A cura del Dott. Pierpaolo Piras, studioso di Geopolitica e componente del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS
A causa del riscaldamento climatico, delle nuove tecnologie adottate per l’estrazione degli idrocarburi e del crescente interesse per le rotte marittime dell’emisfero settentrionale, l’Artico è destinato a diventare sempre più importante per il suo elevato valore strategico e per le notevoli risorse energetiche che vi sono contenute.
La contrazione dei ghiacci artici, il cui spessore si è ridotto del 40% negli ultimi 50 anni, rende sempre più concreta l’ipotesi di uno sfruttamento commerciale delle vie marittime artiche che si aprirebbero, capaci di portare con sé grandi sfide economiche, tecnologiche e, non in ultimo, ambientali. A solo titolo di esempio, le risorse stimate di petrolio nell’Artico sono dell’ordine del 13% delle riserve globali di petrolio non ancora scoperte. La stima delle risorse non scoperte di gas è tre volte maggiore delle potenziali risorse di petrolio. Petrolio e gas naturale tessono una rete di interessi comuni tra paesi artici e non artici, e in particolare fra Germania, Norvegia e Russia.
Il ruolo del Consiglio Artico
L’organismo di gestione delle problematiche dell’oceano Artico è il “Consiglio artico”. Il Consiglio artico è stato istituito nel 1996 e comprende gli stati rivieraschi : Canada, Stati Uniti, Finlandia, Islanda, Russia, Norvegia, Danimarca e Svezia. Ogni due anni la presidenza viene trasferita ad un altro Stato artico. Anche sei gruppi etnici indigeni, riconosciuti come partecipanti permanenti, fanno parte del Consiglio. Essi hanno pieni diritti di consultazione su qualsiasi decisione o negoziato venga intrapreso dagli Stati artici.
Sono inclusi: l'Aleut International Association, l'Artico Athabaskan Council, Gwich'in Council International, Inuit Circumpolar Council, Russian Association of Indigenous Peoples of the North e Saami Council.
Essi entrano sempre nel merito delle forme di sviluppo sostenibile, sui contaminanti (come, ad esempio, è dimostrato per le microplastiche), la conservazione della flora e della fauna artiche, la protezione marina estesa anche alle specie animali che la abitano, il monitoraggio artico e la risposta alle emergenze di ordine ecologico. Le principali priorità del Consiglio includono l'esame degli effetti dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento umano nell'Artico, il miglioramento del benessere dei residenti a quelle latitudini e lo studio approfondito sul cambiamento del ghiaccio.
Altre priorità riguardano tuttora la registrazione continua del traffico marittimo in quelle acque ed effettuano l’attento monitoraggio della biodiversità marina.
Le sfide militari e ambientali nell'Artico
L'Atlantico settentrionale è divenuta già oggi un'area di crescenti tensioni. La sfida (anche politica) per tutte le parti coinvolte è di evitare che tali tensioni si riversino acutamente nell’Artico, oggi relativamente calmo. Il ruolo futuro della NATO sta nel sostegno dell’ordine multilaterale basato sul rispetto delle più corrette regole internazionali approvate in ambito ONU.Storicamente, la NATO ha avuto a lungo un chiaro mandato (implicito nel suo mandato statutario) esteso al suo estremo glaciale.
Ma, quale ruolo dovrebbe svolgere la NATO nell’Artico?
Le due regioni che seguono non sono identiche, ma hanno geografie politiche interconnesse. L'Atlantico settentrionale include vaste aree marine per lo più libere dal ghiaccio fino alle acque che si stendono immediatamente più a nord dell'Islanda. L'Oceano Artico è invece quasi totalmente coperto di ghiaccio spesso, specie nella stagione invernale.
La definizione
Utilizzando i termini convenzionali, per "Artico" si intende l’area circoscritta geograficamente da cinque stati costieri, tra cui Canada, Danimarca (con Groenlandia e isole Faroer), Norvegia, Russia e Stati Uniti e altri otto stati membri residenti a pieno titolo nel Consiglio Artico (ovvero i cinque appena elencati, più Finlandia, Islanda e Svezia).
Il Cambiamento climatico
Nell'Artico sono in corso tre cambiamenti tra essi correlati. Il primo è rappresentato dalle caratteristiche dell’ambiente: fino a poco tempo fa, aveva fisicamente senso distinguere tra le aree libere dal ghiaccio e le aree più o meno permanentemente congelate all'interno del Circolo Polare Artico. Finora, queste due aree geografiche hanno anche corrisposto a due diversi aspetti politici: una è la politica di sicurezza nell'Atlantico settentrionale, anche attraverso il Consiglio Atlantico, l’altra è l’interesse della NATO. Un ulteriore aspetto è rappresentato dai rapporti collaborativi o meno di politica internazionale correnti tra gli Stati costieri dell’Artico.
L’influenza del clima
Con le attuali problematiche, ora che il ghiaccio polare mostra la tendenza a sciogliersi mentre la sua estensione si contrae, pure l'Artico rischia di diventare una zona di maggiore rivalità e confronto tra le grandi potenze. A differenza di come si svolge il cambiamento climatico nell’opposto emisfero australe, dove l'interferenza degli Stati è inferiore e gli stessi Stati sono anch’essi suscettibili agli effetti negativi del cambiamento climatico, l'Artico comprende invece gli interessi di Stati tutti importanti sotto il profilo politico, economico e militare. Ovvero, questi ultimi hanno le capacità e possibilità istituzionali concrete di risolvere molti problemi e la forza di prevenire l'insorgere di nuovi conflitti. Di conseguenza, nell'Artico, il cambiamento climatico può effettivamente e tecnicamente migliorare il commercio, la ricerca e le opportunità di viaggio a causa di un maggiore accesso potenziale. Tuttavia, tale maggiore facilità d’ accesso porterà alla fine a una sempre maggiore attenzione a tale regione. Visto in tale ottica, il cambiamento climatico finirebbe per esercitare ulteriori pressioni politiche sulle relazioni bilaterali e multilaterali nell'Artico.
Ad esempio, gli stati più piccoli potrebbero diventare l’obiettivo di repentini investimenti stranieri motivati geopoliticamente, come il forte interesse recentemente materializzato dalla Cina Popolare per l’acquisto di un’ampia fascia di territorio nel nord-est dell'Islanda.
La rimilitarizzazione russa
Il secondo cambiamento si presenta sotto forma di rimilitarizzazione russa. Mentre gli Stati membri della NATO e la Russia hanno significativamente ridotto le dimensioni delle loro marine militari in quest’area, lo sviluppo russo di nuovi missili (con maggiore velocità e gittata) di fatto rende le distanze più piccole e le regioni più vicine l'una all'altra.
La maggiore portata, velocità e precisione di queste armi rendono concettualmente più arduo separare l'Atlantico settentrionale dall’Artico come teatri meritevoli di considerazioni geopolitiche distinte, poiché sia le regioni baltiche che il mare di Norvegia possono diventare il bersaglio di attacchi provenienti sia dal Mare di Barents che dalla terraferma. Missili da crociera terrestri, sottomarini e altri sistemi d’arma, sfidano la capacità della NATO di difendere e rafforzare sia l'Europa continentale che l’intero Nord Atlantico. Dal punto di vista russo, una maggiore militarizzazione dell'Artico ha più che senso. Con diversi stretti e passaggi marini che diventano più accessibili e addirittura percorribili, Mosca otterrebbe legittimamente l'accesso a maggiori risorse economiche, sia onshore che offshore, come la pesca, petrolio, gas e diversi altri prodotti minerali.
Problematiche per la NATO
Il problema per la NATO si pone di fronte alla possibilità che la militarizzazione dell'Artico possa presentare interessi più che ramificati e proiettati anche al di là di questa vastissima regione. La nuova e acquisita forza e ampiezza della vigente strategia russa di negazione dell'accesso in prossimità delle proprie coste settentrionali, consente sempre più a Mosca di minacciare anche obiettivi molto più lontani senza però riuscire a dispiegare la tradizionale proiezione di potere strategico. Attualmente, l'Artico è ancora praticamente privo della presenza fisica di forze militari, marittime o aeree russe, ma ha il potenziale per diventare una base dalla quale Mosca avrebbe la possibilità di minacciare obiettivi di alto valore strategico nell'Artico e più distanti come nell'Atlantico settentrionale e/o nell'intero continente europeo.
In ogni caso, l'eventuale concentrazione militare russo nell’area non resterebbe isolato dal quadro più ampio della concorrenza strategica con la NATO e dall'obbligo degli alleati di rispettare pienamente i loro obblighi di dissuasione e difesa ad ogni longitudine e latitudine.
Aumento della presenza cinese
Il terzo cambiamento è definito sia dall'aumento della presenza militare cinese in quest’area che dall'aumento delle tensioni politico-economiche tra Stati Uniti e Cina. Pechino sta mostrando maggiore interesse per la regione mentre gli Stati dell'Artico sono visti come obiettivi per intensificare il commercio dei prodotti artigianali cinesi. Come in altre parti del mondo, l'attività economica della Cina si accompagna sempre alla propria influenza in termini geopolitici. Ciò pone un dilemma ai paesi della regione artica che hanno bisogno di investimenti stranieri.
La strategia cinese
La strategia polare di Pechino utilizza anche la tecnica conosciuta dagli analisti del “Multidominio” verso l’avversario. Essa prevede lo sviluppo pianificato di un rompighiaccio a propulsione nucleare, investimenti mirati in immobili e infrastrutture artiche e una azione di ricerca potenziata nel territorio. E riflette le classiche strategie intese al raggiungimento di grandi obiettivi strategici attraverso l’impiego di consistenti risorse, portata e potenza. L'Artico è stato persino formalmente incluso nella “Belt and Road Initiative” (via della seta) del presidente cinese Xi Jinping, un'ambiziosa - ma finora colmata da numerosi insuccessi - campagna di sviluppo per promuovere il commercio cinese in tutto il pianeta.
Le questioni tradizionali dell’Artico, relative alla ancóra scarsa sicurezza dell’area, in merito al commercio marittimo e alla ricerca, (che però funzionano come piattaforma per la cooperazione internazionale nella regione) iniziano lentamente ad acquisire importanza su questo tema in quest'epoca di accresciuta concorrenza strategica, gettando ulteriori dubbi sul mantenimento dell'Artico come area a bassa tensione e conflittualità. Questa problematica viene esacerbata concretamente dalla crescente concorrenza strategica tra Stati Uniti e Cina. In una recente riunione del Consiglio artico, un forum intergovernativo ad alto livello, Washington ha avvertito del crescente interesse della Cina per l'Artico.
Questa maggiore attenzione è senza dubbio reale, ma il tono e il contenuto delle dichiarazioni degli Stati Uniti hanno segnato uno spostamento verso l'inclusione delle questioni geopolitiche legate alla Cina nel Consiglio artico. Almeno politicamente, l'Artico sta diventando un ulteriore teatro di rilevanza globale verso una competizione strategica tra i due, che purtroppo si proietta in tempi più lunghi.
La gestione delle sfide della sicurezza artica
Dalla fine della guerra fredda, gli otto Stati artici hanno gestito in piena autonomia la maggior parte delle questioni politiche regionali attraverso riunioni e contesti multilaterali come l'Organizzazione marittima internazionale e il Consiglio artico. La dichiarazione di Ottawa del 1996, che istituì il Consiglio Artico, escludeva esplicitamente la sicurezza militare dal suo mandato. Nel 2008, i cinque stati costieri artici hanno firmato la Dichiarazione di Ilulissat (comunità della Groenlandia), promuovendo l'intenzione che l'Artico sarebbe stata una particolare zona di bassa tensione. La medesima dichiarazione ha anche dichiarato ogni questione relativa alla sicurezza fuori dai consessi intergovernativi centrali. Di conseguenza, dall’epoca della guerra fredda, non c'è mai stata alcuna struttura statuale formale o sede per affrontare le eventuali questioni di sicurezza nell'Artico.
Gli interessi della Russia
Da quando la Russia ha annesso la penisola di Crimea nel 2014, la geopolitica di antica fattura ha iniziato a insinuarsi nelle discussioni sull'Artico. Le grandi potenze si considerano sempre più rallentate in una competizione, non solo nel campo della sicurezza, ma anche nei settori dell'economia, della politica e del commercio. Di conseguenza, la logica cooperativa che finora ha dominato nell'Artico rischia di esserne implicata e pertanto compromessa.
Il ruolo della NATO – Il GIUK
La combinazione con la concentrazione militare russa ha spinto l’Occidente a chiedersi se alla NATO potrebbe essere richiesto di svolgere un ruolo strategico nell'Artico a favore della deterrenza e della difesa dell'Alleanza stessa. La NATO ha a lungo considerato l'Artico come un'area priva di sostanziali minacce militari dirette, tali da scoraggiare eventuali avversari. Ed esente da qualsiasi questione di sicurezza significativa da affrontare e gestire. Di conseguenza, la posizione dell’Alleanza è concretamente differente rispetto a quella ben più potente che essa stessa esercita nell’Atlantico settentrionale.
Qui, la NATO è tornata a pattugliare con assiduità il punto di strozzatura disposto tra Groenlandia, Islanda e Regno Unito (più noto come “Area di GIUK), scoraggiando la flotta settentrionale russa e preparandosi alla guerra antisommergibile, specialmente a causa degli sforzi di modernizzazione navale di Mosca. GIUK è un acronimo inglese che sta per Greenland, Iceland, United Kingdom, ovvero il varco costituito dall'oceano aperto posto tra queste tre masse di terra.
L’area di “Giuk” è un termine utilizzato anche in ambito militare, a partire dagli anni ‘40, per indicare un'area dell'oceano Atlantico settentrionale che costituisce un punto di passaggio e sbarramento per la guerra navale di superficie e subacquea. L'area potrebbe diventare ancora una volta un punto caldo geopolitico segnato dalla competizione strategica tra potenze occidentali e globali, anche se le analogie con la Guerra Fredda sono in parte fuorvianti. Ora che alcune differenze tra l'Artico e l'Atlantico settentrionale vengono via via cancellate, la tendenza geopolitica è sempre più quella di considerare entrambe queste due regioni con i medesimi criteri.
Pearls
Questa modalità di approccio, tuttavia, potrebbe rivelarsi controproducente, perché tutti gli Stati artici perderebbero a causa di tale cambiamento. Mosca, ad esempio, probabilmente la vedrebbe come una manifestazione di scarsa fiducia occidentale nei confronti dell’attuale status di bassa tensione della regione. I progressi diplomatici sulle questioni di “non sicurezza” già compiuti finora in seno al Consiglio artico sarebbero messi a rischio. Finora la Russia ha rispettato le norme stabilite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, come dimostra l'accordo Norvegia-Russia sulla delimitazione della frontiera marittima tra i due paesi nel Mare di Barents.
Le dispute sono ancora legittimamente risolte, ed è nell'interesse degli altri Stati artici che rimanga tale, poiché la Russia detiene un significativo vantaggio militare e infrastrutturale nell'Artico. E continuerà a farlo valere, data la sua geografia. Paradossalmente, lavorare, specie diplomaticamente, sulle questioni di non sicurezza ha avuto e potrà ancora avere un effetto positivo sulla sicurezza stessa.
Considerazioni di geopolitica
Attirare la NATO troppo avventatamente nell'Artico rischia di buttare via il progresso già ottenuto dalla diplomazia e dalla cooperazione, che è stato raggiunto dalla fine della guerra fredda. Finché la situazione geopolitica e geostrategica rimarrà in evoluzione, la NATO dovrebbe studiare attentamente se e come impegnarsi nell'Artico. Trovare il giusto equilibrio tra deterrenza e difesa, da un lato, e cooperazione ispirata al pragmatismo con la Russia nell'Artico e nell'Atlantico settentrionale, dall'altro, deve tenere conto del fatto che nelle due regioni sono in gioco culture mentali e logiche militari differenti.
Mentre la NATO sta affrontando la crescente necessità di considerare l'Artico uno spazio regolare di deterrenza e difesa, può essere meglio adeguato nella propria azione riconoscendo e sostenendo indirettamente la pragmatica cooperazione politica in questa regione posta tra le nazioni alleate e la Russia. Sempre che l'Alleanza non sia richiesta dai suoi Stati membri artici.
Sebbene la cooperazione politica tradizionale nell'Artico sia sempre più stressante, essa ha continuato a funzionare senza problemi sostanziali finora. La gestione della Russia all'interno di queste strutture dovrebbe essere una priorità finché Mosca non utilizzerà la sua presenza nella regione per scopi più coercitivi, quando non aggressivi. In tal caso, la NATO potrebbe affrontare tale criticità tramite l'impiego prudente di risorse militari in parti dell'Atlantico settentrionale che hanno un precedente per tali azioni, come per l'Islanda, e poi spostarsi solo gradualmente verso nord. In questo modo, l'alleanza atlantica può fare un primo tentativo di gestire i problemi di sicurezza nell'Artico, facendo del suo meglio per astenersi dal coinvolgimento diretto nella regione. La Cina pone un problema più complesso che va ben oltre le tradizionali sfide di sicurezza militare e richiede un impegno economico a lungo termine.
In questo senso, l'Artico è visto come qualsiasi altro teatro.
Se la NATO vuole considerare le azioni della Cina nell'Artico, l'alleanza dovrà fare attenzione a non aggravare la situazione, specie in settori di maggiore valenza politica che, finora, non sono stati toccati dalla concorrenza strategica. La NATO dovrebbe considerare attentamente la possibilità che una maggiore presenza marittima cinese nella regione non sia necessariamente una sfida a somma zero per mantenere, e magari incrementare, le linee di comunicazione marittime.
Riproduzione Riservata ®
Share the post
L'Autore
Redazione
Categories
Tag
artico Geopolitica Russia China USA