Boicottaggio di beni e servizi statunitensi: quando l'economia si intreccia con l'ambiente

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  Valeria Fraquelli
  23 aprile 2025
  3 minuti, 29 secondi

Da quando il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di mettere i dazi su alcuni prodotti, europei e non, si è subito diffusa una grande preoccupazione. La paura per un probabile aumento dei prezzi è emersa tra i consumatori, i quali si recano sempre più spesso fare la spesa con crescente timore. 

Che i dazi abbiano un impatto, è un dato di fatto. Tuttavia, non è facile prevedere se le iniziative di boicottaggio avranno successo né quale sarà il loro effetto sugli stessi Paesi che lo promuovono.

Ad iniziare il boicottaggio dei prodotti statunitensi sono stati i francesi con lo slogan “Boycott USA: achetez français et européen!”, un chiaro invito a comprare prodotti francesi ed europei al posto di quelli d'oltreoceano. Successivamente, il movimento si è poi propagato anche nel nord Europa, in risposta all'intenzione di Trump di annettere la Groenlandia al territorio statunitense.

A prima vista, sembrerebbe semplice mandare un forte segnale agli Stati Uniti, nella speranza che ciò spinga il governo statunitense a rivedere la politica dei dazi. Ma la realtà è molto più complessa perché i dazi  colpiscono non solo i Paesi destinatari, bensì anche quelli che li impongono. 

È molto difficile capire i dazi e il loro reale impatto sull’economia europea. L'economia globale è piena di sfumature e interconnessioni, e quando si cerca di valutare l'effetto delle imposte doganali sui singoli prodotti, la questione si complica ulteriormente.

Riconoscere i prodotti effettivamente Made in USA non è privo di difficoltà. La produzione è spesso frammentata e le grandi aziende multinazionali di rado possono essere associate a una singola nazione. Di fatto, è necessario considerare che la parte finale della lavorazione del prodotto può avvenire anche nel Paese destinatario.

Nel caso delle automobili elettriche e non-come le Tesla-, o di alcuni prodotti e servizi ulteriori,  non sempre è chiaro chi detiene la proprietà delle aziende, dove vengono prodotti i vari componenti e quale Paese trae beneficio dalla loro vendita. Ad esempio, le M&M’s fabbricate in Francia vanno boicottate o meno? E per quanto riguarda i servizi digitali, quali le piattaforme online di uso quotidiano, quanto siamo disposti davvero a rinunciarvi?

Come menzionato in precedenza, il boicottaggio ha preso soprattutto piede nei Paesi nordici, tra i quali è scaturita una forma di protezionismo locale. A cominciare dalla Danimarca, una catena di supermercati ha contrassegnato con delle stelline i prodotti europei invitando i consumatori a non comprare quelli statunitensi. Inoltre, su Facebook sono nati gruppi quali “Boykot varer fra USA” in Danimarca e “Bojkotta varor fran USA” in Svezia, che mirano a promuovere alternative locali per un'ampia gamma di prodotti.

Ma la questione dei dazi inevitabilmente si intreccia con l’ambiente e la sua protezione.

Una consumatrice nordeuropea afferma: «Seguo queste stelline per due motivi, di cui uno legato all’ambiente e l’altro per evitare di supportare gli americani». Questo dimostra che il boicottaggio, oltre a un sentimento patriottico volto alla salvaguardia dei prodotti nazionali, vuole essere espressione di un impegno ecologico, preferendo prodotti a chilometro zero.

Consumare prodotti e usufruire di servizi locali vengono percepiti come gesti a favore della natura, mirati alla riduzione dell'impatto ambientale

Tuttavia, è innegabile che molti prodotti statunitensi siano parte integrante della nostra quotidianità: che si tratti della spesa, dei vestiti o dell’uso di servizi online, non è sempre facile – né realistico – farne completamente a meno.

In conclusione, boicottaggio o no, ciò che conta davvero è impegnarsi nella difesa del pianeta, tutelare la natura e promuovere un consumo più  responsabile. Vivere in un pianeta migliore dipende anche-e soprattutto-dalle nostre scelte. 

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L'Autore

Valeria Fraquelli

Mi chiamo Valeria Fraquelli e sono nata ad Asti il 19 luglio 1986. Ho conseguito la Laurea triennale in Studi Internazionali e la Laurea Magistrale in Scienze del governo e dell’amministrazione presso l’Università degli Studi di Torino. Ho anche conseguito il Preliminary English Test e un Master sull’imprenditoria giovanile; inoltre ho frequentato con successo vari corsi post laurea.

Mi piace molto ascoltare musica in particolare jazz anni '20, leggere e viaggiare per conoscere posti nuovi ed entrare in contatto con persone di culture diverse; proprio per questo ho visitato Vienna, Berlino, Lisbona, Londra, Malta, Copenhagen, Helsinki, New York e Parigi.

La mia passione più grande è la scrittura; infatti, ho scritto e scrivo tuttora per varie testate online tra cui Mondo Internazionale. Ho anche un mio blog personale che tratta di arte e cultura, viaggi e natura.

La frase che più mi rappresenta è “Volere è potere”.

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