Taiwan e il Mar Cinese Meridionale

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  Redazione
  23 January 2023
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A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

A Taiwan e nell’ampio contesto geografico del Mar Cinese Meridionale vige da tempo la grande sfida strategica per il controllo dell’oceano Pacifico e del sud-est asiatico.

I duellanti sono Gli Stati Uniti e la Cina Popolare.

Se la Cina raggiungesse questo scopo, soppiantando gli Stati Uniti, compirebbe un passo decisivo per affermare e consolidare se stessa come prima potenza mondiale.

A metà del 2022 è avvenuto un allarmante aumento delle tensioni nello Stretto di Taiwan, tra Cina e Stati Uniti, utilizzando come pretesto la visita di Nancy Pelosi, Presidente della Camera dei Rappresentanti, nell'isola.

Tensioni inquietanti tradottesi in alcune aggressive manovre militari cinesi, con interi reparti di aerei levatisi in volo radente lungo le coste taiwanesi. Una sorta di “show the flag” esponente le reali capacità e volontà della Cina Popolare di poter stabilire un blocco aereo e navale su Taiwan, con ogni possibile conseguenza negativa sul commercio nel flusso complessivo dell’export-import.

I microprocessori

In particolare è stato evidenziato ancora una volta il ruolo essenziale taiwanese nell'export di un componente essenziale per la produzione mondiale di materiale tecnologico come i microprocessori.

La sua leadership in questo campo è schiacciante e rafforza sostanzialmente la sua rilevanza geopolitica: chi dominerà il mercato mondiale dei chip godrà di una supremazia tecnologica, e di conseguenza anche militare, per i sistemi d’arma a più evoluto ed efficace contenuto tecnologico.

In pratica, per le due grandi superpotenze si tratta di una questione di sicurezza primaria e di sopravvivenza in quanto tale.

La sovranità

La Repubblica popolare cinese rivendica, sin dalla sua formazione, la sua sovranità su Taiwan, che considera come una provincia "ribelle", basata sulla dottrina internazionalmente accettata di una "Cina unica".

E’ un aspetto che si è discusso e consolidato dopo la storica visita di Nixon a Pechino mezzo secolo fa. Tuttavia, la comunità internazionale, che largamente riconosce questa dottrina, ha continuato a mantenere ed intensificare i rapporti commerciali e di ogni genere con Taiwan, partendo dal principio, stavolta democratico, che qualsiasi "riunificazione" non può essere basata sull'uso della forza e che qualsiasi problema si debba risolvere solamente per via negoziale, rispettando le caratteristiche dell'isola, in particolare la sua natura pienamente democratica e le libertà civili, nonché la sua economia di libero mercato.

Per questo gli Stati Uniti hanno seguito la teoria dell'"ambiguità strategica", cioè assumendo l'idea di una Cina unica, ma con le premesse sopra citate e, quindi, paventando la possibilità di difendere Taiwan da qualunque aggressione se quelle non sono state soddisfatte.

Oggi c'è un intenso dibattito negli Stati Uniti sull'opportunità di continuare su questa linea oppure fare un passo avanti e rendere esplicito il proprio impegno a favore di tale difesa, includendo anche una risposta militare.

Taiwan come chiave d’accesso

Al di là di questa realtà di livello strategico, Taiwan rimane la chiave di accesso dal Mar Cinese Orientale al Mar Cinese Meridionale, oltre a far parte, con Okinawa e le Filippine, della cosiddetta “prima catena di isole” che condizionano l'uscita del naviglio civile, commerciale e militare della Cina Popolare nel vastissimo oceano Pacifico; per di più insieme alla “seconda catena di isole” che va dalle isole giapponesi verso Guam e le Isole Marianne.

Per soddisfare questa esigenza, gli Stati Uniti hanno insediato basi terrestri e navali in Giappone e nella Corea del Sud e propri approdi militari nelle Filippine, Australia, Nuova Zelanda, Guam e Singapore, oltre all'isola di Diego García e Thailandia, quest’ultime localizzate al centro dell'Oceano Indiano.

Il dominio cinese su Taiwan

Prefigurando ipoteticamente il dominio cinese su Taiwan, si configurerebbe un assedio del Mare cinese meridionale che a sua volta è la chiave d’accesso allo Stretto di Malacca, la cui libera navigazione è assolutamente vitale per tutto il sud-est asiatico»

Il corollario è che, se la Cina dovesse giungere a governare Taiwan, oltre ad essere deleterio per il Giappone e la Corea del Sud in termini di sicurezza dei loro flussi commerciali, implicherebbe un deciso rafforzamento del controllo politico-militare sul Mare cinese meridionale, che a sua volta costituisce la chiave obbligata per l’accesso allo stretto di Malacca.

Vale la pena evidenziare l’importanza di mantenere pervia, e quindi vitale, la viabilità di questo stretto per tutto il sud-est asiatico non soltanto per le rotte commerciali della stessa Cina Popolare ma anche per il Giappone, le due Coree, gli Stati Uniti e non per ultima l'India. E poi per altre grandi potenze esportatrici come la Germania.

È vero che lo stretto della Sonda, disposto geograficamente tra le isole di Sumatra e di Giava, in Indonesia, potrebbe essere un'alternativa. Ma, anche in questo caso, dipende pur sempre da chi controlla i mari del sud.

Non è un caso, in questo contesto, che il Giappone dispieghi una politica estera e di difesa molto più attenta e assertiva basata sul concetto ritenuto inviolabile di un Indopacifico libero e aperto erga omnes.

La politica estera cinese

Per tutte queste ragioni, la Cina Popolare sta sviluppando una politica ad impronta aggressiva nei suoi mari meridionali. Essa è basata sulla cosiddetta "linea dei nove punti" che rivendica come limite delle sue acque territoriali e che suppone il controllo di praticamente tutte le aree geografiche su elencate.

Tale politica passa attraverso rivendicazioni territoriali (in particolare con le Isole Paracel e con l'arcipelago Spratly), in conflitto con cinque paesi dell'ASEAN (Association of South-East Asian Nations).

A completamento rivendicativo cinese si inquadra anche la disputa nel suo mare orientale con il Giappone per le contese isole Sekaku/Daiou.

In ultimo, le Filippine si sono rivolte a un tribunale arbitrale ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che si è pronunciato a suo favore, senza che la Cina abbia accettato la sentenza.

Altri dispiegamenti di Pechino

In aggiunta a quanto detto, la Cina sta allestendo isole artificiali per uso militare, di navi per la pesca, di guardia alle coste e per manovre aeronavali che da un lato esercitano pressioni sui paesi limitrofi mentre dall’altro rendono difficile l'accesso alle loro acque, nelle quali, peraltro, si trovano enormi riserve di petrolio e gas, oltre a ingenti risorse ittiche.

Appare evidente la strategia della Cina il cui primo obiettivo è quello di evitare la possibilità di qualsiasi attacco a distanza ravvicinata sul suo territorio continentale. E ancora di più quello di impedire agli Stati Uniti la loro effettiva capacità operativa di continuare a garantire la libera circolazione marittima in tale ampia area geografica.

La reazione di Washington

La reazione degli Stati Uniti è multidirezionale. Da un lato, cercano di potenziare i propri accordi militari con le Filippine o Singapore (Malesia o Brunei hanno una politica estera più incline verso il colosso asiatico) e, per quanto possibile, con Vietnam e Indonesia.

E dall'altro, configurare alleanze il cui obiettivo prioritario è il contenimento dell’ espansionismo cinese, mostrando nel contempo la volontà di avere un'adeguata capacità di risposta in caso di crisi.

I due più importanti sono il QUAD (recente trattato degli USA con Giappone, Australia e India, paese assolutamente chiave in questo scenario) e l'AUKUS, insieme al Regno Unito, per produrre e fornire all'Australia sottomarini a propulsione nucleare tecnologicamente aggiornati oltre ad altre capacità militari avanzate.

La posta in gioco è di valenza strategica per il controllo del vasto oceano Pacifico e dell’intero sud-est asiatico.

Se la Cina dovesse riuscire nel suo disegno egemonico suddetto, spiazzando gli Usa, sarebbe un passo decisivo per consolidare se stessa come potenza di rilievo globale, relegando gli americani a non essere più i primi protagonisti nell’area.

Insomma, è in gioco niente di meno che l'egemonia geopolitica più importante di questo secolo.

Quindi la crisi di Taiwan non può essere isolata da un contesto di gran lunga più ampio.

Riflessione finale

Ancora una volta nella storia, i grandi imperi attraversano il dominio politico - economico e commerciale dei mari e delle rotte navali.

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L'Autore

Redazione

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Eastern Asia

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Cina Taiwan Geopolitica