Come si combatte la disinformazione? – parte I

Approcci diversi e molte perplessità

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  Giorgio Giardino
  18 novembre 2022
  5 minuti, 30 secondi

Che la disinformazione sia in grado di produrre gravi conseguenze è un dato ormai acclarato. Che le piattaforme digitali non siano state in grado di rispondere in maniera adeguata a questo fenomeno è altrettanto noto, come hanno dimostrato diverse inchieste giornalistiche. 

Il contrasto alla disinformazione è ormai da tempo entrato nelle agende degli Stati che, con diversi risultati, stanno cercando di dare una risposta alla fatidica domanda: come si combatte la disinformazione? È un tema spinoso, soprattutto in un contesto fortemente polarizzato in cui spesso si mette in discussione la presenza di una sola verità.

È difficile tentare di dare una risposta definitiva a questo enorme problema, tuttavia sono emerse alcune tendenze nel campo della regolazione dei contenuti che è utile osservare per tentare di capire quale sarà il futuro della piazza digitale, citando il neoproprietario di Twitter.

Fra di esse sicuramente se ne è affermata una preoccupante: se da un lato la disinformazione rappresenta una minaccia per la tenuta delle democrazie – soprattutto quando supportata da esponenti politici di rilievo come nel caso dell’assalto al Congresso –, essa diventa una giustificazione per i regimi autoritari per aumentare ulteriormente il controllo sulla società.


Elezioni e disinformazione: il caso brasiliano

Quando si parla degli effetti della disinformazione sulle democrazie, lo sguardo si rivolge spesso al momento centrale della vita democratica di uno Stato: le elezioni. Ormai è un fatto che le campagne elettorali rappresentano un momento in cui la circolazione di notizie e informazioni false diventa ancor più rilevante; ma soprattutto è un fatto che la disinformazione sia entrata a far parte delle strategie di diversi candidati in giro per il mondo che, sfruttando il sentimento di sfiducia crescente verso le istituzioni e i media cosiddetti mainstream, alimentano la diffusione di teorie complottiste e notizie volte a screditare gli avversari politici. Poi, sempre più spesso, in caso di risultato avverso si mette in discussione la legittimità del risultato elettorale, come successe durante le elezioni presidenziali americane del 2020 quando Donald Trump aveva parlato, senza alcun dato o prova che lo confermasse, di una frode.

Si era temuto che un comportamento di questo tipo si sarebbe potuto ripetere anche quest’anno, ma in un altro Paese: il Brasile. Queste preoccupazioni erano giustificate dal fatto che per mesi Bolsonaro – ormai ex-presidente brasiliano – aveva messo in discussione l’affidabilità del voto elettronico utilizzato, nonostante sia una modalità utilizzata fin dal 1996 e non siano mai state riscontrate prove di alcuna frode. La tensione era ulteriormente cresciuta dopo che, a seguito del risultato e dunque della vittoria di Lula, Bolsonaro aveva deciso di rimanere in silenzio. Per fortuna, il presidente uscente ha dato il via alla transizione di potere, seppur non riconoscendo esplicitamente la sconfitta. Intanto, nelle strade i suoi sostenitori manifestavano con blocchi stradali rifiutando di accettare i risultati.


L’intervento del tribunale elettorale brasiliano

Che la disinformazione avrebbe potuto avere un ruolo centrale anche nelle elezioni brasiliane di quest’anno era prevedibile, eppure le piattaforme digitali non sono riuscite a rispondere in maniera efficace al problema. Gli elettori brasiliani sono quindi stati travolti da una serie di contenuti falsi, come quelli che accusavano Lula di essere un satanista o Bolsonaro un cannibale.

Il tribunale elettorale brasiliano (TSE) – l’istituzione che si occupa di vigilare sul corretto svolgimento delle elezioni in Brasile – aveva tentato di evitare una situazione di questo genere, e nel febbraio scorso aveva stipulato dei memorandum di intesa con le maggiori piattaforme digitali. I risultati sono però stati deludenti, tanto da portare lo stesso tribunale ad adottare il 20 ottobre una misura molto forte: fino alla fine delle elezioni, qualsiasi contenuto ritenuto falso o in grado di compromettere l’integrità del processo elettorale avrebbe dovuto essere rimosso entro 24 ore, dietro segnalazione della corte stessa senza che sia necessaria la presentazione di una denuncia. Questa facoltà è venuta meno con il termine delle elezioni, tuttavia è molto probabile che possa essere richiamata in campagne elettorali future.


La legge turca: la disinformazione è una scusa per reprimere il dissenso?

Intervenire sulla disinformazione può avere scopi diversi, ad esempio può servire a proteggere la democrazia, e dunque anche evitare che il processo elettorale possa essere disturbato. Ma la disinformazione può anche essere utilizzata come giustificazione per i regimi autoritari per stringere ulteriormente la morsa attorno alla libertà di espressione. È questo il caso della Legge sulla stampa voluta dal partito del presidente turco Erdogan, Giustizia e sviluppo (APK), adottata il 13 ottobre scorso dal Parlamento in una seduta segnata anche da forti gesti di protesta.

Nonostante le rassicurazioni del governo, che afferma di voler contrastare la circolazione di notizie false, è difficile non vedere in questa misura il tentativo di silenziare le opposizioni. Tutto ciò avviene poi in un Paese in cui la stampa è sempre meno libera, come evidenziato dalla classifica di Reporter senza frontiere, la cui posiziona è al 149esimo posto su 180 Stati. Chi infatti verrà giudicato colpevole di aver condiviso informazioni false, che secondo le autorità potrebbero generare panico nella popolazione, rischierà fino a tre anni di carcere, come stabilito dall’articolo 19 della legge. Inoltre, le piattaforme digitali potrebbero dover dare accesso alle autorità alle informazioni degli utenti, qualora venga richiesto.

Se nel caso brasiliano l’autorità è intervenuta per consentire il corretto svolgimento delle elezioni, in Turchia invece, il governo assume ancora maggior controllo proprio mentre il Paese si avvicina all’appuntamento con il voto del 2023. È infatti alto il rischio che i giornali decidano di autocensurarsi per evitare di essere sanzionati, proprio in un momento in cui l’informazione di qualità è ancora più necessaria.


Alcune conclusioni

Questi due casi, molto diversi fra loro, mostrano questa duplice natura della minaccia che la disinformazione pone, un’arma a doppio taglio che danneggia principalmente la democrazia e che deve essere affrontata. In un campo in cui al momento le protagoniste rimangono le piattaforme digitali, gli Stati stanno cercando di trovare una risposta a questa domanda: come si combatte la disinformazione?

Per questo motivo, nel prossimo articolo, lo sguardo andrà all’esempio europeo di regolazione, dove da poco è stato adottato il Digital Service Act, il quale potrebbe avere importanti conseguenze.

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Fonti utilizzate per la stesura del presente articolo:

https://www.ilpost.it/2022/10/14/turchia-legge-disinformazione/

https://www.theguardian.com/world/2022/oct/13/turkey-new-disinformation-law-could-jail-journalists-for-3-years

https://www.france24.com/en/europe/20221013-turkey-adopts-new-disinformation-law-that-could-jail-journalists

https://www.theguardian.com/world/2022/oct/20/brazil-election-disinformation-youtube-facebook

https://www.internazionale.it/notizie/2022/10/27/ballotaggio-brasile-disinformazione

Fonte immagine:

https://pixabay.com/it/illustrations/notizie-false-font-testo-media-7170087/

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L'Autore

Giorgio Giardino

Giorgio Giardino, classe 1998, ha di recente conseguito la laurea magistrale in Politiche europee ed internazionali presso l'Università cattolica del Sacro Cuore discutendo un tesi dal titolo "La libertà di espressione nel mondo online: stato dell'arte e prospettive". Da sempre interessato a tematiche riguardanti i diritti fondamentali e le relazioni internazionali, ricopre all'interno di MI la carica di caporedattore per la sezione Diritti Umani.

Giorgio Giardino, class 1998, recently obtained a master's degree in European and international policies at Università Cattolica del Sacro Cuore with a thesis entitled "Freedom of expression in the online world: state of the art and perspectives". Always interested in issues concerning fundamental rights and international relations, he holds the position of Editor-in-Chief of the Human Rights team.

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Diritti Umani

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