La trama fenicia, Wes Anderson e Cannes 2025

Illusionismo estetico e la tentazione del disastro

  Articoli (Articles)
  Jacopo Cantoni
  14 June 2025
  5 minutes, 16 seconds

Con La trama fenicia, Wes Anderson torna a raccontare una favola stilizzata, ambientata negli anni ’50 e costruita come una matrioska visiva e narrativa.

Un film che, come i suoi precedenti, seduce con la perfezione formale ma che stavolta sembra voler incrinare la sua superficie impeccabile per lasciare intravedere un cuore più tormentato, un tentativo – forse goffo, forse genuino – di rimettere in discussione il proprio linguaggio, ma non la propria estetica e il proprio stile. Wes, lo fa attraverso una vicenda familiare grottesca e stralunata, intessuta di paradossi ereditari, presagi da spy story e squarci di surreale malinconia.

Inquadratura fissa su un aereo. È lì che ci chiediamo se il suo cinema, scenderà finalmente a terra, se abbandonerà le sue geometrie perfette e quel teatro meccanico in cui ogni gesto è cronometrato. La risposta, come spesso accade con lui, è doppia: sì e no. Perché La trama fenicia è al tempo stesso il film più “andersoniano” e quello che più lo mette in crisi.

Protagonista è “Zsa-Zsa” Korda, interpretato da Benicio Del Toro, miliardario eccentrico che scopriamo immerso in una vasca da bagno, leggendo un libro, sorseggiando vino e covando un uovo.

Ha nove figli, tutti maschi, tranne una che non vede da sei anni: Liesl, la magistrale Mia Threapleton, quasi aivoti e fumatrice di pipa. È lei l’unica erede designata del suo impero commerciale, nonostante non ne voglia sapere, forse è questo il motivo per cui dovrebbe avere in mano tutto?.

Tra i due si gioca la partita più interessante del film: una riconciliazione mai apertamente dichiarata, fatta di silenzi, piccoli gesti e sguardi trattenuti. È lì, in quel rapporto padre-figlia imperfetto e disallineato, che il film vorrebbe trovare la sua anima.

A tenere insieme le linee narrative c’è il personaggio di Björn, tutore della famiglia e nerd entomologo interpretato da uno strepitoso Michael Cera. Figura apparentemente marginale, è in realtà il motore nascosto del film, una sorta di spirito guida tragicomico che si aggira tra scatole da scarpe, tentativi di omicidio e insetti rari. Il suo è il personaggio che ruba la scena, che sfonda il confine tra lo slapstick e la tenerezza, incarnando lo sguardo esterno e disilluso sul mondo dell’alta borghesia andersoniana.

Intorno a loro, una folla di volti celebri in ruoli brevi o brevissimi: da Scarlett Johansson a Bill Murray, da Willem Dafoe (memorabile nel suo ruolo da Virgilio nell’Aldilà secondo Anderson) a Bryan Cranston, fino a Benedict Cumberbatch, villain esagitato che combatte contro tutto, inclusi lampadari e divani. Sono presenze che oscillano tra l’omaggio e l’autocompiacimento, come se bastasse il volto noto a giustificare l’esistenza di un personaggio.

Il film si articola in cinque “gap status”, ognuno dei quali corrisponde a una “shoe box” misteriosa. Una struttura episodica che richiama The French Dispatch, ma stavolta meno frammentata, più organica, anche se il contenuto delle scatole è spesso meno interessante del contenitore.

Anderson costruisce il suo set come un’illusione continua, un gioco di prestigio dove la realtà si dissolve nella messa in scena. In questo, La trama fenicia richiama Il treno per il Darjeeling, ma è più consapevole della propria artificiosità.

A segnare la vera svolta è però il cambio del direttore della fotografia: non più Robert D. Yeoman, storico collaboratore, ma Bruno Delbonnel (già con i fratelli Coen, Sokurov, Tim Burton). Il suo sguardo trasforma i colori, abbandonando i pastelli pittorici per un’estetica da noir allucinato. Gli interni della casa di Korda, i lunghi corridoi, il sangue, le stanze anguste del bordello di Marsiglia: tutto richiama un immaginario ibrido tra animazione e pulp, tra gotico e commedia, tra Burton e i Coen.

Siamo ancora dentro Grand Budapest Hotel o Asteroid City? Forse. Ma qualcosa si incrina. Se in Asteroid City la forma divorava la storia, qui la storia – per quanto esile – riesce a sopravvivere. Il finale, con il suo disastro annunciato e la disfatta imprenditoriale del protagonista, apre uno spiraglio sul vuoto che resta quando i piani falliscono. Un momento in cui la maschera cade, e resta solo l’umanità, con la sua dolce e assurda unicità.

La trama fenicia non è un film rivoluzionario, ma è un film che si interroga. Non scende davvero da quell’aereo iniziale, ma si sporge dal finestrino. Guarda in basso. E forse, per la prima volta dopo molto tempo, ha voglia di atterrare.

Intorno a La trama fenicia si è tornati a parlare di saturazione. “Anderson fa sempre le stesse cose”, “con la stessa estetica”, “la stessa enfasi”. Ma è davvero così? In questo film ci parla finalmente della morte a viso aperto, e della fuga da essa, una fuga che si trasforma in un abbraccio verso chi non ci ha voluto, o verso chi noi non abbiamo voluto. Un abbraccio che non è consolatorio né banale, ma che apre a una serenità più alta, forse inaccessibile, ma autentica.

E tutto questo lo racconta con le sue armi: le scenografie finzionali, i colori pastello, le scene grottesche e improbabili, quella dialettica visiva che ha costruito in anni di ricerca. Dov’è la saturazione, allora? Se la vedete nell’estetica, il problema è vostro. È come lamentarsi sotto i video di un influencer perché “fa sempre le stesse cose”. Ognuno sviluppa un proprio linguaggio, un proprio modo di mettere in scena ciò che ha in testa, facendoti capire che è lui ad avere il punto di vista su quella storia, in quel modo.

Non andreste mai da Stephen King a dire: “Usi sempre gli stessi meccanismi narrativi”. Non lo fareste con Lynch, né con Leopardi. Non sto dicendo che Wes Anderson sia un genio assoluto della Settima Arte. Ma sto dicendo che ha costruito un linguaggio – riconoscibile, personale, coerente – e che questo è ciò che distingue un autore da un esecutore.

La parola “saturazione” spesso serve solo a dire: “Non ho più voglia di vedere i suoi film”. Va benissimo, per carità. Ma le sale hanno due porte. Spoiler: potete uscire da entrambe.


Mondo Internazionale APS - Riproduzione Riservata ® 2025


Fonte immagine:
https://www.flickr.com/photos/chrisharte/albums/72157637919555646/

Share the post

L'Autore

Jacopo Cantoni

Laureato in Cinema presso l'Alma mater Studiorum di Bologna, mi cimento nella scrittura di articoli inerenti a questo bellissimo campo, la Settima Arte. Attualmente frequento il corso Methods and Topics in Arts Management offerto dall'università Cattolica del Sacro Cuore.

Categories

Europe Cultura Società

Tag

Benicio Del Toro Wes Anderson La trama fenicia The Phoenician Scheme