Per quanto il risultato fosse preannunciabile, in pochi si sarebbero aspettati una vittoria così schiacciante da parte del candidato repubblicano Donald Trump, che si ritrova dopo 5 anni ad essere nuovamente il Presidente degli Stati Uniti.
Un’ascesa che in certi momenti della campagna elettorale sembrava davvero inarrestabile e portata avanti a suon di promesse di cambiamento e roboanti slogan, fr cui alcuni estremamente sensibili, soprattutto per i suoi alleati europei, come ad esempio la questione ucraina, ma anche i rapporti commerciali.
Sul frangente economico, quest’ultimo aspetto spaventa maggiormente molti dei Paesi europei, che, in una situazione congiunturale piuttosto negativa, con un ulteriore freno all’export, potrebbero incappare in importanti crisi.
Sarà ovviamente interessante capire se, ed in che modo, le promesse fatte in campagna elettorale si tradurranno in realtà, anche se sembra piuttosto certo, vista anche l’esperienza di 5 anni fa, che la tendenza protezionistica torni ad essere uno dei perni del nuovo corso trumpiano.
Un elemento rilevante per provare a prevedere la portata delle iniziative potrebbe essere analizzare ciò che è successo in passato. Nel corso del 2018, durante la prima amministrazione Trump, furono introdotte, infatti, misure e restrizioni, funzionali alla riduzione delle importazioni cinese nel Paese, prevalentemente di alluminio e acciaio.
Misure che successivamente furono allargate, andando a colpire anche i Paesi europei dall’autunno del 2019, anno del famoso contenzioso Boing-Airbus, che di fatto aprì una frattura con gli alleati occidentali e l’introduzione di dazi sulle importazioni di prodotti.
Una politica commerciale, che per quanto limitata, coinvolse anche l’Italia, in un tentativo ritorsivo, che rispondesse all’avvicinamento di quest’ultima alla Cina, avvenuto con la firma del memorandum sulla Via della Seta; andando a colpire principalmente prodotti alimentari, come il famoso caso del parmigiano[1].
Adesso la situazione potrebbe però assumere anche connotazioni ben peggiori, da quanto è lecito apprendere dai messaggi lanciati in campagna elettorale, che dovrebbero prevedere l’introduzione di un dazio del 60% su tutte le importazioni cinesi, mentre per gli altri Paesi i dazi potrebbero oscillare fra il 10 ed il 20%. Cifre esorbitanti, che potrebbero avere impatti estremamente negativi in molti Paesi europei, fra cui Germania ed Italia, che hanno nell’export una delle principali leve economiche[2].
Proprio il caso italiano risulta interessante, come testimoniano le prime stime sugli impatti dei dazi, che peserebbero sui settori di punta dell’export come: agroalimentare, settore moda e meccanica, e che, tendenzialmente, potrebbero portare costi aggiuntivi che oscillano fra i 4 ed i 7 miliardi.
Cifre importanti, che fanno preoccupare, anche se si tratta per il momento solamente di stime, per gli effetti che potrebbero essere generati, che potrebbero essere estremamente negativi, non solo in questo caso per i produttori europei, ma anche per gli stessi consumatori americani[3].
I prossimi mesi a questo proposito saranno essenziali per capire quanto e come le promesse elettorali di Trump troveranno compimento o se la partita dei dazi verrà usata come strumento di pressione su altri tavoli negoziali.
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