Conflitto Israele-Hamas: nessuna sicurezza per i giornalisti

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  Giorgia Milan
  12 novembre 2023
  3 minuti, 48 secondi

Dieci giorni fa, il 2 novembre, si celebrava la giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti. E proprio dieci giorni dopo questa giornata mondiale è necessario porre attenzione alla situazione dei giornalisti impegnati a raccontare uno dei conflitti più mortali e drammatici del nostro secolo: la guerra tra Israele e Hamas.

I giornalisti sono da considerarsi a tutti gli effetti dei civili con una mission fondamentale in tempi di guerra, quella di raccontare gli avvenimenti che si susseguono in tempo reale o quasi. È proprio per questo motivo che non possono considerarsi degli obiettivi di guerra dalle parti in conflitto. Tuttavia, i dati raccontano un’altra storia. Sono 41, secondo Reporters Without Borders, i giornalisti che hanno perso la vita in questo primo mese di conflitto, 36 dei quali sono Palestinesi uccisi dai bombardamenti Israeliani nella Striscia di Gaza. Il CPJ (Committee to Protect Journalists) ha infatti definito questo mese come il più letale per i giornalisti dal 1992, anno in cui ha iniziato a raccogliere informazioni e dati riguardo i giornalisti in guerra.

Israele ha dichiarato numerose volte che le proprie forze armate non stanno deliberatamente bersagliando i giornalisti. Dall’altro lato però, la mancanza di interesse nel fornirgli protezione risulta essere piuttosto evidente. A tal proposito, Reporters without Borders ha avviato un’investigazione per la morte di un reporter dell’agenzia Reuters, Issam Abdallah. Secondo questa investigazione, infatti, il veicolo targato “stampa” è stato deliberatamente preso come bersaglio da due bombardamenti, lanciati nello stesso posto l’uno a distanza di trenta secondi dall’altro. Non si può dunque parlare di “danni collaterali”, ossia conseguenze indesiderate di operazioni belliche, bensì di bersagli, obiettivi. Ben sette giornalisti chiaramente identificabili stazionavano nel luogo preso di mira. Sei giornalisti che hanno rischiato la vita e uno che l’ha persa.

È una situazione evidentemente drammatica: basti pensare che in sei mesi di conflitto tra Russia e Ucraina sono morti 12 giornalisti secondo i dati del CPJ. 12 giornalisti in sei mesi sembrano veramente pochi se paragonati ai 41 giornalisti in un mese del conflitto tra Israele e Hamas. Parliamo di un giornalista ucciso al giorno. Ed è proprio per questi dati e per la frequenza delle uccisioni che Reporter without Borders ha deciso di presentare una denuncia alla Corte Penale Internazionale per indagare su crimini di guerra commessi contro i giornalisti in Israele e nella Striscia di Gaza.

Il conflitto Israele-Hamas si sta rivelando quindi il più pericoloso in assoluto per i giornalisti. Non si tratta solo di perdere la vita: aggressioni, arresti, minacce, cyberattacchi e censura sono ulteriori rischi ai quali vengono quotidianamente esposti senza nessun tipo di protezione i giornalisti che raccontano il conflitto Israele-Hamas. Indossare un caschetto protettivo e un giubbotto antiproiettile con la scritta “press” sembra non essere assolutamente sufficiente in queste settimane.

Il 16 ottobre, poco dopo l’inizio del conflitto, Israele ha proposto delle norme di emergenza che danno la possibilità di bloccare tutte quelle trasmissioni che possono danneggiare la “morale nazionale”. “Lascia la Striscia di Gaza o muori” è stato detto il 30 ottobre a un corrispondente di Al-Jazeera da un membro delle forze armate Israeliane. Una serie di cyber attacchi hanno colpiti i siti web del Jerusalem Post e di Al-Jazeera, impedendo quindi la diffusione di notizie relative alla guerra in atto. Il 5 novembre è stata arrestata (e risulta essere ancora detenuta) Somaya Jawabra, una giornalista freelance di 30 anni al settimo mese di gravidanza. È stata accusata di avere dei legami con Hamas e quindi di fare propaganda contro Israele.

I bombardamenti hanno, inoltre, distrutto più di 50 uffici stampa, privando quindi i giornalisti di un posto sicuro in cui lavorare, in cui scrivere i propri articoli. Senza considerare i frequenti blackout e le interruzioni di corrente.

Che sia nella Striscia di Gaza, in Israele o in Libano, in campo aperto, in ufficio o nei rifugi, i giornalisti che raccontano il conflitto tra Israele e Hamas corrono rischi senza precedenti. È fondamentale, in tempi di guerra, avere qualcuno che possa raccontare quel che vede ogni giorno. Ricordiamoci che con ogni giornalista ucciso di spegne anche una possibilità di conoscere i fatti.

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L'Autore

Giorgia Milan

Giorgia Milan, classe 1998, ha conseguito una laurea triennale in “scienze politiche, relazioni internazionali e governo delle amministrazioni”, con una tesi riguardo la condizione femminile in Afghanistan, e successivamente una laurea magistrale in “Human rights and multi-level governance”, con una tesi riguardo la condizione delle donne rifugiate nel contesto dell’attuale guerra Russo-Ucraina, il tutto presso l’Università degli studi di Padova.

I suoi interessi principali sono i diritti umani, in particolare i diritti delle donne. È proprio il forte interesse per questi temi che l’ha spinta a intraprendere un tirocinio universitario presso il Centro Donna di Padova, durante il quale ha avuto la possibilità di approcciarsi al mondo della scrittura e della creazione di contenuti riguardanti la violenza di genere e le discriminazioni.

In Mondo Internazionale Post Giorgia Milan è un'autrice per l'area tematica di Diritti Umani.

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giornalismo Diritti umani diritto di informazione