La violenza sessuale nelle situazioni di conflitto

  Articoli (Articles)
  Alessandro Micalef
  09 November 2021
  3 minutes, 40 seconds

Il 2021 è stato un anno caratterizzato da stravolgimenti politici non indifferenti. Tra questi, il ritorno dei talebani ai vertici dell’Afghanistan, il colpo di stato avvenuto in Myanmar ad inizio anno da parte del Tatmadaw e il recentissimo colpo di stato in Sudan che ha interrotto il processo di democratizzazione del Paese iniziato nel 2019.

Oltre alle questioni politiche ed economiche connesse a questi mutamenti, è importante sottolineare che vi sono spesso, se non sempre, anche ricadute sul godimento dei diritti da parte dei cittadini. Tra questi, i soggetti che spesso vedono calpestare i propri diritti maggiormente sono coloro che appartengono alle fasce più deboli. Una piaga, da sempre nota e correlata alle situazioni conflitto, è quella della violenza sessuale. Questa avviene il più delle volte nei confronti di donne e bambine, per quanto vi siano numerosi episodi coinvolgenti anche individui di sesso maschile.

La violenza sessuale nelle situazioni di conflitto, secondo le risoluzioni dell’ONU, non si individua in un elenco esaustivo, per quanto si riconoscano atti “tipici” quali lo stupro e la schiavitù sessuale oltre all’imposizione della prostituzione, della gravidanza, dell’aborto e della sterilizzazione. Ciò può avvenire nei confronti di individui di ogni sesso ed età.

Alla base dei comportamenti che rientrano nella violenza sessuale in situazioni di conflitto vi è la presunzione di “impunità” di chi compie determinati atti. Nei racconti di chi ha subito uno stupro, indipendentemente dai contesti, è situazione comune che la vittima appartenga al gruppo (tendenzialmente etnico o religioso) opposto rispetto a quello del perpetratore. È altresì comune che ciò avvenga ad opera di più persone, quasi sempre esponenti dei gruppi armati che hanno conquistato un determinato territorio o che si occupano di eseguire operazioni di “pulizia etnica” in una determinata area. Oltre all’impunità, un ulteriore elemento comune si rivede nell’intento di umiliare la vittima, e con essa la comunità di appartenenza.

Per quanto lo stupro sia la fattispecie più comune, le situazioni tipiche sopra richiamate manifestano come l’impunità ed il controllo esercitato sulle vittime possa essere prolungato.

L’ONU ha un ufficio che si occupa di monitorare la situazione relativa a questo tipo di violenza, denominata conflict-related sexual violence (CRSV). L’Ufficio del Rappresentante speciale del Segretario Generale sulla violenza sessuale nei conflitti è impegnato nella prevenzione e nell’individuazione di fenomeni di CRSV, in collaborazione con altri team ed istituzioni. Ogni anno, grazie agli sforzi congiunti, viene presentato un report ad esso relativo.

Recentemente è stato pubblicato un libro digitale liberamente consultabile dalla pagina dell’Ufficio (il link viene anche riportato in fondo all’articolo) intitolato “In Their Own Words” (traducibile con “Nelle loro parole”) in cui vengono raccolte le testimonianze di vittime e autori di atti relativi a contesti di CSVR. Le testimonianze raccolte comprendono episodi provenienti da tutto il mondo, dal più risalente conflitto iugoslavo ai più recenti conflitti al momento della pubblicazione del libro.

È di particolare interesse un episodio relativo al Tigray, in Etiopia. Una donna racconta di come si fossero verificati episodi di stupro sia da parte dei soldati eritrei che da parte di soldati etiopi. La vittima, sostiene la testimone, può contare sul sostegno della comunità se lo stupro è stato compiuto dai soldati eritrei, mentre non viene dato credito a chi racconta di averlo subito da militari etiopi.

Questo stigma rispecchia una cultura che vede radicata la colpevolizzazione della vittima quando si verifica uno stupro. In altri contesti, la vittima viene rifiutata dalla famiglia in quanto ritenuta “disonorevole”. Spesso, anche nei contesti considerati più democratici, quando si verificano episodi di violenza sessuale si tende a trovare delle attenuanti nelle condotte o nell’abbigliamento della vittima. Quando ciò viene fatto anche dalle istituzioni ci si rende conto di quanto questa cultura sia radicata.

Per questo motivo, le testimonianze delle vittime di violenza possono favorire un progresso culturale. Laddove queste testimonianze arrivino da luoghi in cui vi è stato un conflitto, e la violenza sessuale sia stata quindi praticata in modo sistematico, si possono inoltre compiere passi in avanti nell’arginare questo fenomeno per il futuro.

Share the post

L'Autore

Alessandro Micalef

Laureato in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Milano.

Ha una propensione per lo studio delle materie umanistiche sin dagli anni del liceo, soprattutto quelle storiche.

Durante i suoi studi universitari sviluppa un interesse per il Diritto Internazionale ed Europeo, più in particolare per i Diritti dell’Uomo in entrambi i contesti.

Oggetto della sua tesi di laurea è stato il caso che coinvolge Gambia e Myanmar davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, in cui il Myanmar viene accusato di genocidio ai danni della minoranza etnica Rohingya.

All’interno di Mondo Internazionale è autore per l’area tematica di Organizzazioni Internazionali.


Law Graduate from Università degli Studi di Milano.

He has a propensity for humanistic subjects since high school, especially for historical ones.

During his academic studies, he develops an interest for International Law and European Law, in particular Human Rights in both contexts.

His final dissertation was related to the case concerning The Gambia and Myanmar in front of the International Court of Justice, where Myanmar is accused of genocide perpetrated against Rohingya ethnic minority.

Within Mondo Internazionale he is author in the context of International Organizations.

Tag

Siria