Nuova proposta del Green Deal: ennesimo sforzo contro contro una transizione energetica impossibile

La Commissione cerca di stimolare la produzione europea di tecnologie a impatto zero per accelerare la transizione energetica senza però considerare che mai nella storia una fonte energetica è stata rimpiazzata, come si può pensare che i tanto proficui petrolio e carbone possano esserlo?

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  Ilde Mattei
  29 March 2023
  4 minutes, 41 seconds

Il 16 marzo la Commissione Europea ha proposto la normativa sull’industria a zero emissioni nette (Net-Zero Industry Act) che si inserisce nel grande quadro normativo per raggiungere l’obiettivo (giuridicamente vincolante) di impatto climatico zero entro il 2050. Nonostante la normativa sia ancora una proposta di legge che deve quindi essere ancora discussa e (eventualmente) approvata da Parlamento e Consiglio dell’Unione, la scadenza a cui si fa riferimento per realizzare gli obiettivi nel testo è a molto breve termine: il 2030. La portata di questi ultimi è soggetta anch’essa alle stesse ambizioni di grandezza e, forse, non ha neanche senso parlare e sperare in una transizione energetica. Ma procediamo con ordine.

I punti chiave della normativa sull’industria a zero emissioni nette

La proposta di regolamento si prefigge di far sì che entro 7 anni il 40% delle tecnologie necessarie a raggiungere l’impatto climatico zero sia prodotto in UE. Ciò contribuirebbe a velocizzare la transizione verso la totale neutralità climatica prevista per il 2050, creare nuovi posti di lavoro, raggiungere l’indipendenza energetica e rafforzare la competitività delle industrie.

Per ogni micro-obiettivo sono proposte misure specifiche e ben calibrate, ad esempio facilitare a livello economico e burocratico la realizzazione di progetti a zero emissioni nette, far contribuire i produttori di petrolio e gas allo stoccaggio di CO2 in proporzione a quanta ne producono e creare accademie specifiche per formare lavoratori specializzati in questo ambito.

Gli ostacoli pratici

Considerando l’estrema urgenza di dover agire per rallentare la crisi climatica, le grandi e precise ambizioni contenute nella proposta non possono che essere accolte con piacere. Nonostante ciò, è quasi automatico chiedersi se siano realizzabili nei termini proposti. In 7 anni si dovrebbe riuscire a discutere e approvare il regolamento (di solito le istituzioni europee ci impiegano circa 17 mesi), quindi creare le accademie e formare abbastanza personale qualificato che possa a quel punto lavorare per sviluppare tecnologie a impatto zero che dovranno essere infine messe in azione.

Gli ostacoli storici e temporali

Anche se queste incertezze di natura attuativa non esistessero, Jean-Baptiste Fressoz, storico delle scienze e dell’ambiente, sostiene che si presentino tre problemi maggiori che verosimilmente impediranno il raggiungimento degli obiettivi delle iniziative del Green Deal.

Da più di cent’anni il consumo energetico non fa che aumentare, nonostante la parziale presa di coscienza sul cambiamento climatico, non vi è mai stato (eccezion fatta per il periodo di covid-19) un momento di diminuzione di produzione energetica. Anche se sta aumentando la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili (che, pur essendo meglio delle fossili, non è a impatto zero), all’aumentare della quantità totale di energia consumata aumenta anche la quantità di energia fossile in termini assoluti.

Nel Green Deal la maggioranza dei provvedimenti, come l’NZIA, si concentra sulla sostituzione delle energie fossili con quelle rinnovabili. Nella storia però nessuna materia prima è stata mai rimpiazzata da un altra (a meno che non sia stata vietata come l’amianto). Ad esempio, nel XIX secolo nonostante il legno sia stato sostituito dal carbone come mezzo per riscaldare, il suo utilizzo non ha fatto altro che aumentare. Se si considera che creiamo società sempre più energivore, ciò non dovrebbe sorprendere.

Altro ostacolo altamente critico (eufemismo per non dire "insormontabile") è il tempo. Non solo siamo già in ritardo e le misure messe in atto serviranno semplicemente ad arginare i disastri inevitabili del cambiamento climatico, ma i tempi di diffusione delle nuove tecnologie (come quelle che l’NZIA vuole sostenere) sono estremamente lunghi. Banalmente, il primo smartphone fu inventato agli inizi degli anni 90, ma la diffusione su larga scala si ebbe solo 20 anni dopo. Stessa necessità di adattamento temporale si ha per il cambiamento del comportamento umano: anche se in Italia si dovrebbe fare la raccolta differenziata da più di 20 anni, vi sono ancora cittadini che non sono abituati o hanno difficoltà a farla correttamente.

Sicuramente le iniziative dell’Unione europea sono un buon esempio ed in generale vale la regola del “più si agisce, meglio è”, ma se consideriamo che la transizione energetica è “molto poco probabilmente” realizzabile, queste iniziative resteranno solo dei buoni propositi. Quello che si potrebbe fare è cercare di combattere questa tendenza dimostrando che siamo pronti a fare tutto il possibile per cambiare il corso della storia partendo dal nostro comportamento.

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L'Autore

Ilde Mattei

Laureata in Philosophy, International and Economic Studies all’Università Ca’Foscari di Venezia, sta collaborando con un’organizzazione no-profit francese a Strasburgo per creare ed implementare progetti volti alla sensibilizzazione dei giovani sull’importanza di essere cittadini europei.

Si interessa principalmente di migrazione e all’ambiente con l’intento di rendere accessibili a tutt* queste tematiche.

All’interno di Mondo Internazionale è autore per l’area tematica di Organizzazioni Internazionali.

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