Xi Jinping al suo terzo mandato

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  Redazione
  25 ottobre 2022
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Sabato scorso si è chiuso il ventesimo Congresso del Partito Comunista Cinese (PCC) svoltosi presso la Grande Sala del Popolo di Pechino, un edificio in stile sovietico con decorazioni interne dominate dal rosso. A parte l'insolita scorta all'uscita dell'ex presidente cinese, Hu Jintao, in occasione della cerimonia di chiusura, nulla è intervenuto ad alterare i piani e i lavori di questo congresso che ha tracciato il futuro politico della Cina per i prossimi cinque anni.

I tratti più salienti di questo evento sono sinteticamente tre:

Il primo consiste nella terza affermazione di Xi Jinping nel ruolo centrale e dominante di Segretario Generale, quindi contestualmente quello di Presidente della Repubblica Popolare della Cina

Nonostante il contesto storico piuttosto impegnato per la Cina, alle prese con un sensibile rallentamento della sua crescita, non più a due cifre come in passato, a cause dei ripetuti e drastici confinamenti pandemici e delle tensioni diplomatiche con l'Occidente, l'autorità del presidente cinese non viene in alcun modo posta in discussione. Questa risoluzione viene votata favorevolmente all'unanimità dell’assemblea.

Ottenere il terzo mandato presidenziale, con valenza quinquennale con inizio il prossimo marzo, costituisce una situazione priva di precedenti storici nella Cina Popolare.

Per rimanere al potere, Xi Jinping ha rimosso dalla Costituzione l’ostacolo giuridico rappresentato dal limite di due mandati, scaduto nel 2018. A 69 anni si afferma quindi la teoria di poter presiedere ad vitam la Repubblica Popolare.

Durante il congresso è stata anche svelata la composizione del nuovo Comitato Centrale, una sorta di potentissimo “parlamento” interno al partito.

Questo nuovo gruppo, rimaneggiato al 65% e composto da 205 persone, di cui solo 11 donne, si riunirà per la prima volta domenica prossima per nominare i 25 membri dell'organo decisionale del PCC (l'Ufficio Politico) nonché il suo Comitato permanente. Quest’ultimo organismo, composto da sette membri, detiene la realtà del potere in Cina ed è composto nella maggioranza da personalità fedeli a Xi Jinping, quando non anche suoi amici personali da lunga data.

Il secondo è rappresentato dal consueto, direi storico, rifiuto a solo considerare l’ipotesi dell’ indipendenza della Repubblica di Taiwan.

Il congresso decide di includere nello statuto del partito una risoluta opposizione e deterrenza nei confronti dei “separatisti” che perseguono l'indipendenza di Taiwan. dell'isola di 23 milioni di abitanti

In verità, sin dall'inizio del suo mandato, Xi Jinping non si è mai mosso dalla strenua volontà di riunificare politicamente il territorio continentale cinese con l’isola di Taiwan, considerata come una delle province facenti parte della Repubblica Cinese. Ovvero ciò che l'esercito comunista non è mai riuscito a fare dalla fine della guerra civile cinese (1949) fino ad oggi.

Nel suo discorso di apertura del Congresso del Partito Comunista il 16 ottobre, Xi Jinping ha ribadito che si sta adoperando con la prospettiva di una pacifica riunificazione con la massima sincerità e il massimo impegno. Pur minacciando: “non ci impegneremo mai ad abbandonare l'uso della forza e ci riserveremo la possibilità di utilizzare tutte le misure necessarie”.

Al terzo posto sta l’enunciato proseguimento della strategia “zero Covid”.

La strategia "zero Covid" dovrebbe protrarsi nonostante le sue conseguenze dannose sull'economia e la crescente esasperazione della popolazione dovuta alle strette misure di confinamento sociale.

La Cina ha "altamente tutelato la sicurezza e la salute delle persone e ha ottenuto risultati positivi coordinando le misure preventive dell’epidemia con lo sviluppo economico e sociale ", ha affermato l'uomo forte di Pechino durante il suo discorso di apertura del Congresso del Partito Comunista.

Al contrario, la quasi chiusura del Paese e i ripetuti confinamenti sociali hanno costituito un ostacolo allo svolgimento e alla crescita economica, che secondo le analisi di previsione quest’anno dovrebbe essere la più debole degli ultimi quattro decenni, escluso il periodo della pandemia.

Questa politica “zero-Covid” ha rafforzato anche il controllo sociale sui cittadini, consentendo al regime autocratico cinese di informatizzare tutti i movimenti di ognuno di loro, nonostante questo Paese sia già in una posizione fortemente critica sulla scena internazionale per lo scarso rispetto dei diritti umani.

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Asia Orientale

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