Sudan: le Forze Armate Sudanesi riconquistano la capitale

  Articoli (Articles)
  Beatrice Baroni
  17 aprile 2025
  5 minuti, 8 secondi

A quasi due anni dallo scoppio della guerra civile in Sudan, le Forze Armate Sudanesi (Sudanese Armed Forces, SAF) hanno riconquistato la capitale Khartoum, controllata dalle Forze di Supporto Rapido (Rapid Support Forces, RSF) dall’inizio del conflitto. Grazie a un’avanzata fulminea, nell’arco di una settimana le SAF hanno ripreso il controllo del Palazzo presidenziale, della Banca centrale e infine dell’aeroporto.

Le Forze paramilitari sono state costrette a ritirarsi verso sud. Nonostante l’avanzata delle SAF, però, le RSF continuano a mantenere il controllo di una larga parte del territorio, tra cui la regione del Darfur, area strategica nel Sudan occidentale.

La riconquista della capitale ha un duplice valore: strategico e simbolico. Strategicamente, le SAF hanno ora accesso diretto alle principali sedi logistiche e alle rotte di approvvigionamento, precedentemente in mano alle RSF, di cui hanno ridotto in questo modo le capacità operative. Dall’altro lato, la riconquista assume un forte valore simbolico: la capitale, sede del Palazzo presidenziale e quindi centro del potere governativo, è il punto di inizio del conflitto. È stata da subito conquistata e posta sotto il controllo delle RSF, costringendo il Governo a spostarsi a Port Sudan. Il capo dell'esercito Abdel Fattah al-Burhan, una volta giunto a Khartoum, ha dichiarato che la capitale è “libera”.

Un passo indietro…

Il conflitto, mosso dalla sete di potere, è scoppiato il 15 aprile 2023, tra le SAF, guidate dal generale e capo di Stato Abdel Fattah al-Burhan, e le RSF, sotto la guida del generale Mohamed Hamdan Dagalo, noto comunemente come "Hemedti". Inizialmente, i due gruppi erano legati da una collaborazione successiva al colpo di stato del 2019 per rimuovere il presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashir. Nel 2021, i due generali sono diventati protagonisti di un ulteriore colpo di stato militare contro l’allora primo ministro Abdallah Hamdok del Governo di transizione sudanese.

L’anno successivo, su pressione internazionale, le due parti hanno acconsentito ad avviare un percorso di transizione democratica. Uno dei punti chiave del processo era l’ipotesi di una riforma militare, che prevedeva l’integrazione delle RSF nell’esercito regolare.

Le divergenze sono emerse però sulle modalità e sulle tempistiche dell’operazione: mentre le SAF proponevano un piano biennale, le RSF richiedevano un’integrazione graduale nell’arco di dieci anni. Le tensioni finirono con l’esplodere in un conflitto armato.

Non solo una questione nazionale

La guerra in Sudan si inserisce in una rete di complesse dinamiche geopolitiche, alimentate da interessi confliggenti di attori esterni, che influenzano lo svolgersi del conflitto. Il Sudan occupa una posizione strategica, confinando con sette Paesi e affacciandosi inoltre sul Mar Rosso. Il Paese, situato in una posizione chiave, costituisce uno snodo cruciale per rotte commerciali e militari. Inoltre, il territorio è ricco di petrolio greggio e oro, ragioni che attirano l’attenzione di attori regionali e internazionali.

A sostegno delle RSF ci sono gli Emirati Arabi Uniti, mossi da un interesse per il traffico di oro. Fornitori di armi e finanziamenti, grazie a un largo investimento hanno ottenuto un controllo significativo sulle rotte commerciali.

D’altra parte, Iran ed Egitto appoggiano le SAF. Fornendo supporto strategico e logistico, nonché armi, hanno aiutato l’avanzata delle truppe verso la capitale. Inoltre, anche Arabia Saudita, Qatar e Turchia hanno mostrato forme di sostegno, in linea con i propri interessi nell’area.

Nel mezzo si colloca la Russia, interessata a una base navale a Port Sudan. Mosca gioca su entrambi i fronti: sostenendo entrambe le parti mantiene una posizione ambigua; più che un interesse per l’esito del conflitto, punta a garantirsi un’influenza significativa nella regione.

Il prezzo della guerra: fame, violenza e sopravvivenza

Il conflitto ha provocato un numero elevatissimo di vittime e una crisi umanitaria senza precedenti.

Entrambi i gruppi armati sono accusati di perpetrare gravi violazioni dei diritti umani, tra cui: uccisioni sistematiche, bombardamenti indiscriminati su centri abitati e uso dello stupro come arma di guerra. Inoltre, entrambi i gruppi sono stati accusati di ostacolare la consegna di aiuti umanitari, aggravando una situazione già drammatica.

La violenza e i bombardamenti hanno costretto milioni di persone a lasciare la propria abitazione. Le stime si aggirano attorno ai 12 milioni di sfollati. A questa crisi, se ne aggiunge una ancora peggiore: la crisi alimentare. Una larga parte della popolazione, infatti, vive in condizioni di insicurezza alimentare acuta, con accesso estremamente limitato a cibo e acqua potabile.

E il futuro?

A febbraio, le RSF hanno firmato un accordo per la formazione di un governo parallelo, nonostante finora non siano state intraprese azioni concrete in merito. Il timore della creazione di un governo separatista rimane comunque alto.

Il futuro politico del Sudan appare quindi ancora incerto. Nonostante i recenti successi delle SAF, che rappresentano una svolta significativa, la pace sembra ancora lontana. Le due fazioni non mostrano segnali di dialogo né disponibilità a compromessi.

Con il continuo supporto di attori regionali e internazionali, le due fazioni cercano di consolidare i rispettivi territori e di mantenere il controllo dei loro punti strategici. Le SAF si vogliono mostrare come unica forza presente e legittima a guidare il Paese; dall’altro lato le RSF mostrano la loro determinazione a contrastare il potere centrale.

I civili restano le prime vittime di un conflitto alimentato da ambizioni personali e interessi stranieri. Il Sudan, ancora una volta, si trova a lottare per la sua sopravvivenza.

Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2025

Condividi il post

L'Autore

Beatrice Baroni

Tag

crisi umanitaria riconquista conflitto armato