L’inizio di una nuova era
I dazi imposti da Donald Trump nel giorno simbolico della “Liberazione” hanno colpito duramente non solo l’Europa, ma anche tutti gli altri Paesi inseriti nella lista dei destinatari delle nuove misure tariffarie.
Se si prescinde dalle turbolenze registrate nelle ultime ore sui mercati globali, la strategia trumpiana sembra aver centrato il bersaglio: un successo sul piano diplomatico e di potere. La sua politica estera assomiglia sempre più a una partita di poker ad alta tensione, fatta di bluff calcolati, rilanci spiazzanti e colpi di scena orchestrati per assicurarsi il ruolo di unico protagonista al tavolo globale.
In questi giorni febbrili, la Casa Bianca e il Dipartimento del Tesoro hanno intrattenuto colloqui con oltre 75 delegazioni dei Paesi colpiti dai dazi, dimostrando un attivismo diplomatico che ha consentito agli Stati Uniti di riconquistare una centralità strategica, la quale mancava dai tempi dell’amministrazione Biden. Una vera e propria dimostrazione di forza e supremazia, dove la potenza economica diventa strumento di diplomazia muscolare.
Se da un lato alcuni Paesi hanno optato per un approccio attendista o negoziale, dall’altro le economie fortemente dipendenti dalle esportazioni — come Corea del Sud, Giappone e Cina — hanno reagito con decisione. Il 30 marzo 2025, a Seul, i tre giganti asiatici si sono riuniti in un trilaterale d’emergenza, con l’obiettivo di accelerare i negoziati per un accordo di libero scambio regionale. Un incontro tutt’altro che casuale.
La “tregua” commerciale annunciata da Trump il 9 aprile non si applica infatti alla Cina, che resta nel mirino della strategia protezionistica americana. Anzi, contro Pechino è stata lanciata una nuova e durissima offensiva economica: dazi al 125% entrati in vigore con effetto immediato, che segnano una netta escalation nella già complessa relazione tra le due superpotenze. L’incontro di Seul rappresenta, senza dubbio, un tentativo concreto da parte di Cina, Giappone e Corea del Sud di rafforzare la cooperazione economica regionale in risposta alle pressioni esterne, cercando di costruire un fronte comune capace di contrastare l’egemonia tariffaria statunitense.
Nel vuoto lasciato dalle istituzioni multilaterali, la realtà internazionale sembra confermare ciò che studiosi e analisti hanno a lungo previsto: il ritorno a un mondo scandito dalla rivalità tra grandi potenze.
La logica dei dazi
Il calcolo dei dazi seguiva una logica ben precisa: si parte dal deficit commerciale degli Stati Uniti nei confronti di un determinato Paese, che successivamente viene rapportato al totale delle importazioni americane provenienti da quel Paese. La percentuale ottenuta viene poi dimezzata, determinando così l’importo del dazio. Ad esempio, nel caso dell'Unione Europea, nel 2024 il deficit commerciale degli USA verso l'UE era di 235,6 miliardi di dollari. Questo deficit è stato confrontato con il totale delle importazioni americane dall'UE, pari a 605,8 miliardi di dollari, ottenendo una percentuale del 39%. Tuttavia, Trump decise di applicare solo la metà di questa percentuale, portando il dazio a un 19,5%. La nuova sospensione dei dazi per 90 giorni è giustificata dall’amministrazione americana come una “pausa tattica” per riequilibrare i rapporti con alcuni alleati strategici e, al contempo, concentrare le forze contro quella che viene definita una “minaccia sistemica”: la Cina. In questo contesto, l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) appare sempre più marginalizzata, incapace di fermare l'escalation delle guerre commerciali unilaterali. Allo stesso modo, l'Organizzazione Mondiale delle Dogane (WCO), creata per promuovere la cooperazione tra le dogane e facilitare il commercio internazionale, si trova in una posizione di passiva osservatrice. Il commercio globale è ormai influenzato da decisioni politiche, piuttosto che da regole condivise, e le due organizzazioni non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali in risposta alle recenti misure tariffarie adottate da Trump.
La Strategia Realista di Trump: da dazi commerciali a "Rivalità Geopolitiche"
Le politiche commerciali di Trump, in particolare l’imposizione dei dazi, non sono un fenomeno isolato, ma rappresentano un tassello di una più ampia strategia realista che permea le sue relazioni internazionali, come dimostrato dai conflitti con l'Iran e la Cina. La logica è quella di proteggere e affermare la potenza degli Stati Uniti, in linea con la visione realista che pone la competizione per l’influenza come motore centrale della politica estera globale. Non è un caso infatti che l'UE abbia sospeso per 90 giorni i propri dazi di risposta a Washington. Il rafforzamento dei dazi contro Pechino, in netto contrasto con la sospensione per altri Paesi, mostra chiaramente che Washington vede nella Cina non un semplice concorrente commerciale, ma un rivale sistemico a livello geopolitico e tecnologico. Le guerre commerciali, infatti, non sono meramente questioni di dazi e protezionismo, ma una manifestazione tangibile di una strategia geopolitica volta a riaffermare la supremazia degli Stati Uniti a livello mondiale.
USA-Iran: dalla crisi economica alla guerra a bassa intensità
L'Iran, da questo punto di vista, si è evoluto da alleato a potenza sfidante, tentando di ridefinire la sua posizione in Medio Oriente. Secondo il modello di Brecher, la fase di escalation è caratterizzata da un aumento delle interazioni conflittuali, in cui le percezioni di minaccia tra i due attori sono massime e lo stress derivante dalle potenziali conseguenze di un conflitto diretto è altrettanto elevato. La mobilitazione militare da parte degli Stati Uniti, la quale ha comportato l'invio di risorse strategiche come bombardieri stealth B-2, la portaerei Carl Vinson e altre forze militari nella regione, testimonia il raggiungimento di una fase critica in cui la preparazione per un conflitto su larga scala è concreta, pur non essendo ancora sfociata in un conflitto diretto.
Il tycoon, dal canto suo, non ha mai fatto mistero della possibilità di un’azione militare diretta qualora non si trovasse un nuovo accordo sul dossier nucleare iraniano, rafforzando così l’idea di una crisi ad alta tensione destinata a durare.
USA-Cina:
In questo contesto di crescente tensione diplomatica, le percezioni di minaccia si sono intensificate, con un aumento dello stress tra le potenze coinvolte. La strategia della Cina di finanziare indirettamente gli sforzi bellici degli Stati Uniti, attraverso l'acquisto di titoli del Tesoro, riflette in parte l'idea di "pagare il viaggio" al nemico, come suggerito da Napoleone. Questo approccio è stato particolarmente evidente durante le guerre in Afghanistan e, successivamente, in Iraq, quando la Cina ha utilizzato le proprie riserve di valuta estera per finanziare, senza esporre direttamente il proprio Paese, gli ingenti costi delle operazioni militari statunitensi. La sua politica di acquisto dei titoli del Tesoro ha permesso agli Stati Uniti di continuare a finanziare i conflitti senza dover immediatamente sopportare l'intero peso finanziario, mantenendo un'economia relativamente stabile. Nonostante la Cina abbia ridotto la sua esposizione ai buoni del Tesoro USA nel tempo, continua comunque a mantenere una posizione di rilievo come uno dei principali detentori di titoli di Stato americani, suggerendo che la strategia di "pagare il viaggio" potrebbe non essere del tutto passata di moda. Oggi, la situazione si complica ulteriormente con le nuove misure di Trump, che continuano a generare tensione economica e politica.
Il Realismo alla base della guerra commerciale e del declino dell'Ordine Multilaterale
L’approccio di Donald Trump alla politica estera, particolarmente nel contesto delle sue relazioni con potenze come la Cina e l’Iran, si inserisce perfettamente all’interno del quadro teorico del realismo, come elaborato da Robert Gilpin. Nel contesto del commercio, la politica di Trump si è caratterizzata per una serie di misure protezionistiche come i dazi e l'adozione della dottrina "America First". Questi strumenti sono in perfetta sintonia con la visione di Gilpin, secondo cui la politica commerciale può essere utilizzata come leva strategica da parte delle potenze egemoni per mantenere il proprio dominio o, nel caso della Cina, per impedire che una potenza emergente sfidi l’ordine esistente. L’aumento drastico dei dazi contro Pechino si configura dunque come una chiara applicazione del pensiero realista: Trump rifiuta le logiche cooperative multilaterali e opta per uno scontro diretto, finalizzato a contenere l’ascesa cinese a ogni costo. Le guerre economiche, dunque, non sono solo strumenti di pressione, ma segnali di un cambiamento profondo nell’ordine internazionale. Le teorie di Gilpin, lungi dall’essere obsolete, sono oggi più che mai rilevanti per comprendere come le dinamiche di potere globale si stiano trasformando, spingendo verso una possibile conflittualità militare, oltre che economica, nel prossimo futuro.
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L'Autore
Pietro Russo
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