Caduto nell’oblio è il termine con cui spesso viene definita la guerra civile in Siria, scoppiata ormai da più di undici anni e che ha, tuttora, lasciato aperta la ferita di mezzo milione di morti e meravigliose città completamente devastate. In maniera analoga, il comparto energetico siriano, fonte di legame con il resto del globo e di entrate finanziarie, è stato dimenticato in seguito alle sanzioni imposte dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, ed il controllo sui flussi in uscita da quest’ultimi.
Contesto storico
Pochi anni prima dello scoppio del conflitto, il popolo siriano aveva manifestato la propria preoccupazione per l’elevata disoccupazione, la corruzione e la mancanza di libertà sotto il presidente Bashar al-Assad.
La Siria, influenzata dal forte sentimento scaturito dalle Primavere Arabe nei paesi circostanti, ha dato il via ad una serie di manifestazioni a favore della democrazia, che velocemente si sono trasformate in un conflitto contro la brutale repressione del Presidente Assad che le definiva atti di terrorismo, per sfociare, infine, in una guerra civile. Sono sorti svariati gruppi ribelli, sono state coinvolte organizzazioni jihadiste estremiste, come l’ISIS e Al Qaeda (che hanno influenzato negativamente la visione occidentale sul conflitto), così come le potenze straniere, mondiali e regionali, si sono chiaramente schierate a favore o contro il governo di Assad.
Ad aumentare ulteriormente la situazione drammatica in Siria è stata la presenza dei curdi siriani che hanno rafforzato il loro controllo nel nord della Siria, lungo il confine con la Turchia. Il governo dei territori sotto il controllo curdo è garantito dal Partito dell’Unione Democratica (PYD), collegato al partito turco PKK. Questo stretto legame ha spinto un intervento militare turco contro i curdi siriani, considerati dal Presidente Erdoğan come milizie terroriste; nonostante essi siano stati protagonisti della lotta contro l’ISIS, al fianco degli Stati Uniti.
Il quasi estinto settore energetico siriano
In precedenza, la Siria era il principale produttore di petrolio e di gas naturale nel Mediterraneo Orientale, e rappresentava circa un quarto delle entrate del governo siriano. Nel 1964, la General Petroleum Company (GPC) supervisionava l’esplorazione e gli investimenti nel settore energetico delle società affiliate quali la Syrian Petroleum Company (SPC) e la Syrian Gas Company (SGC), ma operavano nel settore anche importanti compagnie internazionali come la Royal Dutch Shell, la Chinese National Petroleum Company (CNPC), l'India's Oil and Natural Gas Corporation (ONGC), la Gulfsands Petroleum, la Sinopec e la TotalEnergies.
Dal 2011, il settore petrolifero siriano è quasi del tutto fermo, anche a causa delle caratteristiche del petrolio stesso, che è pesante (a bassa gravità) e acido (con un alto contenuto di zolfo) e richiede una specifica raffinazione che avveniva in Europa una volta esportato. A causa delle sanzioni imposte dall’UE e dagli Stati Uniti, i mercati disposti ad importare il combustile fossile da Damasco erano limitati, e di conseguenza il settore energetico ha subito una grave perdita di capacità di esportazione, così come gravi danni alle infrastrutture e un blocco quasi totale dello sviluppo e del trasporto delle risorse energetiche.
Tuttavia, il petrolio siriano ha attirato l’attenzione nel 2014, quando lo Stato Islamico, presente in alcune regioni della Siria, e prima di essere sconfitto dai Curdi sostenuti dagli USA, ha contrabbandato i barili di oro nero in Turchia e in altri paesi circostanti o rivenduti allo stesso governo di Assad. Il focus internazionale non è stato per il comparto energetico in sé, bensì per il peso finanziario che ha avuto la vendita di petrolio, che ha trasformato l’ISIS in una delle organizzazioni terroristiche più ricche.
Per sconfiggere lo Stato Islamico, la maggior parte delle infrastrutture energetiche sono state bersaglio di bombardamenti e risultano quindi danneggiate; anche dopo che il controllo dei giacimenti petroliferi sia passato sotto le forze curde e le Forze Democratiche Siriane (FDS), forza di opposizione al Presidente Assad, nessuna infrastruttura è stata ancora ricostruita e resa funzionante.
Gli USA ed il controllo sui giacimenti petroliferi
Nel 2019, il Presidente statunitense Trump ha annunciato il ritiro delle forze americane dalla Siria, ma il comunicato non ha riguardato le truppe dislocate a sorvegliare i giacimenti petroliferi. Secondo la Casa Bianca, gli obiettivi erano molteplici: in primo luogo per evitare che i pozzi di oro nero potessero cadere nuovamente nelle mani dell’ISIS; in secondo luogo per evitare che lo stesso Presidente Assad potesse avere accesso ai flussi di denaro originati dalla vendita di petrolio; ed infine, gli USA li consideravano una merce di scambio per l’opposizione al regime di Assad.
A distanza di un anno, è stata creata la società americana Delta Crescent Energy, fondata dall’ex ambasciatore degli USA in Danimarca, James Cain; l’ex tenente colonnello della Delta Force, James Reese; e John Dorrier, fondatore della compagnia petrolifera Gulfsands Petroleum. La Delta Crescent Energy ha stretto un accordo con le Forze Democratiche Siriane (SDF) per i diritti di esplorazione e sfruttamento dei giacimenti nel 2020, nella perdurante situazione di conflitto del Paese. Le polemiche non sono tardate ad arrivare, ed il Ministero degli Affari Esteri di Damasco ha denunciato l’accordo definendolo un furto al Paese e ed un attentato alla sovranità siriana.
In conseguenza di questi ultimi fattori, l’amministrazione Biden ha rifiutato di rinnovare la licenza della Delta Crescent Energy in Siria, sebbene ciò avrebbe permesso a delle aziende energetiche russe, presenti in Siria a seguito delle truppe coinvolte nel conflitto, di espandere la propria influenza sui giacimenti petroliferi. Inoltre, se Mosca fosse riuscita ad ottenere le licenze di sfruttamento, avrebbe anche messo a repentaglio la sicurezza delle forze statunitense nel territorio, a fronte delle incursioni militari russe e a minare gli sforzi per isolare economicamente il regime di Assad.
Ad inizio di quest’anno, nel corso di una conferenza stampa, presente il portavoce del Ministero Degli Esteri cinese, Wang Wenbin, è stata data informazione dell’annuncio della Syrian State News Agency, sotto il controllo della first lady siriana Asma Al Assad, che gli Stati Uniti avrebbero trasportato del petrolio dalla provincia di Hasakah alle basi militari statunitensi in Iraq. Gli Stati Uniti sono stati accusati di furto delle risorse naturali in Siria e di esacerbare, quindi, la crisi energetica ed umanitaria nel Paese. Al contempo, rimane il dubbio se gli USA non abbiano portato l’oro nero in Iraq per salvaguardare le risorse siriane in vista di una ripresa energetica ed economica di Damasco, in un futuro post-Assad, che al momento, per il popolo siriano, è difficile da immaginare.
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Fonti consultate per il presente articolo:
link immagine: https://www.pexels.com/it-it/foto/persone-bandiere-dimostrazione-rally-7183521/
https://english.aawsat.com/home/article/3977206/syrian-oil-time-new-approach
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https://www.bbc.com/news/50464561
https://www.bbc.com/news/world-middle-east-35806229
https://www.eia.gov/international/analysis/country/SYR
https://www.fmprc.gov.cn/fyrbt_673021/202301/t20230117_11010127.shtml
https://www.ilpost.it/2019/10/10/curdi-siriani-chi-sono/
https://www.ilsole24ore.com/art/trump-ordina-ritiro-siria-tutti-mille-militari-AC1QBqr?refresh_ce
https://www.notiziegeopolitiche.net/gli-americani-il-petrolio-e-la-siria/
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L'Autore
Federica Luise
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Energy crisis Siria Bashar al-Assad damasco #CivilWar curdi siriani #UnitedStatesOfAmerica Erdogan Russia #HumanitarianCrisis Delta Crescent Energy