralmente nell’Emisfero opposto. Se confermato dalla Corte, l’esempio del Sud Africa rafforzerebbe l’immagine dell’obbligo di prevenzione e punizione come un dovere di portata autenticamente globale.

A livello pratico, scrive sul Guardian Patrick Wintour, anche se la Corte non fosse in grado di interrompere le operazioni militari di Israele a Gaza, una sua decisione sfavorevole porterebbe a un danno d’immagine considerevole per Tel Aviv, causando potenzialmente almeno una modifica della campagna bellica. Già il fatto che Israele abbia scelto di difendersi davanti all’ICJ – a contrario della Russia – gli rende più complesso ignorare un giudizio negativo.

Inoltre, l’aver portato il caso al Tribunale dell’Aia ha illuminato di riflesso accuse rivolte alla condotta israeliana nella Striscia provenienti da tutto il globo, persino dagli stessi alleati statunitensi. Il crescente biasimo internazionale per il governo di Netanyahu non ha lasciato indifferente la Casa Bianca, che ha iniziato ad avvertire il prezzo del supporto incrollabile finora garantito a Israele.

Dunque, sebbene questo caso verosimilmente non porterà le campane della pace sulla Striscia, rimane sconsigliabile suonare quelle a morto per il diritto internazionale.

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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