Tra Tensioni e Scelte Cruciali: Elezioni a Taiwan

Uno sguardo ai protagonisti

  Articoli (Articles)
  Francesco Oppia
  11 gennaio 2024
  6 minuti, 21 secondi

Le elezioni di Taiwan del 13 gennaio rappresentano un momento cruciale nella storia politica dell'isola, con profonde implicazioni per il suo futuro e per le relazioni internazionali nella regione dell'Asia orientale. In un contesto geopolitico complesso, dove le tensioni tra la Repubblica Popolare di Cina, da qui Cina, e la Repubblica di Cina, da qui Taiwan, sono sempre più evidenti, l'esito di queste elezioni determinerà non solo la leadership dell'isola, ma anche il corso delle relazioni tra le due sponde dello stretto di Formosa.

Il favorito alla vigilia Lai Ching-te, esponente del Democratic Progressive Party (DPP) e attuale vicepresidente, ha improntato la sua campagna elettorale sulla scelta fra democrazia e autocrazia affermando di essere l’unico candidato che può proteggere la democrazia e l’autonomia di Taiwan attraverso il mantenimento dello “status quo e non perseguendo l’indipendenza, nonostante in passato ne fosse un convinto sostenitore. Per quanto riguarda la politica di difesa una presidenza Lai comporterebbe ulteriori aumenti al bilancio della stessa, l’impegno a mantenere l'estensione della coscrizione a un anno di servizio, una spiccata attenzione verso gli strumenti di guerra asimmetrica e lo sviluppo di un'industria della difesa nazionale, in continuità con l’amministrazione precedente. Visione confermata nella recente intervista rilasciata da Lai al “The Japan News” dove afferma: "Noi non vogliamo la guerra e non ne inizieremo una noi stessi. Ma non temere la guerra e fare i preparativi in tempo di pace, questo previene la guerra, e possiamo avere la pace". Lai si presenta come il candidato maggiormente incline a perseguire un’amicizia con le democrazie, in particolare con gli Stati Uniti e il Giappone, che ritiene fondamentali per il mantenimento della sicurezza dell’isola e per porre fine alla dipendenza economica dalla Cina. Nell’intervista sopracitata Lai ha affermato che Taiwan e il Giappone “sono come una famiglia”. Infine, Lai respinge il cosiddetto "Consenso del 1992", ovvero un accordo informale secondo cui esiste una sola Cina in termini culturali e storici, in quanto ritiene che tale formula determinerebbe la rinuncia di Taiwan alla sua sovranità. Questa scelta potrebbe precludere la possibilità di dialogo con la Cina continentale poiché il riconoscimento del “Consenso del 1992” è ritenuto da quest’ultima il prerequisito fondamentale all’avvio di una qualsiasi interlocuzione fra le parti.

A contendersi il risultato delle elezioni, secondo i sondaggi, sarà Hou Yu-ih, candidato presidenziale del Kuomintang. Se Lai Ching-te ha improntato la sua campagna elettorale sulla dicotomia democrazia-autocrazia Hou Yu-ih ha optato per l’alternativa fra pace e guerra. Nel tentativo di contrastare la crescente pressione cinese, Hou Yu-ih si presenta come sostenitore della pace, delineando un approccio che bilancia la deterrenza militare con un rinnovato impegno per il dialogo. Nel recente saggio pubblicato sulla rivista “Foreign Affairs” Hou affermava: "Un esercito forte aiuterà a scoraggiare l'aggressione e a tenere a bada qualsiasi prospettiva di guerra nello Stretto di Taiwan. Ma la pace richiede anche dialogo, e cercherò di interagire in modo costruttivo con Pechino in modo coerente con la costituzione della Repubblica di Cina e le sue leggi. Questa interazione porterà a una de-escalation". In accordo con questa visione, nello stesso saggio, Hou si dichiara contrario all’indipendenza e insiste sulla necessità di appianare pacificamente le divergenze esistenti fra i due lati dello stretto di Taiwan conformemente al paradigma delle tre D, ovvero “Deterrenza, Dialogo e De-escalation”. Come Lai anche Hou afferma l’importanza del rapporto con gli Stati Uniti e il Giappone, per il ruolo che quest’ultimo potrebbe svolgere in supporto agli USA in caso di conflitto. Diversamente da Lai, Hou appoggia il  “Consenso del 1992 e afferma di voler portare avanti interazioni ufficiali basate su un modello di reciproco non riconoscimento della sovranità e di reciproca non negazione della giurisdizione.

Infine, emerge come outsider Ko Wen-je, candidato presidenziale del Taiwan People’s Party (TPP), che rappresenta un'alternativa ai due partiti principali dell’isola. Ko sostiene che, attualmente, per Taiwan la migliore opzione sia mantenere lo status quo, affermando chiaramente che al momento non ha senso discutere né di unificazione né di indipendenza, poiché entrambe le prospettive sono irrealizzabili. Egli ritiene, contestualmente, che l'interazione tra le due sponde dello stretto di Taiwan sia essenziale per preservare lo status quo. Ko ha dichiarato: "Le parti coinvolte dovrebbero riavviare il meccanismo di dialogo il prima possibile per risolvere le divergenze, prevenire conflitti e collaborare per garantire pace e stabilità", tuttavia ha rifiutato di avallare il "Consenso del 1992" dichiarando: "Se il Consenso del 1992 è una condizione preliminare, non ci condurrà molto lontano perché, a Taiwan, l'intero concetto del Consenso del 1992 è già stato compromesso." Per quanto concerne il rapporto con gli Stati Uniti sostiene che Taiwan deve perseguire un “equilibrio dinamico” fra gli USA e la Cina modulando di volta in volta la sua politica in base a quale parte è più forte.

Nel corso della campagna elettorale Pechino ha cercato di influenzare l’esito delle urne in modo tale da agevolare una maggiore integrazione tra l’isola e il continente, favorendo i candidati dell’opposizione aperti al dialogo, azione volta ad evitare il raggiungimento dell’indipendenza “de facto” di Taiwan. Il governo cinese ha articolato la sua campagna di pressione su quattro pilastri: politico, militare, economico e mediatico.
Sul fronte politico la Repubblica Popolare ha comunicato che le elezioni presidenziali dell’isola delineeranno una scelta fra pace o guerra per voce di Zhang Zhijun, presidente della “China's Association for Relations Across the Taiwan Strait”. Parallelamente si sono verificate ripetute violazioni dello spazio aereo taiwanese e la Cina ha adottato sanzioni economiche su molteplici prodotti taiwanesi, con annunci di possibili ritorsioni in vista del voto. In ultimo la Cina sta attuando una campagna mediatica volta a denigrare il Democratic Progressive Party (DPP) e a persuadere gli elettori taiwanesi che il sostegno degli Stati Uniti all'isola potrebbe non essere così deciso come sembra. Tuttavia studi di scienza politica suggeriscono che solo in determinate condizioni, principalmente quando gli elettori sono in gran parte disinteressati alla politica e non hanno precedenti affiliazioni di partito, è più probabile che siano suscettibili alla disinformazione. Se gli elettori sono già schierati le campagne della Repubblica Popolare tendenzialmente sono inefficaci. Infatti, nel 2020 l’azione propagandistica volta a cercare di dissuadere gli elettori dal sostenere l’attuale presidente Tsai Ing-wen e il DPP non ebbero gli effetti sperati in quanto quest’ultima vinse con largo margine le elezioni.



Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2024

Condividi il post

L'Autore

Francesco Oppia

Autore di Mondo Internazionale Post

Categorie

Asia Orientale

Tag

Taiwan China Elections