È proprio vero che i videogiochi fanno male?

  RAISE
  Fabio Di Gioia
  20 July 2020
  4 minutes, 16 seconds

Il primo videogioco risale al 1975 e, da quel momento in poi, questo tipo di intrattenimento è diventato sempre più comune, differenziandosi ed evolvendosi insieme al progresso tecnologico. Ad oggi quasi un terzo della popolazione mondiale utilizza i videogiochi (in Italia i giocatori sono circa 24 milioni) ed è stata proprio questa ingente diffusione a spingere diversi autori ad interrogarsi sugli effetti, positivi o negativi, che essi provocano.
Nonostante esistano dei vantaggi derivati da videogames, il senso comune si è concentrato maggiormente sulle evidenze negative, alimentando sempre più lo stereotipo secondo cui “i videogiochi fanno male”. Questo pregiudizio è principalmente sostenuto dalla credenza che i contenuti violenti di molti videogiochi siano in grado di provocare un aumento dell’aggressività in chi li utilizza (Griffiths, 1999).

Tra gli studi che confermano questo punto di vista vi sono quelli di Anderson e Carnagey (2009) e Uhlmann e Swanson (2004). Secondo queste ricerche l'esposizione a videogiochi violenti è significativamente correlata all'aumento del comportamento aggressivo e alla diminuzione dei comportamenti prosociali.

Ricerche successive hanno mosso forti critiche alla letteratura, affermando che l’aumento dei comportamenti aggressivi poteva essere dovuto non solo al grado di violenza veicolato dai videogiochi, ma anche da altre caratteristiche. Ad esempio alcuni autori evidenziano che la competizione ha un impatto significativo e correla positivamente con l’aggressività: i videogiochi più competitivi producono livelli più elevati di aggressività, indipendentemente dalla quantità di violenza contenuta (Adachi e Willoughby, 2011; Dowset e Jackson, 2019).

A quanto pare, quindi, alcuni “falsi miti” sulla pericolosità dei videogiochi sembrano essere stati messi in discussione; resta da chiedersi dunque se esistano dei benefici. Il primo aspetto da considerare quando si tratta di individuare potenziali vantaggi è che i videogames obbligano a compiere delle scelte molto più dei libri, dei film o della musica.

Ad uno sguardo esterno e superficiale sembrerebbe infatti che l’attività del giocatore sia una furiosa e irrazionale ripetizione di click (questo potrebbe spiegare il motivo del giudizio negativo riservato all’uso dei videogiochi), ma se si osserva con attenzione la mente del giocatore ci si rende conto che l’attività primaria differisce completamente: è quella di prendere decisioni e di scegliere strategie a lungo termine.

Questo aspetto pare sia l’origine di diversi vantaggi relativi all’uso di videogiochi, alcuni dei quali sono di seguito riportati:

- predisposizione all’apprendimento e l’essere preparati all’apprendere è già di per sé un esercizio mentale;

- riduzione dei tempi di reazione, miglioramento della coordinazione oculo-manuale e aumento dei livelli di autostima dei giocatori (Griffiths, 2002; Desai et al., 2010);

- incremento delle abilità logiche e percettivo-motorie e della flessibilità cognitiva (Glass. D. B., et al., 2013);

- potenziamento delle competenze linguistiche, matematiche, di lettura e sociali (Granic, Lobel, & Engels, 2014): i videogiochi sembrano essere un valido strumento di sostegno all’apprendimento per i bambini con disabilità e con difficoltà attentive e impulsività.

I videogiochi sono stati infine utilizzati per migliorare le capacità di prendersi cura di sé in bambini e adolescenti con patologie mediche, inoltre sono risultati efficaci nell’alleviare la sintomatologia in alcuni disturbi come il Disturbo da stress post-traumatico (Kessler et al., 2018).

Negli ultimi anni le ricerche si sono concentrate sulle modificazioni funzionali e strutturali che i videogiochi apportano al cervello, tra questi studi emerge in particolare la review pubblicata da Palaus e i suoi colleghi (2017) presso l’Università Aperta della Catalogna e del Massachusetts General Hospital.

Secondo la pubblicazione, l’uso di videogiochi influenza positivamente la capacità di attenzione (sia quella sostenuta sia quella selettiva). In particolare emerge che nei giocatori le aree del cervello coinvolte nell’attenzione lavorino in maniera più efficace, richiedendo quindi una minore quota di attivazione per poter sostenere compiti complessi e impegnativi.

Inoltre pare che l’utilizzo di videogiochi possa contribuire all’aumento di dimensione ed efficienza delle regioni del cervello implicate nelle competenze visuospaziali (ad es. l’ippocampo destro è più ampio nei giocatori di videogames).

Tra i risultati della ricerca troviamo anche importanti effetti deleteri: i videogiochi suscitano cambiamenti funzionali e strutturali nel sistema di ricompensa, provocando dipendenza patologica. Questi cambiamenti sono sostanzialmente gli stessi di quelli osservati in altri disturbi da dipendenza da sostanze (ad es. fumo, droga e alcool).

I rischi maggiori per quanto riguarda la dipendenza da videogiochi sono soprattutto per i bambini e gli adolescenti in quanto il loro cervello è ancora in via di sviluppo e pertanto particolarmente modificabile (alcune aree infatti si sviluppano fino a 17 anni, altre fino ai 25).

In particolare è importante considerare che mentre il sistema di ricompensa si sviluppa precocemente (esponendo quindi il minore al rischio di sviluppare una dipendenza), il sistema di autocontrollo impiega diversi anni per raggiungere il pieno sviluppo. Questo significa che per il bambino o l’adolescente è molto più difficile porre dei limiti e regolare il proprio comportamento, mentre è estremamente semplice che si crei assuefazione. Per questo motivo è essenziale la presenza di un adulto di riferimento che lo aiuti a regolarsi ed evitare che questo passatempo (che come abbiamo visto, può davvero contribuire ad uno sviluppo cerebrale positivo) diventi un’ossessione tutt’altro che salutare.

A cura di Sara Bergamini

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L'Autore

Fabio Di Gioia

Dottore in Scienze internazionali ed istituzioni europee, attualmente si sta specializzando nel corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali. È stato Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Referente di Segreteria e co-ideatore del progetto TrattaMI Bene. È ora Caporedattore e autore per la sezione Diritti Umani.

Bachelors degree in International Sciences and European Institutions, currently majoring in International Relations. He has served as Chairman of the Board of Auditors, Secretariat Liaison, and co-creator of the TrattaMI Bene project. He is now Editor-in-Chief and author for the Human Rights section.

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