L’impossibile Piano Marshall mediorientale

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  Federica Luise
  07 April 2025
  6 minutes, 47 seconds

La distruzione che permea le strade di Gaza City, Sanaa e Aleppo, come di molte altre città del Medio Oriente, evoca in modo drammatico le immagini della devastazione che colpì l’Europa nel 1945. Le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale – città rase al suolo, l’impressionante ed incalcolabile numero di vittime, popolazioni ridotte in condizioni di estrema povertà, istituzioni in disfacimento e un clima di caos generalizzato – rappresentano un tragico parallelo con quanto accade oggi.

Studi recenti indicano che la distruzione in Medio Oriente ha raggiunto livelli paragonabili a quelli vissuti dall’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. A differenza di allora, però, manca oggi un impegno internazionale paragonabile al piano di ricostruzione avviato dagli Stati Uniti sotto la presidenza Truman. All’epoca, Washington investì con convinzione nella rinascita del continente europeo, orgogliosa del proprio ruolo nella liberazione e spinta da interessi strategici ed economici. La ricostruzione dell’Europa, tramite il Piano Marshall, fu anche uno strumento strategico per l’espansione dell’influenza statunitense in chiave antisovietica, ma portavano anche promesse di libertà e modelli democratici, sperando di trasformare i paesi in alleati stabili, in un nuovo ordine mondiale che portasse il marchio USA.

Il Piano Marshall si articolò attraverso strumenti come l’Economic Cooperation Administration (ECA), l’European Recovery Program (ERP) e l’Organization for European Economic Cooperation (OECE), promuovendo la rinascita economica del continente. Gli Stati Uniti investirono massicciamente nella ricostruzione industriale e urbana, inviando ingenti aiuti economici e materiali. Tuttavia, in un contesto di disordine totale, con la Siria in crisi dopo la caduta di al-Assad, il conflitto in Yemen e la situazione tesa a Gaza, la domanda sorge spontanea: sarà possibile applicare un piano Marshall per la ricostruzione? E chi ne potrebbe essere il promotore?

Stati Uniti: più dazi e meno Medio Oriente

L’Amministrazione Trump, dopo aver adottato politiche protezionistiche con l’introduzione dei dazi e un cambiamento di orientamento verso la riqualificazione del settore industriale nazionale, non sembra intenzionata a riprendere il ruolo di attore globale che il Paese aveva ricoperto ottant’anni fa. Oggi, la presenza americana in Medio Oriente si concentra su una strategia anti-iraniana, sperando in un riavvicinamento tra Israele e Arabia Saudita, i suoi principali alleati, per nuove opportunità di business.

La possibilità di applicare un Piano Marshall in Medio Oriente appare alquanto remota. Le ragioni sono molteplici: in primis, il principio di non autodeterminazione imposto da Israele nei confronti della popolazione palestinese rende estremamente difficile per gli Stati Uniti impegnarsi nella ricostruzione della Striscia di Gaza, anzi tale progetto potrebbe trasformarsi nella costruzione di una destinazione turistica esclusiva, come suggerito da un video pubblicato recentemente sui profili social del tycoon. Inoltre, quando si parla di risanare paesi come lo Yemen e la Siria, la situazione si complica davanti al panorama di attori non statali legati all’Iran, come Hezbollah e le milizie sciite, e gruppi come l’ISIS. Questo impone la necessità di un piano di sicurezza e di anti-terrorismo che vada a indebolire il cosiddetto asse della resistenza, oltre a dover chiedere nuovi colloqui con numerosi Paesi, ad esempio Russia e Turchia, per conciliare la diplomazia statunitense con il programma in Medio Oriente.

La Cina e la "neutralità anti-occidentale"

La Cina mantiene da sempre una posizione strategica di "neutralità anti-occidentale" in molte questioni internazionali, un atteggiamento che riflette i suoi interessi economici e commerciali nel mondo. La politica cinese si basa sull'idea di restare neutrale, ma senza opporsi ad iniziative che potrebbero indebolire l'Occidente. Gli interessi economici, essenziali per la diplomazia cinese, prevalgono su qualsiasi altra considerazione politica o umanitaria.

A causa dei numerosi legami economici bilaterali con i paesi arabi, la Cina è cauta nell'assumere posizioni che potrebbero danneggiare le sue alleanze favorendo un paese piuttosto che un altro. Questo pragmatismo porta ad evitare di esporsi in conflitti che potrebbero compromettere i suoi interessi economici, e senza mettersi contro alcuna potenza. Anche dal punto di vista di ampliamento della sfera d’influenza, collabora con paesi che gli Stati Uniti non considerano fondamentali per la propria area di dominio, mirando a conquistare nuovi alleati senza entrare in contrasto diretto con le potenze occidentali.

Il Golfo ha già influenza nell’area

Il Gulf Cooperation Council (GCC), o una coalizione di stati del Golfo, con la stessa Arabia Saudita in prima linea, dispone di risorse finanziarie e dell’influenza necessaria nella regione per stabilizzare l’area. Tuttavia, le capacità di mediazione rischiano di non portare ad un vero accordo di pace, come già dimostrato dalle iniziative precedenti gestite dal Qatar e dall'Egitto, che non hanno portato a soluzioni durature.

In questo scenario, l'Arabia Saudita si troverebbe in una posizione delicata, dovendo gestire le sue relazioni con l'Iran, con il quale ha recentemente stabilito un nuovo corso diplomatico. Inoltre, i paesi del Golfo dovrebbero necessariamente accordarsi tra loro per rispondere alle diverse priorità diplomatiche di ciascuno e collaborare nonostante le rivalità regionali esistenti, come ad esempio tra Riyadh e gli Emirati Arabi Uniti, o il Qatar, il quale si sta ponendo come attore globale per la risoluzione dei conflitti internazionali.

Non è affatto certo che i paesi del Golfo abbiano un reale interesse a stabilizzare completamente l’area, né che siano disposti a dedicare tempo e risorse a un simile progetto, avendo davanti progetti già organizzati come la Saudi Vision 2030. Finora, le potenze del Golfo hanno saputo mantenere una notevole influenza geopolitica senza necessità di avviare un piano di stabilizzazione su larga scala, come un ipotetico Piano Marshall, giocando le loro carte geopolitiche senza intraprendere azioni evidenti o che potessero portare a una soluzione definitiva ai conflitti.

Le Difficoltà di Russia, Iran ed Europa

La Russia e l'Iran, pur avendo interessi nel Medio Oriente, sono fortemente limitati dalle sanzioni internazionali che colpiscono le loro economie. Questo isolamento economico rende difficile per entrambi i paesi impegnarsi in un piano di stabilizzazione regionale, nonostante le loro alleanze con alcuni attori locali. Inoltre, entrambi sono riluttanti a sfidare direttamente gli Stati Uniti e Israele, temendo conseguenze diplomatiche ed economiche troppo rischiose.

Anche l'Europa, sebbene sia un attore rilevante nell’area del Medio Oriente, non possiede la coesione interna necessaria tra gli Stati per agire in modo efficace. Le divisioni tra i Paesi che la compongono, così come la mancanza di fondi e di un sistema militare unificato non permette al continente di avere la pretesa di restituire il favore.

La Turchia, potenziale attore con importanti limiti

Un attore che potrebbe fare la differenza nella stabilizzazione del Medio Oriente è la Turchia. Nonostante sia ancora una potenza relativamente giovane, la sua posizione geografica e il crescente ruolo strategico nel mondo arabo, e non solo, la pongono in una posizione favorevole per influenzare la regione. Ankara ha dimostrato di avere grandi ambizioni, cercando di espandere la sua influenza politica ed economica, ma affronta controversie interne, come le problematiche legate alla democrazia, alla libertà di stampa e ai diritti umani, che potrebbero ostacolare il suo ruolo di mediatrice. Inoltre, la sua politica estera, che spesso si intreccia con una certa ambiguità tra alleanze con l'Occidente e alleanze con paesi come l'Iran e la Russia, rende difficile per la Turchia agire con piena legittimità e autorità nella regione.


Il disordine generale che caratterizza il Medio Oriente oggi offre numerosi spazi di manovra agli attori statali e non statali, che trovano nelle dinamiche di caos e instabilità una fonte di guadagno e potere. In questa polveriera geopolitica, le alleanze e le rivalità sono in bilico, e ogni mossa potrebbe avere conseguenze imprevedibili. La regione si presenta come una scacchiera in cui le forze in gioco sono molteplici, e con il minimo spostamento, l'intero equilibrio potrebbe essere ribaltato.

Di fronte a questa realtà, nessuna potenza sembra veramente intenzionata a intraprendere un piano Marshall per il Medio Oriente. La regione si trova ad affrontare un destino segnato dagli equilibri geopolitici, dove Siria, Yemen e Palestina rimangono un campo di gioco per interessi esterni e conflitti interni.

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L'Autore

Federica Luise

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Medio Oriente piano marshall