Kashmir 2025: tregua fragile dopo l’escalation indo-pakistana e il rischio nucleare

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  Federica Placidi
  15 May 2025
  7 minutes, 27 seconds

L’attentato del 22 aprile nel Kashmir indiano, costato la vita a 26 civili, ha innescato una nuova ondata di tensioni tra India e Pakistan. A seguito dell’attacco, nella notte tra il 6 e il 7 maggio, l’India ha lanciato una serie di raid aerei contro obiettivi ritenuti legati a gruppi terroristici nel Punjab e nel Kashmir pakistano, provocando decine di vittime civili. La risposta militare pakistana e l’inasprimento della retorica politica hanno riacceso i timori di un’escalation incontrollata, con il rischio concreto che lo scontro possa trascendere i confini convenzionali.

Dopo settimane di tensioni, India e Pakistan hanno concordato un cessate il fuoco il 10 maggio, grazie alla mediazione diplomatica degli Stati Uniti. Tuttavia, la tregua è stata subito messa alla prova da nuovi scontri lungo la Linea di Controllo (LoC), con entrambe le parti che si accusano reciprocamente di violazioni. Nonostante ciò, la notte tra l’11 e il 12 maggio è trascorsa senza ulteriori combattimenti, offrendo un barlume di speranza per una de-escalation duratura.

Il fatto Il 22 aprile 2025, il Kashmir indiano è stato teatro del più grave attacco terroristico dal 2019. Un commando armato affiliato al Fronte della Resistenza, gruppo satellite del ben più noto Lashkar-e-Taiba, ha assassinato 26 persone, perlopiù turisti indiani, nella zona di Anantnag. La modalità dell’attentato — esecuzioni a sangue freddo, colpi a bruciapelo — ha suscitato un’ondata di indignazione nazionale e internazionale. Le autorità indiane attribuiscono la regia dell’attacco a Saifullah Kasuri, noto come Khalid, comandante operativo del Lashkar-e-Taiba, legato ai talebani e ad Al-Qaida.

Implicazioni geopolitiche L’evento ha riacceso le tensioni tra India e Pakistan, due potenze nucleari con una lunga storia di ostilità e una rivalità territoriale storica sul Kashmir, regione a maggioranza musulmana contesa fin dalla partizione del 1947. Mentre Nuova Delhi accusa Islamabad di tollerare o addirittura sostenere gruppi jihadisti, il governo pakistano nega ogni coinvolgimento, denunciando una strumentalizzazione politica della tragedia. Nel frattempo, le contromisure adottate da entrambe le parti rischiano di compromettere i fragili equilibri regionali: l’India ha sospeso il trattato sulle acque del fiume Indo, revocato i visti ai cittadini pakistani, chiuso il confine di Wagah-Attari e interrotto il traffico aereo bilaterale. Islamabad, a sua volta, ha dichiarato lo stato di allerta militare, temendo un attacco preventivo indiano.

Gli attacchi indiani e le vittime civili in Pakistan Secondo i funzionari pakistani, gli attacchi indiani nella provincia del Punjab e nel Kashmir controllato dal Pakistan hanno causato la morte di 31 civili. L’India, da parte sua, ha giustificato l’offensiva come una risposta a presunti preparativi per nuovi attacchi terroristici da parte di gruppi che operano nel territorio. L’India ha dichiarato di aver colpito almeno nove siti strategici.

Il portavoce dell’esercito pakistano, il tenente generale Ahmed Chaudhry, ha specificato che l’attacco più mortale ha colpito una moschea a Bahawalpur, dove sono morte 13 persone, tra cui due bambine di tre anni. Secondo l’intelligence indiana, la moschea era collegata a gruppi armati del Kashmir.

Un conflitto nucleare in vista? Le tensioni tra i due Paesi sono aumentate significativamente dal 22 aprile. In risposta agli attacchi aerei indiani, l’aviazione pakistana ha abbattuto cinque jet da combattimento indiani, un atto che ha suscitato ulteriori timori di un’escalation militare. Il ministro della Difesa pakistano, Khawaja Asif, ha dichiarato a Geo News: “Se l’India spinge la regione verso una guerra nucleare, ne subirà tutte le conseguenze”. Sharif ha affermato che il Pakistan “vendicherà ogni goccia di sangue”, mentre Islamabad ha invocato all’ONU il proprio diritto all’autodifesa. Modi, presidente indiano, invece, ha dichiarato che l’offensiva ha eliminato “80 terroristi”.

Proteste e appelli alla pace: la voce dei cittadini In reazione all’inasprimento del conflitto, anche all’estero si sono registrate iniziative a favore della de-escalation. A Londra, un gruppo di manifestanti pakistani si è radunato davanti all’Alta Commissione indiana per chiedere la fine delle ostilità e un ritorno al dialogo bilaterale.

Trump, Starmer e Kallas chiedono la de-escalation Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha definito l’escalation come “terribile”, esprimendo la sua preoccupazione per la crescente violenza e ribadendo la volontà degli Stati Uniti di intervenire come mediatori. “Voglio che risolvano la questione”, ha detto, facendo appello a entrambe le nazioni affinché tornino al dialogo. Anche il primo ministro britannico Keir Starmer ha espresso la sua preoccupazione, affermando che il Regno Unito sta lavorando “urgentemente” con entrambe le nazioni per promuovere il dialogo, la de-escalation e la protezione dei civili. Kaja Kallas, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE, ha dichiarato che “questa guerra non fa bene a nessuno”, aggiungendo che l’Europa sta cercando attivamente di mediare.

Un conflitto mai sopito Il Kashmir è di fondamentale importanza strategica: oltre a ospitare le sorgenti dell’Indo, fiume vitale per l’agricoltura e la sopravvivenza del Pakistan, consente — a chi ne detiene il controllo — una sorveglianza aerea privilegiata grazie alla sua posizione montuosa. Ma la contesa è anche simbolica: la regione rappresenta una questione identitaria per l’India nazionalista guidata da Narendra Modi, e un nodo storico per il Pakistan, il cui esercito mantiene una centralità assoluta nella politica nazionale. L’India, da parte sua, ha accentuato il controllo sul Jammu e Kashmir con la revoca dello status speciale nel 2019 e l’integrazione diretta nell’Unione. Queste scelte, accompagnate da una narrazione nazionalista nei media, alimentano il risentimento tra la popolazione locale e forniscono combustibile ideologico ai gruppi armati.

Implicazioni economiche e postura strategica della Cina Le ripercussioni economiche del nuovo ciclo di tensioni indo-pakistane sono già evidenti. L’India, candidata a diventare la terza economia mondiale entro il 2027 secondo il World Economic Forum, rischia di vedere rallentata la sua traiettoria di crescita.

L’interruzione del trattato sulle acque dell’Indo rappresenta inoltre una minaccia strategica per l’agricoltura pakistana, che dipende in larga parte da tale fiume. Secondo l’International Water Management Institute, circa l’80% dei raccolti pakistani si basa su irrigazione alimentata dal sistema fluviale dell’Indo. Qualsiasi manipolazione unilaterale del flusso da parte indiana costituirebbe un casus belli diretto, potenzialmente giustificato anche dal diritto internazionale come “controversia idrica”.

In questo contesto di crescente instabilità, la Cina emerge come attore di primaria importanza. Da anni Pechino investe pesantemente in Pakistan attraverso il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), un’infrastruttura chiave della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative). Il porto di Gwadar, la rete ferroviaria e le autostrade finanziate da Pechino sono strategiche non solo per il Pakistan ma anche per gli interessi globali cinesi.

In caso di escalation militare, la Cina si troverebbe in una posizione ambigua: da una parte alleata del Pakistan, dall’altra interessata a mantenere stabili le relazioni commerciali con l’India, suo principale concorrente economico ma anche partner commerciale da oltre 130 miliardi di dollari l’anno. Pechino manterrà con tutta probabilità una postura assertivamente neutrale: sosterrà Islamabad sul piano diplomatico, cercando però di evitare che il conflitto comprometta i suoi interessi economici. Un intervento diretto è improbabile, ma l’influenza cinese potrebbe rivelarsi decisiva nel frenare un’ulteriore escalation, specie se mediata in ambito multilaterale (Shanghai Cooperation Organisation, ad esempio).

Il fragile cessate il fuoco Dopo giorni di intensi scontri e timori di un conflitto su vasta scala, India e Pakistan hanno concordato un cessate il fuoco il 10 maggio 2025, grazie a una mediazione diplomatica guidata dagli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump ha annunciato l’accordo, frutto di negoziati condotti dal segretario di Stato Marco Rubio e dal vicepresidente JD Vance, che hanno coinvolto direttamente i leader di entrambi i paesi. Il cessate il fuoco è stato confermato da funzionari di entrambi i governi, che hanno concordato la sospensione di tutte le azioni militari su terra, aria e mare. Tuttavia, nelle ore successive, entrambe le parti si sono accusate reciprocamente di violazioni, evidenziando la fragilità dell’accordo. Nonostante ciò, la notte tra l’11 e il 12 maggio è trascorsa senza ulteriori incidenti, offrendo una finestra di opportunità per la stabilizzazione della situazione.

Conclusione: quali prospettive? La tregua raggiunta rappresenta un passo importante verso la de-escalation, ma non risolve le profonde divergenze che alimentano il conflitto indo-pakistano, in particolare la disputa sul Kashmir. Le dinamiche interne, come le pressioni nazionaliste in India e le instabilità politiche in Pakistan, continuano a influenzare negativamente le prospettive di una pace duratura. La comunità internazionale, pur avendo svolto un ruolo cruciale nella mediazione, deve ora sostenere sforzi diplomatici continui per consolidare il cessate il fuoco e promuovere un dialogo costruttivo tra le parti. Solo attraverso un impegno multilaterale e inclusivo sarà possibile trasformare questa tregua temporanea in una soluzione stabile e duratura per la regione.

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Federica Placidi

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USA terrorismo